Mercoledì 16, presso la società operaia, si è tenuta la prima di una serie di conferenze della neonata associazione di Bondeno “Un mondo da amare” che, con l’ausilio di filmati girati da viaggiatori e le spiegazioni di una esperta accompagnatrice turistica ha guidato un pubblico abbastanza numeroso alla scoperta delle bellezze naturalistiche islandesi.
Il giorno dopo ho fatto una ricerca per approfondire alcuni argomenti emersi nel corso della discussione e li posto qui come punto di partenza per chi vuole viaggiare ad occhi aperti.
DAL COLLASSO ECONOMICO AL DISASTRO ECOLOGICO
Data: Venerdì, 28 novembre @ 18:00:00 CST
Argomento: Ecologia
La star islandese del rock si occupa di politica
DI BJORK
TimesOnline
Dopo un tour di 18 mesi ero ansiosa di ritornare per qualche settimana nella buona e solida Islanda per godere di un po’ di stabilità. All’inizio di quest’anno avevo tenuto un concerto che nelle intenzioni avrebbe dovuto accrescere la consapevolezza popolare riguardo all’ambiente locale e un 10% della popolazione vi ha preso parte, ma non mi è sembrato sufficiente.
Per questo, quando sono ritornata ho deciso di contattare tutti gli isolani che avevano cercato senza successo di creare nuove imprese e mettere in pratica nuovi metodi di lavoro ecologici. Nel corso di tanti anni, la principale fonte di entrata dell’Islanda è stata la pesca, ma quando questa ha cessato di essere redditizia la gente ha cominciato a cercare altri modi per guadagnarsi da vivere.
I conservatori che governano il paese pensarono che se avessero messo le mani sull’energia naturale dell’Islanda per venderla alle grandi imprese come Alcoa e Rio Tinto, avrebbero risolto il problema.
Adesso abbiamo tre fonderie di alluminio, le maggiori d’Europa; e nei prossimi tre anni ne vogliono costruire altre due. Queste fonderie avranno bisogno di energia da un pugno di nuove centrali geotermiche, così come la costruzione di argini che danneggerebbero lo spazio naturale incontaminato, sorgenti e campi di lava. L’ottenimento di così tanta energia da questi campi geotermici non è sostenibile.
Molti islandesi si oppongono alla costruzione di queste fonderie. Anzi, preferirebbero continuare a sviluppare piccole imprese di loro proprietà e non dover sostenere questo costo. In Islanda vi sono state molte lotte per difendere questa causa. Una di queste ebbe come risultato che il ministro dell’ambiente ha insistito affinché venisse compiuto uno studio sull’impatto ambientale prima di costruire qualsiasi fonderia o argine.
E, poi, è scoppiata la crisi economica. Giovani famiglie si vedono minacciate di perdere le proprie abitazioni e gli anziani di perdere le proprie pensioni. E’ qualcosa di catastrofico. Si palpa la rabbia. La gente contesta per strada i sei maggiori capitalisti d’Islanda e li critica alla radio e alla televisione; voci furiose insistono affinché vendano le loro proprietà e consegnino i benefici allo Stato. Si è venuto a sapere che alcuni individui hanno ottenuto all’estero prestiti giganteschi senza che il popolo islandese ne avesse conoscenza. Adesso, a quanto pare, è la nazione che deve rimborsarli.
Ciò che esaspera la gente è che i responsabili di aver messo gli islandesi in questa situazione sono gli stessi che ora cercano di toglierli da essa. Molti esigono che si dimettano e permettano che altri rimettano ordine. Il più criticato è Davíð Oddsson, che nomino se stesso direttore della banca Centrale dopo 19 anni come sindaco di Reykjavik e 13 anni come primo ministro. Una volta alla settimana, gli abitanti della capitale si riuniscono nel centro della città per chiedere le sue dimissioni.
E poi, di sorpresa, siamo stati vittime della spettacolare mazzata che ci ha assestato il primo ministro del Regno Unito. Cito testualmente una petizione firmata dalla decima parte del popolo islandese: “Gordon Brown ha utilizzato in forma ingiustificata la legge antiterrorismo contro il popolo dell’Islanda per ottenere benefici politici a breve termine. Ciò ha trasformato la grave situazione in un disastro nazionale… ora dopo ora, giorno dopo giorno, le azioni del governo britannico stanno annientando indiscriminatamente gli interessi islandesi.” [1]
In generale sono estranea alla politica. Vivo felice nella terra della musica. Però sono stata coinvolta perché i politici sembrano impegnati a rovinare l’ambiente naturale dell’Islanda. E la settimana scorsa ho letto che a causa della crisi alcuni parlamentari islandesi stanno premendo affinché si eviti la valutazione ambientale e gli argini possano costruirsi il più rapidamente possibile in modo che Alcoa e Rio Tinto ottengano l’energia di cui hanno bisogno per far funzionare le due nuove fonderie.
L’Islanda è un paese piccolo. Qui non c’è stata la rivoluzione industriale e io nutrivo la speranza che avremmo potuto evitarla del tutto e passare direttamente ad opzioni sostenibili di alta tecnologia. Se qualcuno era capace di farlo, quelli eravamo noi. La mentalità islandese ha qualcosa di meraviglioso, siamo audaci e inclini al rischio sino all’estremo dell’imprudenza. Nel fare musica, raccontare storie e pensiero creativo, questa assunzione di rischio è una grande cosa. E dopo essermi introdotta in molte piccole imprese islandesi in fase di crescita, mi sono resa conto che molte di esse hanno dato prova di audacia, tanto nel campo della biotecnologia che dell’alta tecnologia.
Gli islandesi sono gente dalla solida formazione in scienze avanzate. Abbiamo ORF, che è una delle migliori imprese di biogenetica del mondo; Össur, un produttore di arti artificiali; CCP, un produttore di giochi informatici, e moti altri. Inoltre abbiamo molti medici e professionisti sanitari. Grazie ai centinaia di geiger naturali che zampillano in tutta l’isola e alla nostra (sinora) quasi incontaminata natura, l’Islanda potrebbe diventare facilmente un enorme e sontuoso stabilimento balneario dove la gente si reca per curare i propri dolori e riposare. Sarebbe meglio che il governo utilizzasse i soldi per appoggiare queste imprese invece di metterlo al servizio di Alcoa e Rio Tinto.
La flessibilità è importante: dovremmo vivere con le tre fonderie di alluminio che già sono in funzione e cercare di trovare la maniera di renderle più ecologiche. Ma abbiamo forse bisogno di averne cinque? Nel passato, abbiamo messo tutte le uova nello stesso cesto e questo ha dimostrato di essere pericoloso, come già ci siamo resi conto quando il 70% delle nostre entrate provenivano dalla pesca. Adesso siamo sull’orlo dell’abisso per aver scommesso tutto sulla finanza. Se costruiamo altre due fonderie di alluminio, l’Islanda si convertirà nella maggior fonderia di alluminio del mondo e saremo conosciuti nel mondo solo per questo. Rimarrebbe poco spazio per qualsiasi altra cosa. E se il prezzo dell’alluminio crollasse – come sta accadendo – sarebbe catastrofico.
L’Islanda può essere più autosufficiente e più creativa e, allo stesso tempo, fare le cose in una maniera più in linea col secolo XXI che con il XIX. Si possono costruire meno argini, più piccoli ed ecologici. Utilizziamo questa crisi economica per essere totalmente sostenibili. Insegniamo al mondo tutto ciò che sappiamo sulle centrali di energia geotermica. Appoggiamo le imprese verdi. Cominciamo dal basso. Può essere che ritardino a crescere e a dare benefici, ma si basano su qualcosa di solido, stabile e indipendente ai terremoti di Wall Street e al volatile prezzo dell’alluminio.
E ciò aiuterà l’Islanda a continuare ad essere ciò che meglio sa essere: una incontaminata e meravigliosa forza della natura.
Bjork
Fonte: http://www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=75884&titular=del-colapso-econ%F3mico-al-desastre-ecol%F3gico-
14.11.08
Traduzione dallo spagnolo per http://www.comedonchisciotte.org a cura di RICCARDO (http://www.alol.it)
[1] NdT: L’autrice si riferisce al decreto del governo di Londra mediante il quale sono stati congelati i fondi dell’Islanda in Gran Bretagna. Vedasi: http://www.lanacion.com.ar/nota.asp?nota_id=1057911
Fonte: http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/columnists/guest_contributors/article5026175.ece
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ISLANDA: UN MONITO, UN ESEMPIO
Data: Lunedì, 14 marzo @ 22:20:41 CDT
Argomento: Economia
DI ALESSIO MANNINO
ilribelle.com
Una nazione minuscola che ha avuto la forza di ribellarsi allo strapotere bancario. Una rivoluzione, che passa anche da un nuovo testo costituzionale, finalizzata a impedire che gli interessi del Paese vengano sacrificati a quelli delle oligarchie della finanza internazionale
Piccola e dimenticata, l’Islanda ci fa da monito. L’isola solitaria fra il Polo Nord e la Gran Bretagna, appena 300 mila anime, una piccola patria di pescatori, ha osato l’inosabile: ribellarsi alla plutocrazia globale.
Ecco la storia. Alla fine del 2008 la crisi finanziaria si abbatte come un ciclone sugli islandesi, che nell’ottobre decidono di nazionalizzare la banca più importante del paese, Landsbanki.
Seguono a ruota la Kaupthing e la Glitnir. I debiti degli istituti falliti sono in gran parte con la City di Londra e con l’Olanda. La moneta nazionale, la corona, è carta straccia e la Borsa arriva a un ribasso del 76%. Il governo conservatore di Geir H. Haarden chiede l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che approva un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, integrato da altri 2 miliardi e mezzo di alcuni Paesi nordici. Le proteste popolari si susseguono in un crescendo che porta alle dimissioni del primo ministro nel gennaio 2009 e a elezioni anticipate nell’aprile successivo. Dalle urne esce vincitrice una coalizione di sinistra, che non riesce a frenare la caduta dell’economia. L’anno si chiude con una diminuzione del 7% del Pil.
Il nuovo esecutivo propone la restituzione dei debiti a Regno Unito e Olanda mediante il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro, somma che pagheranno tutte le famiglie islandesi mensilmente per i prossimi 15 anni al 5,5% di interesse. Nel gennaio 2010 il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiuta di ratificarla e dà soddisfazione al popolo che reclama un referendum sulla questione. Il risultato della consultazione che si tiene a marzo è schiacciante: il 93% dei votanti dice no. La ragione è semplice: perché dover pagare tutti gli effetti di una crisi di cui sono responsabili i banchieri, protetti e coccolati dall’Fmi e dal sistema finanziario che tiene sotto ricatto il paese? La rappresaglia non si fa attendere: l’Fmi congela immediatamente gli aiuti.
Solo a questo punto il governo di sinistra, coi forconi puntati davanti al parlamento, si decide al gran passo: denuncia e fa arrestare i bankers. L’Interpol emana un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. In questo clima da resa dei conti, lo scorso novembre si riunisce un’assemblea costituente per scrivere una nuova Costituzione che rifondi il piccolo Stato islandese sottraendolo allo strapotere del denaro virtuale. Il criterio con cui essa viene eletta vuol dare il segnale di un rinnovamento reale, profondo: si scelgono 25 cittadini senza appartenenza politica tra i 522 che hanno presentato la loro candidatura, per la quale era necessario solo essere maggiorenni ed avere l’appoggio di trenta persone. La nuova magna charta sta per essere presentata proprio in questo periodo.
Nulla si è saputo da noi di questa Rivoluzione d’Islanda. Pacifica ma dura e determinata. A rileggerne i punti fondamentali, nel paragone con l’immobilismo conservatore che vige dalle nostre parti c’è di che farsi venire un brivido lungo la schiena: dimissioni in blocco di un governo, nazionalizzazione delle banche, referendum perché il popolo decida sulle decisioni economiche fondamentali, carcere per i responsabili della crisi, riscrittura della costituzione da parte dei cittadini. L’unica ombra che grava sul corso politico dell’isola è la richiesta di ingresso nell’Unione Europea. Perché voler buttare nel gelido mare del Nord tutto il magnifico lavoro fatto finora, esempio per gli uomini liberi d’Europa, per aderire a un superstato controllato da banchieri e manager delle multinazionali? Perché i fieri islandesi non provano a perseverare nella retta via, imitando i loro ovini e cavalli, lasciati liberi di in ampi pascoli senza recinti e senza cani da guardia?
Alessio Mannino
Fonte: http://www.ilribelle.com
Link: http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2011/3/11/islanda-un-monito-un-esempio-free.html
11.03.2011
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Sul caso Islanda abbiamo chiesto un autorevole parere di Riccardo Campi e lo riportiamo qui:
“In Islanda è capitato un tipico fenomeno “di massa”: il paese era in forte crescita, e come tutti i paesi in crescita caratterizzato da tassi di interesse più elevati del resto del mondo.
I privati (famiglie ed imprese) hanno trovato quindi remunerativo indebitarsi in valuta estera (con tassi inferiori di 3-4 punti) ed investire nel paese. Le banche spingevano per finanziare i privati, potendo conseguire margini di 6-7 punti tra il costo del denaro acquisito all’estero e i rendimenti dei finanziamenti erogati a famiglie o imprese. Le banche islandesi finanziavano, ad esempio, l’acquisto di case al “next value”. Per essere chiari: trovo un appartamento che costa 250.000 Euro. I valori immobiliari crescono del 5% annuo, quindi fra 20 anni il mio appartamento varrà 250*(1+5%)^20=663.000 Euro. La banca (islandese) era disposta a finanziare quindi l’80% del valore medio dell’appartamento durante il mutuo, non del costo attuale come fanno le banche italiane, e mi da quindi 365.000 Euro di prestito per un acquisto di 250.000. Mi trovo 115.000 Euro in più di quanto necessario che posso investire.
All’epoca (2005-2007) ciò che rendeva di più erano i derivati sui mutui “subprime” statunitensi. Molti islandesi avevano quindi un debito verso la banca ed una quota del debito investita in attività rischiose.
Con il crack finanziario mondiale del 2008, gli investimenti a rischio si sono rivelati carta straccia e le famiglie non avevano soldi per rimborsare i prestiti (i loro investimenti erano “bruciati”). Questo ha creato una difficoltà ampliata dall’effetto “sfiducia” ( è uno degli “animal spirits”).
Le banche di conseguenza non hanno avuto il grano per rifondere i prestatori esteri e per evitare il crollo del sistema la Banca Centrale Islandese (BC) ha dovuto intervenire immettendo liquidità ed indebitandosi verso l’estero.
Per contenere la spesa pubblica e privata, la BC ha aumentato il costo del denaro. L’economia islandese è però molto piccola rispetto al resto del mondo e l’effetto di questa operazione è stato, invece di ridurre la liquidità in circolazione, di attrarre capitali esteri, incentivati dai tassi di interesse più alti.
A fronte di tutto questo “grano” in circolazione, l’economia islandese poteva basarsi sulla pesca o poco più. Era quindi una crescita basata su un bluff, quella che si chiama una “bolla speculativa”.
L’unica soluzione immediata sarebbe stata una politica fiscale “restrittiva”, ovvero ridurre la spesa pubblica ed aumentare le tasse per contenere il debito pubblico. La politica islandese per ragioni elettorali aveva però attivato politiche esattamente opposte: più spesa pubblica per elettori più felici.
Effetti: un disastro. L’Islanda ha impiegato oltre 2 anni di politiche restrittive per fermare la china discendente e solo alla fine del 2010 e per invertire la tendenza al ribasso e all’aumento della disoccupazione. Per il 2011 finalmente il PIL è previsto in crescita di 3 punti. Secondo gli standard questo significa un +0,3% di occupazione in più.
Le responsabilità in questi casi sono di tutti:
· Banche: hanno cercato il profitto di breve periodo senza considerare la sostenibilità dei mutui erogati, quindi l’incertezza del profitto futuro
· Consumatori islandesi: non puoi non pensare che se ti prestano dei soldi prima o poi li devi restituire. Hanno fatto la figura dei furbetti del quartierino.
· Investitori islandesi: se hai una spesa certa (mutuo) non puoi compensarla con un guadagno a rischio. Idem come sopra.
· Politici islandesi: come quasi tutti i politici raccontare storielle fa bene al risultato elettorale, quando emerge il “bruciato” si spera di essere in pensione
· Banca centrale: ha applicato una misura da manuale senza considerare la situazione specifica, ovvero che l’Islanda subisce i flussi, è non li determina. È troppo piccola!
· C’è poi la speculazione internazionale, ma lo scopo di questa è rischiare, si sa.
Da allora, sia il Financial Stability Board (www.financialstabilityboard.org presieduto da Draghi) sia la Banca dei Regolamenti internazionali ( http://www.bis.org “accordi di Basilea 3”) hanno stabilito via via requisiti restrittivi per l’erogazione di prestiti, per evitare che sia erogato denaro senza un “sottostante” adeguato. Questo per evitare erogazioni di denaro non motivate che portano a comportamenti speculativi.
Bisogna vedere alla prossima occasione se il giro di vite è stato sufficiente per ridurre comportamenti viziosi.”