Se la sovranità della moneta è nelle mani di banche private, che la emettono a debito, la produzione di altro debito (e il conseguente moltiplicarsi degli interessi) è l’unico modo che un governo possieda per rifinanziarsi. Un circolo vizioso, che rende il debito impagabile sin dalla sua contrazione iniziale, perché il suo pagamento presuppone una quantità di denaro aggiuntiva (l’interesse) di cui lo stato non dispone. Così, come nel Mercante di Venezia di Shakespeare, il debitore che non può pagare si trova nelle mani del creditore, che può disporne come vuole: i1 Piemonte era, infatti, non solo l’unico stato completamente nelle mani dei banchieri inglesi, ma anche l’unico ad essersi quasi privato del tallone aureo per l’emissione della moneta. La Banca Nazionale degli Stati Sardi, creata nel 1848 e di proprietà privata, aveva una riserva aurea di 20 milioni di lire, ma emetteva tre lire di carta ogni lira d’oro.
…
Totalmente diverso, invece, il modello economico duo-siciliano. Il Banco delle Due Sicilie, a cui era affidata l’emissione monetaria, emetteva solamente ducati d’oro e d’argento. Non vi erano banconote, ma titoli di fede emessi esclusivamente a fronte di un avvenuto deposito. A unità compiuta, infatti, dei 607,4 milioni di lire a cui equivalevano le riserve auree del neonato Regno d’Italia, ben 443,2 milioni erano rappresentati dalle riserve borboniche e solamente 27 dal Piemonte.
Le même Mario Monti a déclaré mardi s’attendre à la démission du gouverneur de Sicile en raison des difficultés financières de la région autonome, désormais menacée de cessation de paiements. Evoquant dans un communiqué de “vives inquiétudes concernant la possibilité que la Sicile puisse se trouver en défaut”, le chef du gouvernement explique avoir écrit au gouverneur Raffaele Lombardo pour lui demander de confirmer qu’il aurait démissionné d’ici à la fin du mois.
“Les solutions envisageables qui impliquent l’intervention du gouvernement ne peuvent pas ne pas prendre en compte la situation de l’administration à l’échelon régional mais doivent s’y adapter afin de mettre en oeuvre les mesures les plus efficaces”, ajoute Mario Monti.
Massimo Degli Esposti ne “Il Resto del Carlino” 21 luglio 2012 p.2
• MILANO LO SPREAD? Per l’economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, «è il massimo del paradosso perché misura la malattia con la malattia». In altre parole, una febbre giustificata dalla febbre stessa. Quindi per lei, professore, i 500 punti di oggi non rispecchiano il reale rischio Italia?
«Nemmeno per idea. E’ una pura ingiustizia, una distorsione, una follia. Scelga lei. Non lo dico io, ma Fmi e Confindustria che parlano di 200-300 punti base in più del logico». Come lo giustifica? Contagio greco-spagnolo e instabilità politica, come sostiene Monti? Errata lettura dei fondamentali italiani? Congiura degli speculatori?
«Quando la tensione sui mercati raggiunge questi livelli c’è dietro un po’ tutto. Di certo è venuta meno qualsiasi razionalità. Mi auguro che il governo e l’Ue, una volta per tutte, chiariscano quello che io vado dicendo da anni, numeri alla mano: Usa, Gran Bretagna e Francia sono messe molto peggio di noi che, assieme alla Germania, siamo gli unici fra i grandi del G20 ad avere ancora un sistema produttivo competitivo, ricchezza privata, conti pubblici a posto». Conti pubblici a posto, dice, con un rapporto debito Pil del 125%?
«Quello è un rapporto che dice poco o nulla sulla situazione reale. Guardi la Spagna: è sotto l’80% ed è sull’orlo del default. Mentre l’America nel 2013 sarà al 110% ma nessuno pensa che sia a rischio e ha i tassi quasi a zero». Perché stupido? Non misura, secondo lei, la capacità di ripagare il debito?
«Non la misura affatto. E’ il patrimonio di un Paese a garantirne la solvibilità, non il Pii che può crescere in tanti modi, anche con la droga. Spagna, Manda e Grecia figurano ancora, nelle classifiche Ocse, fra i Paesi che nel decennio scorso hanno avuto il maggior tasso di crescita del Pii. Ma la Spagna e l’Irlanda sono cresciute rispettivamente sulle bolle immobiliari e finanziarie alimentate dal debito privato e dalle banche; l’America ha fatto più o meno altrettanto. La Grecia è cresciuta sul debito pubblico, la Gran Bretagna sui capitali russi e arabi che piovono su Londra, la Germania sui capitali italiani e spagnoli che scappano da qui per comprare i bund». Solo noi, dunque, siamo virtuosi?
«Guardi, noi certamente siamo stati cicale prima degli altri, negli anni 70 e ’80. Ma dal
92-93, quando il debito-Pil superò il 120% con un deficit pubblico del 12% e passa, abbiamo sempre tenuto i nostri conti sotto controllo. Vero è che per riuscirci abbiamo drenato all’economia 330 miliardi di manovre e abbiamo realizzato un avanzo primario cumulato mostruoso di 70 punti. Ovvio che in queste condizioni non potevamo che crescere meno degli altri. Però il debito per abitante da noi è cresciuto dai 22mila euro del ’95 a 32-33mila di oggi, mentre gli Usa sono passati da 15mila a 44mila, la Gran Bretagna da 7-8mila a 31 mila e via dicendo. In più abbiamo una ricchezza privata di 2.700 miliardi e un debito privato inferiore al 20% del Pil. Nessun altro al mondo è messo meglio» Quindi?
«Penso male: forse all’estero cercano di soffiarci la ricchezza finanziaria privata e il meglio della nostra industria manifatturiera. E ci stanno riuscendo».
Le stupide norme europee – che i nostri governi hanno firmato, pensando con furbizia italiota di aggirarle, e i tedeschi avrebbero chiuso un occhio – ci impongono di “rientrare” dal nostro debito pubblico, ridurlo dal 120% al 60 per cento del Pil, al ritmo di tagli del 3,6% de debito sul Pil. Il che si può fare – eccome no? – a patto di mantenere per vent’anni un bilancio in attivo, da dedicare al ri-pagamento del debito, e un attivo tanto grande da coprire quel 3,6.
Un surplus che la recessione divenuta depressione e adesso deflazione, rende matematicamente impossibile. Infatti solo un po’ d’inflazione (con un po’ di crescita) può ridurre non la misura assoluta del debito (che resterà colossale), bensì il “rapporto debito-Pil”; facendo aumentare in termini monetari il Pil, rispetto al quale il debito sembra minore. Tutti gli anni i governi italioti hanno scritto nei loro bilanci di previsione una ottimistica riduzione del rapporto. Ogni anno hanno fallito. “Il debito è stato il 121% del Pil nel 2011, 123 nel 2012, 129% nel 2013. Nel 2014, 132,7%”. Per effetto meccanico della deflazione e per le austerità imposte dall’Europa.
Questi dati, in un paese serio, avrebbero portato da tempo al cambio di classe dirigente. Invece la nostra celebra il suo trionfo dei “diritti civili”, con le facce della Cirinnà e Boldrini. Tagli dopo tagli (dei servizi pubblici, non dei loro stipendi), austerità dopo austerità (non per lorsignori), supertassazione dopo supertassazione (a carico dei produttori) non sono servite nemmeno a far declinare questo rapporto. http://www.maurizioblondet.it/la-ue-non-vi-uscire-dal-collasso-uscite-dalla-ue/
Se la sovranità della moneta è nelle mani di banche private, che la emettono a debito, la produzione di altro debito (e il conseguente moltiplicarsi degli interessi) è l’unico modo che un governo possieda per rifinanziarsi. Un circolo vizioso, che rende il debito impagabile sin dalla sua contrazione iniziale, perché il suo pagamento presuppone una quantità di denaro aggiuntiva (l’interesse) di cui lo stato non dispone. Così, come nel Mercante di Venezia di Shakespeare, il debitore che non può pagare si trova nelle mani del creditore, che può disporne come vuole: i1 Piemonte era, infatti, non solo l’unico stato completamente nelle mani dei banchieri inglesi, ma anche l’unico ad essersi quasi privato del tallone aureo per l’emissione della moneta. La Banca Nazionale degli Stati Sardi, creata nel 1848 e di proprietà privata, aveva una riserva aurea di 20 milioni di lire, ma emetteva tre lire di carta ogni lira d’oro.
…
Totalmente diverso, invece, il modello economico duo-siciliano. Il Banco delle Due Sicilie, a cui era affidata l’emissione monetaria, emetteva solamente ducati d’oro e d’argento. Non vi erano banconote, ma titoli di fede emessi esclusivamente a fronte di un avvenuto deposito. A unità compiuta, infatti, dei 607,4 milioni di lire a cui equivalevano le riserve auree del neonato Regno d’Italia, ben 443,2 milioni erano rappresentati dalle riserve borboniche e solamente 27 dal Piemonte.
Jacopo Castellini in Nexus n.98
DÉMISSION DU GOUVERNEUR DE SICILE
Le même Mario Monti a déclaré mardi s’attendre à la démission du gouverneur de Sicile en raison des difficultés financières de la région autonome, désormais menacée de cessation de paiements. Evoquant dans un communiqué de “vives inquiétudes concernant la possibilité que la Sicile puisse se trouver en défaut”, le chef du gouvernement explique avoir écrit au gouverneur Raffaele Lombardo pour lui demander de confirmer qu’il aurait démissionné d’ici à la fin du mois.
“Les solutions envisageables qui impliquent l’intervention du gouvernement ne peuvent pas ne pas prendre en compte la situation de l’administration à l’échelon régional mais doivent s’y adapter afin de mettre en oeuvre les mesures les plus efficaces”, ajoute Mario Monti.
Fonte: Le Monde
Massimo Degli Esposti ne “Il Resto del Carlino” 21 luglio 2012 p.2
• MILANO
LO SPREAD? Per l’economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, «è il massimo del paradosso perché misura la malattia con la malattia». In altre parole, una febbre giustificata dalla febbre stessa.
Quindi per lei, professore, i 500 punti di oggi non rispecchiano il reale rischio Italia?
«Nemmeno per idea. E’ una pura ingiustizia, una distorsione, una follia. Scelga lei. Non lo dico io, ma Fmi e Confindustria che parlano di 200-300 punti base in più del logico».
Come lo giustifica? Contagio greco-spagnolo e instabilità politica, come sostiene Monti? Errata lettura dei fondamentali italiani? Congiura degli speculatori?
«Quando la tensione sui mercati raggiunge questi livelli c’è dietro un po’ tutto. Di certo è venuta meno qualsiasi razionalità. Mi auguro che il governo e l’Ue, una volta per tutte, chiariscano quello che io vado dicendo da anni, numeri alla mano: Usa, Gran Bretagna e Francia sono messe molto peggio di noi che, assieme alla Germania, siamo gli unici fra i grandi del G20 ad avere ancora un sistema produttivo competitivo, ricchezza privata, conti pubblici a posto».
Conti pubblici a posto, dice, con un rapporto debito Pil del 125%?
«Quello è un rapporto che dice poco o nulla sulla situazione reale. Guardi la Spagna: è sotto l’80% ed è sull’orlo del default. Mentre l’America nel 2013 sarà al 110% ma nessuno pensa che sia a rischio e ha i tassi quasi a zero».
Perché stupido? Non misura, secondo lei, la capacità di ripagare il debito?
«Non la misura affatto. E’ il patrimonio di un Paese a garantirne la solvibilità, non il Pii che può crescere in tanti modi, anche con la droga. Spagna, Manda e Grecia figurano ancora, nelle classifiche Ocse, fra i Paesi che nel decennio scorso hanno avuto il maggior tasso di crescita del Pii. Ma la Spagna e l’Irlanda sono cresciute rispettivamente sulle bolle immobiliari e finanziarie alimentate dal debito privato e dalle banche; l’America ha fatto più o meno altrettanto. La Grecia è cresciuta sul debito pubblico, la Gran Bretagna sui capitali russi e arabi che piovono su Londra, la Germania sui capitali italiani e spagnoli che scappano da qui per comprare i bund».
Solo noi, dunque, siamo virtuosi?
«Guardi, noi certamente siamo stati cicale prima degli altri, negli anni 70 e ’80. Ma dal
92-93, quando il debito-Pil superò il 120% con un deficit pubblico del 12% e passa, abbiamo sempre tenuto i nostri conti sotto controllo. Vero è che per riuscirci abbiamo drenato all’economia 330 miliardi di manovre e abbiamo realizzato un avanzo primario cumulato mostruoso di 70 punti. Ovvio che in queste condizioni non potevamo che crescere meno degli altri. Però il debito per abitante da noi è cresciuto dai 22mila euro del ’95 a 32-33mila di oggi, mentre gli Usa sono passati da 15mila a 44mila, la Gran Bretagna da 7-8mila a 31 mila e via dicendo. In più abbiamo una ricchezza privata di 2.700 miliardi e un debito privato inferiore al 20% del Pil. Nessun altro al mondo è messo meglio»
Quindi?
«Penso male: forse all’estero cercano di soffiarci la ricchezza finanziaria privata e il meglio della nostra industria manifatturiera. E ci stanno riuscendo».
Le stupide norme europee – che i nostri governi hanno firmato, pensando con furbizia italiota di aggirarle, e i tedeschi avrebbero chiuso un occhio – ci impongono di “rientrare” dal nostro debito pubblico, ridurlo dal 120% al 60 per cento del Pil, al ritmo di tagli del 3,6% de debito sul Pil. Il che si può fare – eccome no? – a patto di mantenere per vent’anni un bilancio in attivo, da dedicare al ri-pagamento del debito, e un attivo tanto grande da coprire quel 3,6.
Un surplus che la recessione divenuta depressione e adesso deflazione, rende matematicamente impossibile. Infatti solo un po’ d’inflazione (con un po’ di crescita) può ridurre non la misura assoluta del debito (che resterà colossale), bensì il “rapporto debito-Pil”; facendo aumentare in termini monetari il Pil, rispetto al quale il debito sembra minore. Tutti gli anni i governi italioti hanno scritto nei loro bilanci di previsione una ottimistica riduzione del rapporto. Ogni anno hanno fallito. “Il debito è stato il 121% del Pil nel 2011, 123 nel 2012, 129% nel 2013. Nel 2014, 132,7%”. Per effetto meccanico della deflazione e per le austerità imposte dall’Europa.
Questi dati, in un paese serio, avrebbero portato da tempo al cambio di classe dirigente. Invece la nostra celebra il suo trionfo dei “diritti civili”, con le facce della Cirinnà e Boldrini. Tagli dopo tagli (dei servizi pubblici, non dei loro stipendi), austerità dopo austerità (non per lorsignori), supertassazione dopo supertassazione (a carico dei produttori) non sono servite nemmeno a far declinare questo rapporto.
http://www.maurizioblondet.it/la-ue-non-vi-uscire-dal-collasso-uscite-dalla-ue/