Mostra sul Tibet

Tibet, tesori dal tetto del mondo
Treviso Casa dei Carraresi
dal 30 ottobre 2012 al 2 giugno 2013
Con l’attuale mostra Tibet, tesori dal tetto del mondo si chiude uno straordinario ciclo espositivo realizzato con successo alla Casa dei Carraresi a Treviso.
In sette anni di certosino lavoro Adriano Madaro è riuscito ad avvicinare molti italiani alla cultura cinese grazie ad un progetto illuminato che ha portato in mostra ogni due anni un periodo della storia del Celeste Impero.
In un momento in cui la parola “Cina” suona tetra e minacciosa alle orecchie dei più, Madaro ha dato un significativo contributo alla conoscenza, libera da connotazioni politiche e interessi economici.
Se le quattro mostre dedicate alla Cina avevano un “debole” apparato esplicativo e non sempre rappresentavano al meglio la realtà storica e artistica del momento, l’attuale sul Tibet è davvero pregevole.
Adriano Madaro accompagna con la sua voce il visitatore in un viaggio attraverso reperti illustrati nel loro significato simbolico, evocativo o pratico, in un’ambientazione animata dalle suggestive immagini dei suoi scatti, incontrando appieno i sentimenti del pubblico, indipendentemente dalla sua formazione culturale.
Probabilmente le spiegazioni e le interpretazioni di Madaro faranno storcere il naso ai conoscitori del buddismo, ma alla luce della buona volontà e dell’entusiasmo del curatore, si può essere indulgenti e rimandare all’approfondimento personale la correzione delle specifiche informazioni.
Infine un altro merito dell’opera di Madaro è senz’altro l’appendice finale sulla storia del Tibet, poiché senza entrare in considerazioni di carattere politico, rivela fatti che è bene conoscere – e che in genere non sono conosciuti – degli stretti rapporti che hanno legato e tuttora legano i destini di Cina e Tibet.

Di grande interesse a proposito anche le recenti dichiarazioni dell’attuale Dalai Lama Tenzin Gyatso con le quali lo stesso rinuncia al potere politico sul popolo tibetano e mette in discussione il futuro del sistema dei Dalai Lama.


Film di famiglia

Cinematic Bologna

Dal 16 novembre 2012 al 12 gennaio 2013 lo spazio Esposizioni dell’Urban Center ospiterà la mostra Cinematic Bologna promossa dall’Associazione Home Movies in occasione del decennale delle sue attività.

Salaborsa – Piazza Nettuno, 3 – Bologna
tel.
051 2194455
fax 051 2194454
e-mail:
info@urbancenterbologna.it

La mostra Cinematic Bologna L’immagine della città nei film amatoriali girati tra il 1950 e il 1980 si pone a prolungamento dell’edizione 2012 di Archivio Aperto che quest’anno coincide con il decennale dell’attività di Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia.

La mostra Cinematic Bologna presenta, attraverso molteplici strumenti e dispositivi, una serie di percorsi urbani attraverso le immagini dei film amatoriali girati a Bologna tra il 1950 e il 1980, restituendo in una forma fruibile le immagini della città prodotte dai suoi abitanti in tempi e con modalità differenti. L’iniziativa è il risultato di ricerche negli Archivi di Home Movies ed è stata concepita come una mostra laboratorio che prervede al suo interno incontri, seminari e workshop. La mostra è un tuffo emozionale dentro immagini stupefacenti di luoghi e situazioni che qualcuno ricorderà e ricoscerà e che altri vedranno per la prima volta, immagini di un passato ‘comune’ dal forte valore simbolico. Il trentennio prescelto, 1950-1980, rappresenta una stagione contraddistinta dalla crescita economica e sociale, un lungo dopoguerra in cui la città si è ingrandita ed è cambiata. Salvate dall’oblio, queste immagini diventano di fatto paesaggi della memoria che stimolano tanto un’indagine e una conoscenza archeologica quanto una comprensione geografica e topografica di un’ideale città filmata, continuamente da mappare ed esplorare. Una città da conoscere per trovare idee sulla città reale, presente e futura.

Il programma all’Urban Center:

  • sabato 24 novembre ore 10.00 – sala Atelier Filming Bologna – Workshop di ripresa e sviluppo in Super8 – I° incontro
  • Venerdì 30 Novembre – Libreria Coop Zanichelli, Piazza Galvani, 1/h – Bologna
    Ore 18.00 – La Passione di Paola. Non di soli Carracci vive l’uomo
    Incontro con Paola Pallottino, storica dell’illustrazione, disegnatrice e paroliera. Proiezione di film di famiglia e di un breve estratto dal documentario La passione di Paola di Elisa Satta e Michele Pompei realizzato in collaborazione con Home Movies e Kinè.
  • giovedì 6 dicembre ore 18.00 – sala Atelier Mauro Mingardi – Vita da Filmmaker > scarica la scheda
  • sabato 15 dicembre ore 10.0019.30 sala Atelier Studiare la città attraverso i film amatoriali – Workshop di Storia Urbana con Les Roberts, Pierre Sorlin, Luisa Cigognetti e Paolo Simoni
  • giovedì 20 dicembre ore 18.00 – sala Atelier La città apre le porte e cammina per strada – Suoni, immagini e parole – Dialogo tra immagini, parole e suoni sui testi di Loriano Macchiavelli e Roberto Roversi. Letture di Paolo Bondioli, musiche originali dei Testa de Porcu di Diego D’Agata. Montaggio e Regia a cura di Gisella Gaspari e Roberto Benatti
  • sabato 12 gennaio 2013 ore 18.00 – sala Atelier Da Bologna a Stalino. Un film inedito sulla spedizione in Russia dell’Esercito italiano (1942) di Enrico Chierici. Ipotesi di ricostruzione filologica di un film amatoriale: il viaggio delle truppe italiane verso il fronte russo attraverso le immagini ritrovate e restaurate di Enrico Chierici, sottotenente della 3° Sezione Fotografi del Comando dell’8° Armata > scarica la scheda

Altri incontri e workshop sono in programma presso Libreria Coop Zanichelli, Cineteca di Bologna e Modo Infoshop.

:: Scarica tutto il programma

Contatti:
Associazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia
Via Sant’Isaia, 18 – 40123 Bologna
Tel.: 051-3397243 – Fax: 051-3397272
www.homemovies.itinfo@homemovies.it

Elara day

In Via Fossolo 10 a Bologna,  sabato 24 novembre si svolgerà, con orario continuato dalle ore 10 alle ore 18, un particolarissimo Elara Day, del quale troverete programma e segnalazione nel Flash del sito www.elaralibri.it. La giornata è dedicata alla conclusione della nostra campagna a favore di Ugo Malaguti, che sarà comunque ospite e incontrerà con gioia quei lettori la cui presenza gli manca molto in questo periodo difficile. Troverete novità e titoli esauriti, i Poster, regalo ideale per Natale, che potrete procurarvi solo da noi, comics americani originali, materiale collezionistico, le ultime novità di Elara, e anche un piccolo contingente di libri in offerta speciale perché leggermente danneggiati… insomma, una giornata importante, non solo per i tradizionali visitatori degli Elara Day, ma di tutti coloro che amano Ugo Malaguti e hanno l’occasione di aiutarlo e di vederlo tra noi.

Cogliamo l’occasione per ricordare l’uscita di Babylon Sisters nelle due versioni, quella rilegata con le presentazioni dell’autore, e quella tascabile.
L’invio del pieghevole di novembre dovrebbe far giungere a tutti i lettori iscritti nel nostro schedario cartaceo le notizie sulle ultime novità.
Ricordiamo anche che sono aperte le prenotazioni per il libro di dicembre, I custodi del tempo di David Gerrold, una scelta fatta da Ugo che lo definisce “la più divertente, complessa, affascinante space opera che io abbia letto negli ultimi venticinque anni”. Il volume partirà ai primi di dicembre, prenotatelo subito attraverso PayPal o con qualsiasi altro mezzo.
L’Elara Day di sabato 24 novembre avrà un’apertura con orario continuato dalle ore 10 alle ore 18. Per l’occasione ci saranno rarità di ogni genere, opportunità di fare ottimi affari, e sicuramente l’oggetto dell’affetto e delle preoccupazioni di tutti gli amici, lo stesso Ugo Malaguti, sarà ospite nel corso della giornata e sarà una buona occasione per dimostrargli la nostra amicizia e il nostro affetto.

Promozione associazionismo

A Ferrara il 6 dicembre alle 15 presso il Jazz Club di Via Rampari di Belfiore

24 novembre h.10 Hotel Europa Bologna

Analisi degli aspetti e della disciplina giuridico/amministrativa delle associazioni culturali di promozione sociale

Avv. Guido Martinelli: Confronto tra le norme vigenti per le associazioni culturali e quelle per le sportive: similitudini e differenze. La disciplina fiscale dei ricavi di una associazione culturale;

Avv. Carmen Musuraca: I certificati di agibilità teatrale e la gestione inps ex Enpals;

Avv. Ernesto Russo: Volontariato e attività retribuita: disciplina fiscale, assicurativa e previdenziale.

In collaborazione con Studio Legale Associato Martinelli Rogolino.

Sala Parigi Hotel Europa – Via Boldrini 11 – Bologna

28 novembre h.17 Circolo A. Saffi Forlì

Analisi degli aspetti e della disciplina giuridico/amministrativa delle associazioni culturali di promozione sociale

Avv. Ernesto Russo

Confronto tra le norme vigenti per le associazioni culturali e quelle per le sportive: similitudini e differenze.                                                                                           La disciplina fiscale dei ricavi di una associazione culturale.                                                                                                   Volontariato e attività retribuita: disciplina fiscale, assicurativa e previdenziale.

Circolo A. Saffi c/o Sala Cento del Cinema Saffi D’Essai Multisala – Viale dell’Appennino 480 Forlì

6 dicembre h. 15 Jazz Club Ferrara

Project management applicato ai progetti culturali e di spettacolo

Il Project Management come metodologia adeguata alla gestione di progetti culturali in ambito istituzionale e aziendale.

Presentazione della Matrice di Projecet Management, dei gruppi di processi (ideazione, pianificazione, realizzazione e chiusura), delle aree di conoscenza, dei processi fondamentali e di quelli secondari.

Presentazione di alcuni progetti sviluppati da Cronopios (www.cronopios.it) con questa metodologia.

Il Jazz Club Ferrara si racconta… Il Jazz club (www.jazzclubferrara.com) inizia la sua attività nel 1977 e da allora non ha subito alcuna interruzione. Dal 1999 il Jazz Club, opera nella prestigiosa sede del Torrione San Giovanni (splendido bastione rinascimentale parte del complesso della cinta muraria della città ) all’interno del quale, grazie al contributo del Comune di Ferrara, della Regione Emilia Romagna e di una fitta schiera di partners, i soci possono fruire di circa cento concerti annuali dai primi di ottobre a fine aprile. Una esperienza da raccontare come esempio di buona gestione di una associazione culturale/musicale.

Jazz Club Ferrara – Torrione di San Giovanni Via Rampari di Belfiore Ferrara

GLI INCONTRI SONO GRATUITI E APERTI ALLA CITTADINANZA.

Per info: www.endas.net – endas.er@endas.net – 051/4210963 – su Facebook Endas Emilia Romagna

Letteratura ambientale

Andrea Segrè e Luca Falasconi
IL LIBRO BLU DELLO SPRECO IN ITALIA: L’ACQUA
Intervento di Luca Falasconi
L’acqua. Elemento fondamentale per la vita sulla Terra. Ciascuno di noi pensa a quanta ne beve, ne consuma per lavarsi, ne utilizza per la lavatrice, la lavastoviglie.
Ma nessuno di noi considera quanta acqua viene consumata per produrre il cibo che mangiamo. 1 chilo di carne di manzo, ad esempio, equivale a 16.000 litri di acqua utilizzata per alleviare l’animale e dunque far crescere il foraggio, abbeverarlo.

Come spesso accade la risposta è vicina, molto più di quanto pensiamo. Ridurre gli sprechi di acqua informandosi sulla provenienza del cibo che portiamo in tavola o semplicemente chiudendo il rubinetto mentre ci facciamo la doccia, è uno stile di vita, che un numero sempre maggiore di italiani sta praticando.

Andrea Segrè e Luca Falasconi ci aprono gli occhi sugli sprechi e su come evitarli, riducendo le emissioni in atmosfera, rispettando le risorse naturali e soprattutto spendendo meno!
Luca Falasconi, ricercatore presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e docente di Politica agraria e sviluppo rurale, è co-fondatore e socio di Last Minute Market.

Andrea Segrè è professore ordinario di Politica agraria internazionale e
comparata e preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. È fondatore e presidente di Last Minute Market, spin-off accademico dell’Università di Bologna.
A cura di Legambiente – Circolo il Raggio Verde di Ferrara

SABATO 24, ORE 9.30, PRESSO BIBLIOTECA ARIOSTEA

Maria Paiato al Comunale

TEATRO COMUNALE DI FERRARA
sabato 24 novembre – ore 21 – Turno A
domenica 25 novembre – ore 16 – Turno E

MARIA PAIATO IN
ANNA CAPPELLI, UNO STUDIO

di Annibale Ruccello
regia Pierpaolo Sepe
scene Francesco Ghisu
costumi Gianluca Falaschi
luci Carmine Pierri

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maria paiato torna a ferrara con anna cappelli DI RUCCELLO
UNA STORIA DI FOLLIA E DI PIETÀ

A tre anni da L’Intervista (stagione di Prosa 2009/2010), Maria Paiato è di nuovo in scena al Teatro Comunale di Ferrara con Anna Cappelli di Annibale Ruccello, secondo spettacolo della stagione di Prosa 2012/2013. Sabato 24 e domenica 25 novembre, l’attrice – che è nata a Stienta ma a Ferrara ha studiato e si è formata – ritorna per la seconda volta da protagonista sul palcoscenico di quella che considera a tutti gli effetti la sua città. Lo spettacolo è una produzione della Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile di Innovazione. La regia è firmata da Pierpaolo Sepe, le scene sono di Francesco Ghisu, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Carmine Pierri.
Maria Paiato è considerata una delle più grandi attrici del teatro italiano. Tra i numerosi riconoscimenti, ricordiamo due premi Ubu (2005 e 2006), due Olimpici del Teatro (2004 e 2007), la Maschera d’Oro 2005 e il Premio Eleonora Duse 2009. Dopo l’esordio nella Maria Zanella e la consacrazione di Erodiade, si conferma ancora una volta incontrastata padrona della scena nell’interpretazione di questo nuovo personaggio: “La migliore Anna Cappelli che finora si sia vista e ascoltata, la più intensa e commovente, la più fraterna e inquietante”, come ha scritto il critico teatrale Enrico Fiore sul Mattino di Napoli.
Il monologo racchiude una storia piccola che ha come protagonista una persona comune osservata mentre scivola nella follia fino a farsi “mostro”, ma che Annibale Ruccello – geniale drammaturgo scomparso a soli trent’anni a meta degli anni Ottanta – colma di pietà, la pietà per i deboli, i traditi, i pazzi, i disperati, gli emarginati. Anna Cappelli è una donna che vive in una cittadina di provincia. Impiegata al Comune, ha  una stanza in affitto da una fastidiosa signora. Dopo anni estenuanti passati in solitudine e ostilità verso il mondo, cerca un compagno di vita. S’innamora di Tonino Scarpa, ragioniere, che non la vuole sposare, ma vuole vivere con lei. Accetta, ma viene emarginata da tutti. Dopo anni di vita comune, lui decide di vendere l’appartamento, cacciarla di casa e trasferirsi in Sicilia. A questo punto scatta in Anna qualcosa che la spinge verso la f ollia. La sua risposta alla solitudine dopo l’ennesimo abbandono sarà violentissima e insieme teneramente straziante. Anna è una delle figure deliranti di Annibale Ruccello, contaminate da una solitudine usuale e dilagante entro la quale, come in un bozzolo corrotto, si annida l’angoscia più profonda dell’esistenza. Ossessionata dall’idea di avere qualcosa di suo che le appartenga oltre ogni cambiamento, diventa parabola di un furore del possesso, inteso come unico antidoto a quell’irrimediabile perdita che è l’esistenza nella sua veste più brutale.
Afferma il regista Pierpaolo Sepe: “Il testo è insidioso e pieno di trabocchetti. Il delirio naturalistico e minimale, ambientato in una miserabile Italietta degli anni Sessanta, a una lettura poco attenta può sembrare scarsamente dotato di una vena originaria limpida e necessaria; ma a uno sguardo più accorto non sfugge la mostruosa e depravata sottocultura piccolo-borghese che invade ogni respiro del dramma, incarnandosi in una donnina in apparenza docile e insignificante. L’intelligenza dell’autore sta nel nascondere, dietro la follia della normalità, un processo culturale drammatico che ha vissuto il nostro paese: la protagonista del dramma porta in sé la miseria degli anni in cui divenne importante avere piuttosto che essere”.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Comunale con due repliche: sabato 24 novembre alle 21 (turno A); domenica 25 novembre alle 16 (turno E). Biglietti da 8 a 30 euro. Info: 0532 202675 – http://www.teatrocomunaleferrara.it

Il romanzo di centro e di periferia

di Alberto Bagnai

I protagonisti sono due: quello maschile è un paese sviluppato, lo chiameremo “il centro”, con una forte base finanziaria e industriale; quello femminile è un paese, o un gruppo di paesi, relativamente arretrato, che chiameremo “periferia”.

Fra centro e periferia l’attrazione è subitanea e fatale (soprattutto per la periferia), ma, come in ogni trama che si rispetti, la diversità di origini pone qualche problema. Dove sarebbe altrimenti l’interesse della storia? La storia è interessante proprio perché i protagonisti sono diversi, molto diversi.

Il centro è un ragazzo moderno, spregiudicato, mentre la periferia è una ragazza all’antica, risparmiatrice, saggia, e un po’ repressa. Che pensate? No, non sessualmente repressa! Questo, al centro, non interessa. Non ricordate? Il centro è virtuoso. Lapida le adultere (dopo esserci andato a letto).

No, la periferia è, come dicono gli economisti, un po’ repressa finanziariamente, il che significa, in buona sostanza, che nella periferia lo Stato mantiene un certo grado di controllo sul circuito del risparmio e dell’investimento.

Ad esempio, pensate un po’ che idea bislacca, nella periferia si considera la politica monetaria come uno strumento a disposizione dell’azione del governo, da mantenere, sia pure in forma mediata, sotto il controllo della sovranità democratica dei cittadini. Avete capito bene: è esattamente quello che gli intellettuali della nostra sinistra definirebbero “populismo”, che è poi il termine con il quale certi sinistri intellettuali etichettano qualsiasi circostanza nella quale il popolo non fa ciò che loro hanno deciso che faccia. Che ne sa il popolo della moneta?

La periferia è repressa e populista, e da questo scaturiscono tutta una serie di vetuste pratiche: la banca centrale non è “indipendente” (che poi significa indipendente dai lavoratori, ovviamente, non dai capitalisti), e una serie di istituzioni finanziarie (banche, fondi pensione) sono sotto il diretto o indiretto controllo dello Stato; il costo del denaro quindi non è fissato ad arbitrio del mercato, ma è gestito, indirizzato, dallo Stato; e per realizzare questo obiettivo i movimenti internazionali di capitali sono sottoposti a controlli, perché altrimenti i capitali fuggirebbero in cerca di miglior remunerazione altrove; ma non solo i deflussi, anche gli afflussi di capitali sono controllati, dalla periferia repressa: l’idea moderna che le aziende (pubbliche o private) nazionali siano lì per essere messe in vendita al miglior offerente, questa idea tanto progredita, nella periferia ancora non è arrivata; e questo vale soprattutto in ambito finanziario, dove si applica alle banche estere quel principio che i paesi progrediti applicano solo ai lavoratori esteri: “Io non sono razzista, basta che ognuno stia a casa sua”; principio che fa rabbrividire quando è applicato alle persone, e anche quando non è applicato alle banche; invece, guarda un po’, la periferia è talmente repressa che perfino le istituzioni finanziarie nazionali vengono controllate dallo Stato, che impone loro vincoli di portafoglio, che poi significa che queste istituzioni sono obbligate ad acquistare una certa quota di titoli del debito pubblico; e impone anche massimali sul credito, che significa che le banche non possono prestare troppo, cioè che i privati non possono indebitarsi troppo; del resto, nemmeno lo Stato si indebita troppo, e anzi il suo debito in rapporto al Pil scende, perché i tassi di interesse sono tenuti sotto controllo, e quindi non è necessario rincorrere, aumentando la pressione fiscale e diminuendo la spesa per i servizi essenziali, l’esplosione della spesa per interessi (che poi significa redistribuire reddito dai contribuenti che contribuiscono ai detentori dei titoli del debito… che spesso non contribuiscono).

Ecco: questa è la repressione finanziaria. Non se n’è occupato Sigmund Freud, ma Carmen Reinhart (fra gli altri). Qualcuno, più cortese, la chiama “regolamentazione” dei mercati finanziari.

Vi sembra un mondo così strano, così vetusto? Be’, avete memoria corta: fino agli anni ’80 questo mondo è stato il nostro mondo, il mondo occidentale, ed è ormai chiaro che occorre che torni nuovamente a esserlo.

Comunque, quel mondo ora non è più il nostro, e quindi così non va: il centro, che è un ragazzo evoluto, non può mica presentare ai propri genitori, i mercati, una ragazza così fuori moda! E allora il centro “suggerisce” alla periferia qualche riforma, anzi, due riforme a caso, sempre quelle: l’adozione di un tasso di cambio fisso e la liberalizzazione, dei mercati finanziari, e anche, a valle, dei movimenti internazionali di capitale.

Il centro, che è un po’ un furbetto, ottiene così due vantaggi. Vantaggio numero uno: in periferia la liberalizzazione dei mercati finanziari necessariamente fa salire i tassi d’interesse. Pensate: lo Stato non può più contare su una serie di acquirenti istituzionali per i suoi titoli (non la Banca centrale, che diventa “indipendente”; non le banche e i fondi pensione, che piano piano passano in mano al settore privato), e quindi per finanziarsi deve offrire tassi d’interesse più alti.

Ma anche i tassi del settore privato vengono liberalizzati, e quindi tendenzialmente crescono. Pensate: in periferia di capitali in effetti bisogno ce n’è, visto che, come abbiamo detto, la sua base industriale è arretrata, il che necessariamente comporta che i tassi d’interesse tendano ad essere alti. Ma prima, quando la periferia era repressa, lo Stato in qualche modo controllava il costo del denaro, mantenendolo entro limiti da lui stabiliti. Certo, in questo modo il denaro costava relativamente poco, ma se l’economia si surriscaldava, perché gli imprenditori ne prendevano troppo in prestito, lo Stato interveniva, magari con strumenti di tipo quantitativo, come il massimale sugli impieghi: se, per un dato costo del denaro, il settore privato si stava indebitando troppo, finanziando in debito la propria domanda di beni, semplicemente lo Stato proibiva alle banche di prestare oltre un certo limite. Ma ora i controlli quantitativi vengono aboliti: che brutta cosa, sa di economia pianificata, mica siamo bolscevichi! Il mercato sa cosa fare, lasciamo che domanda e offerta siano guidate dal prezzo, liberalizziamo i tassi! Quindi, se si vuole evitare che venga erogato troppo credito necessariamente bisogna lasciare che il tasso di interesse cresca. Certo: in questo modo gli imprenditori locali ci pensano due volte a indebitarsi a tassi più alti (legge della domanda e dell’offerta: costa di più, compro di meno).

Ma… forse avete dimenticato un dettaglio. Eh già! Abbiamo liberalizzato anche i movimenti internazionali di capitali. E allora cosa succede? Succede che i creditori del centro, le grandi banche del sistema maturo, attirati dai tassi più alti, esportano i capitali in periferia. Capitali ne hanno, e come! Il centro ha un’industria che guadagna bene, e gli industriali non son soliti tenere i soldi sotto il materasso, sapete? Quindi le banche del centro i soldi ce li hanno, e li spostano in periferia, dove lo Stato e i privati pagano interessi più alti che nel centro, maturo, sazio e repleto di capitali.

Come fanno? In mille modi: aprono filiali delle loro banche nella periferia (ora si può); aprono finanziarie che gestiscono il risparmio o erogano credito al consumo (ora si può); magari integrano queste finanziarie nelle catene di distribuzione (supermercati, concessionarie) che nel frattempo si sono acquistate (ora si può); e poi possono sempre intervenire nei mercati borsistici e acquistare pacchetti di controllo di aziende nazionali (ora si può); e se qualche azienda nazionale che fa bei soldi fosse, malauguratamente, pubblica, non c’è problema: si comprano due o tre giornali (ora si può) e un po’ di ministri (questo si è sempre potuto), e si comincia a diffondere ventiquattro ore su ventiquattro l’idea che lo Stato è inefficiente e fonte di ogni male, e che quindi bisogna privatizzare le aziende pubbliche, partendo da quelle che funzionano, e il gioco è fatto.

Illustri economisti, dalle colonne di prestigiosi quotidiani, annuiranno compiaciuti.

Ma perché siamo partiti dalla fissazione del cambio? Ma è semplice! Perché i capitalisti del centro desiderano (legittimamente) lucrare lo spread, la differenza, fra i tassi d’interesse, senza patire rischio di cambio, cioè senza correre il rischio che la periferia svaluti, come sarebbe in fondo naturale per un paese che diventa importatore netto di capitali e quindi di merci. In fondo non c’è nulla di male: giochi innocenti, purché si sappia smettere al momento debito (cioè: al momento giusto, ma non so perché mi è venuta la parola “debito”).

E poi, pensateci un momento. Se anche i tassi d’interesse fossero uguali al centro e alla periferia, fissando il cambio, un effetto comunque lo si ottiene. Sapete quale? Ve lo dico subito: aumenta lo spread. “Come?” direte voi “Ma adottando un cambio credibile non si abbassano forse gli spread, com’è successo in Europa, dove i greci e gli spagnoli hanno potuto beneficiare di tassi tedeschi?” Aspettate un attimo: al vostro ragionamento manca un pezzo.

Se si effettua un investimento in un’altra valuta, nel rendimento complessivo bisogna anche considerare la rivalutazione o svalutazione attesa di questa valuta. Esempio pratico: prima dell’euro, il tedesco che prestava allo spagnolo doveva guardare non solo ai tassi d’interesse (più alti in Spagna), ma anche a cosa avrebbe fatto il cambio. Ti serve a poco guadagnare un punto di interesse in più prestando a Carlos anziché a Hans, se poi Carlos svaluta, poniamo, del 4%, giusto? Dice: ma noi quando parliamo di spread confrontiamo solo due tassi di interesse, mica parliamo di cambio. E certo, appunto: oggi il cambio non c’è più: è 1 euro (italiano) per 1 euro (tedesco). Per questo non parliamo di cambio, perché il cambio non c’è. Ma quando c’era se ne parlava.

Vuoi un esempio? Nel 1998, un anno prima dell’entrata in Eurolandia, il tasso d’interesse sui titoli a lungo termine era 4.8 in Spagna contro 4.6 in Germania (dati IFS, 2010), e quindi lo spread era 0.2, cioè 20 punti base. Ma siccome la peseta nel 1998 perse circa l’1.2% sul marco, lo spread effettivo, cioè corretto per la svalutazione, fu negativo: 0.2-1.2=-1.0, cioè l’investitore tedesco prestando a Carlos in fondo ci avrebbe rimesso. Meglio prestare a Hans. Nel 1999 i due tassi erano entrambi scesi, di conserva: Germania 4.7, Spagna 4.5. Lo spread quindi era 0.2, come l’anno prima. E quello corretto per la svalutazione? Ehi, amico, sveglia! Nel 1999 c’era l’euro, quindi non bisognava più correggere per la svalutazione. Capisci cosa significa? Significa che lo spread della Spagna era passato da -1.0 a 0.2, cioè era aumentato di 1.2, di 120 punti base. Con l’euro, meglio prestare a Carlos, no? Sembra poco, lo so, a me e a te che movimentiamo un conto corrente a tre zeri (se va bene): ma se tu muovessi milioni di euro, questa differenza di rendimenti diventerebbe significativa, credimi, e porteresti i tuoi soldini dove essa è positiva: nell’esempio, in Spagna.

L’arrivo di liquidità in periferia apre nuove opportunità d’investimento e di consumo, sia perché l’afflusso di denaro dall’estero, piano piano, dopo la fase iniziale, fa diminuire tassi e spread (legge della domanda e dell’offerta), sia perché la liberalizzazione dei mercati finanziari crea nuove possibilità di spesa. Nel mondo represso non si “fanno le rate” per un televisore. In quello libero sì. Gli economisti li chiamano “mercati finanziari perfetti”, quelli dove si può avere tutto subito, perché trovi sempre qualcuno che ti finanzia, ovviamente pagando un prezzo. Quindi la periferia è euforica: le sembra di toccare il cielo con un dito: titillata dai capitali del centro raggiunge vette di piacere consumistico per lei insospettate fino a pochi mesi prima. Orgasmi multipli, lubrificati dalle rate: nuova automobile, nuovo frigorifero, nuovo televisore… Per non parlare della possibilità di contrarre mutui per acquistare prime, e anche seconde case (perché spesso, nella periferia, la prima casa una famiglia ce l’ha)…

Come avrete capito, qui subentra il secondo vantaggio per il centro: drogando coi propri capitali la crescita dei redditi della periferia, il centro si assicura un mercato di sbocco per i propri beni, che i cittadini della periferia possono ora acquistare grazie agli effetti diretti e indiretti di un più facile accesso al credito.

Insomma: è la solita storia. Il centro versa da bere, la periferia, distratta (d’accordo, non sempre), beve, e accorda al centro gli estremi favori… dei suoi cittadini, che comprano, comprano, comprano, assorbendo il sovrappiù del maturo sistema industriale del centro.

Inizia la parte triste della storia.

La periferia si gonfia.

E anche qui siete fuori strada: non è una gravidanza, ma una bolla.

Cos’è una gravidanza lo sapete, questo è decisamente un libro per adulti. Ma siete sicuri di sapere cos’è una bolla? Come la definireste? Va bene, dai, non voglio mettervi in difficoltà. In fondo, se qualcuno chiedesse a me cos’è esattamente una gravidanza, non sono sicuro che saprei rispondere in modo tecnicamente esatto. Una bolla è lo scostamento del prezzo di un’attività finanziaria dal suo valore fondamentale. Mi spiego. Il valore attuale di un’azione, in linea teorica, dipende dal valore dei dividendi futuri, da quanto reddito l’azione ti garantisce nel lungo termine. Un valore incerto, naturalmente. L’azione però può anche essere comprata e venduta liberamente, lo sapete. Ora, succede che se qualcuno si aspetta che i rendimenti futuri crescano, offrirà di più per acquistare una data azione. E se qualcuno si aspetta che qualcun altro offra di più per acquistare un’azione, cercherà di acquistarla, per venderla quando l’altro sarà disposto a pagarla di più, ma così facendo (cioè acquistandola) contribuisce a farne salire il prezzo. Si chiama “aspettativa che si autorealizza” (self-fulfilling expectation). Ora, siccome al primo che fa questo ragionamento le cose vanno, evidentemente, bene, anche un secondo, e poi un terzo, e poi un quarto, si accodano, domandando quell’azione, il cui prezzo viene spinto su da una domanda che non ha più alcuna relazione con il rendimento atteso a lungo termine (i dividendi futuri), ma solo con l’aspettativa che tutti hanno che il prezzo cresca.

Capite cosa vuol dire che il prezzo si scosta dal valore fondamentale? La matematica finanziaria ci insegna che con tassi al 5%, ha un senso pagare 20 un pezzo di carta che ogni anno ti paga un reddito di 1. Ma se per qualche motivo quel pezzo di carta lo vogliono tutti, tu magari ti trovi a pagarlo 100, e lo fai volentieri, perché pensi che dopodomani lo vendi a 150. Perbacco! Vuoi mettere il 50% in due giorni rispetto al 5% in un anno?

Ma quanto possano essere lunghe quarantotto ore lo sanno bene quelli che avevano azioni in portafoglio il 25 ottobre del 1929, aspettando la riapertura dei mercati il lunedì successivo, sì, proprio quello passato alla storia come “lunedì nero”.

E la bolla immobiliare? Semplice: tornate indietro di qualche riga, sostituite alla parola “azione” la parola “appartamento”, e alla parola “dividendo” la parola “affitto”, ed ecco la bolla immobiliare. La quale, però, una differenza ce l’ha: che gli appartamenti sono meno “liquidi” delle azioni: non basta telefonare al proprio promotore finanziario per disfarsene…

Insomma: la periferia, grazie ai capitali esteri, cresce. Crescono i consumi, crescono anche gli investimenti. Allettati dalla sua crescita, i mercati convogliano verso di essa capitali in misura sempre maggiore, tanto più che la crescita drogata dal debito privato (i capitali esteri prestati a famiglie e imprese) causa un miglioramento delle finanze pubbliche: il rapporto debito pubblico/Pil si stabilizza o scende. I grulli (o i furbi?) per i quali “l’unico debito è quello pubblico” sono così rassicurati. Quanto sembra virtuosa la periferia agli sceriffi (ingenui o conniventi?) del Fondo Monetario Internazionale! Vedi? La periferia è una brava ragazza, ha fatto quello che dicevamo noi, gli sceriffi: si è data un cambio “credibile” (infausto eufemismo), si è fatta un tantinello zoccola, cioè si è liberalizzata, e i risultati si vedono…

Libertà (finanziaria), quanti delitti si commettono in tuo nome!

L’afflusso di capitali non è più guidato dallo spread, dalla differenza fra tassi della periferia e tassi del centro. Può infatti accadere (ma non sempre accade) che questa differenza si riduca: la mobilità dei capitali, dicono i libri degli economisti, eguaglia i rendimenti da un paese all’altro (legge della domanda e dell’offerta). Non è sempre così, ma anche fosse, ormai quello che attira i capitali in periferia non è il tasso d’interesse, il rendimento a lungo termine, ma il guadagno in conto capitale, la crescita convulsa del prezzo delle attività.

Nell’economia drogata sale la febbre: l’accesso al credito facile fa salire l’inflazione, e se all’inizio ci si rivolgeva all’estero per comprare beni di lusso, col tempo i prodotti esteri diventano competitivi anche sulle fasce più basse, perché i prezzi interni sono cresciuti, quindi il deficit commerciale si approfondisce, e occorrono nuovi capitali esteri per finanziarlo. Del resto, lo abbiamo detto prima: un importatore netto di capitali è anche un importatore netto di beni.

Proprio così: drogata, la periferia è drogata di capitali esteri, e la dose deve essere sempre maggiore, per fare effetto. Non c’è crimine verso se stessa che la periferia non perpetri pur di ottenerla. Si prostituisce in ogni modo, distruggendo in pochi anni lo stile di vita e le ragionevoli aspettative di reddito dei suoi cittadini, che si vedono privati dall’oggi al domani di diritti che ritenevano acquisiti, come quelli all’assistenza e alla previdenza; smantellando il proprio sistema industriale, che tanto non le serve più, perché i capitali arrivano, quindi arriveranno sempre, e sarà sempre possibile acquistare all’estero, dove lo fanno tanto meglio, quello che non si ha più convenienza a produrre in casa; cedendo insomma il meglio di se stessa, tutta se stessa, al centro.

“Mi ami, centro?” “Certo, periferia!” “E mi amerai sempre, vero?” “Certo, sciocchina, che domande sono! A proposito, ma cosa te ne fai di quell’industria petrolifera, come si chiama… Ani, Azienda nazionale idrocarburi… Dai, dammela, su, dammi l’Ani, che in cambio avrai un afflusso di capitali che neanche te l’immagini” “Ma devo darti anche questo?” “Ormai mi hai dato tutto!” “Ma la mamma mi ha detto…” “La mamma? Ma hai visto Solone e Licurgo dalle colonne del Corriere? Vedi come ti incitano a vendere l’Ani” “Ma io ho un po’ paura…” “Ma io ti amo, periferia. Dai, dimmi di sì, e vedrai quanta liquidità inietterò nel tuo circuito…”

La sventurata rispose.

Il fatto però è che esiste una legge non so se dell’economia o proprio della natura, quella che dice che “il troppo stroppia”. In economia penso la chiamino legge dei rendimenti decrescenti. Trovare impieghi produttivi per masse enormi e crescenti di capitali non è facile, e gli afflussi di capitali (sì, proprio quelli dei quali i nostri Quisling tanto lamentano la carenza in Italia), sono, per il paese che li riceve, debiti esteri, che occorrerà rimborsare, e che però, quanto più crescono, tanto meno producono i redditi necessari a ripagarli.

Ah, non lo sapevate? Come? Proprio voi, i luogocomunisti, gli spaghetti-liberisti, gli araldi del libero mercato e dell’economia ortodossa, mi ignorate quest’altra semplice verità: non ci sono pasti gratis, no free lunch, non puoi avere qualcosa per niente. Ah, capisco, capisco… In effetti, sì, mi era sembrato di leggere qualcosa del genere nei giornali italiani. Sapete, io ormai li uso solo per incartare il pesce, e così, fra una squama di branzino e uno schizzo di nero di seppia mi era sembrato in effetti di intravvedere che esiste in Italia una sinistra genia di imbecilli che pensa che i capitali arrivino dall’estero gratis, che gli imprenditori esteri comprino azioni italiane, o comunque acquisiscano il controllo di aziende italiane, perché noi siamo simpatici, creativi, insomma, perché ci vogliono bene. E che quindi gli afflussi di capitali sono un bene: noi ne abbiamo bisogno, loro ce li danno, e la storia finisce lì. Ma pensavo di aver letto male, sapete, nella fretta, la padella sul fuoco, gli ospiti in terrazza… Invece voi mi dite che c’è veramente qualcuno che è così cretino da pensare che l’estero i capitali li regali!? E quindi che la svendita delle aziende pubbliche e private italiane a investitori esteri vada non solo non ostacolata, ma addirittura favorita!? E mi dite addirittura che glielo fanno scrivere sui giornali!?

Ma io, da domani, con quei giornali non ci incarto più nemmeno il pesce. Il nobile branzino non merita un sudario tanto abietto

Vi spiego: chi presta, che deve farsi ridare i soldi con gli interessi, lo sa. Mica pensa di regalarli. Fosse scemo! E questo vale per tutti i tipi di prestiti, capite?

Esempio: chi acquista un’azienda in periferia non lo fa perché vuole portare in periferia lavoro e crescita (in effetti, in due casi su tre comincia col licenziare qualcuno, ci avevate fatto caso?). No: lo fa perché vuole giustamente far profitti e poi riportarli al centro (e magari, per farne di più, di profitti, passa sopra a qualche regola, ci avevate fatto caso?). Ecco, cercate di chiavarvi in capo questa semplice realtà: quello che oggi è un afflusso di capitali domani diventa un deflusso di redditi. L’afflusso di capitali dall’estero (per comprare un titolo pubblico, per finanziare l’acquisto della seconda casa o del primo televisore al plasma di un privato, per acquistare un’azienda), domani diventa un deflusso di redditi verso l’estero (interessi o profitti). Capito? Oggi entrano i soldi, sotto forma di credito (per il centro), cioè debito (per la periferia). Domani i soldi escono, sono redditi passivi in bilancia dei pagamenti, redditi che ampliano ancora di più il deficit estero della periferia, la quale, come usura insegna, a un certo punto è costretta a farsi prestare altri capitali, non più per finanziare investimenti produttivi, e nemmeno per finanziare consumi, ma semplicemente… per pagare gli interessi! E quei capitali, la periferia, all’inizio nemmeno voleva, all’inizio non ne aveva nemmeno bisogno, ricordate? Perché nel mondo “represso” il circuito del risparmio si chiudeva all’interno del paese: alla periferia bastavano i risparmi dei suoi cittadini, che ne avevano, perché siccome non tutto era stato privatizzato, e quindi i servizi essenziali non costavano somme sempre maggiori, in fondo non si stava così male, qualcosa si risparmiava.

Ci si avvicina al triste epilogo.

Un bel giorno la periferia si sveglia, ha le nausee, vomita. Una grossa azienda va in crisi finanziaria? Le banche accusano “sofferenze” (che poi significa che capiscono che i loro debitori non ce la faranno a restituire i soldi)? Insomma, succede qualcosa, e l’amore finisce, lasciando il posto a una certa insofferenza. Il centro comincia a dubitare della capacità della periferia di rimborsare i propri debiti. Esige così il pagamento di interessi sempre più alti a copertura del rischio, lo spread, che era partito alto (vi ricordate?), e poi si era annullato, decolla di nuovo. La periferia si avvita nella spirale del debito estero, si gonfia sempre di più, e per sapere il seguito basta aprire un giornale. Non è un happy ending.

link: http://goofynomics.blogspot.it/2012/11/il-romanzo-di-centro-e-di-periferia.html

Codice miniato

Che cos’è un codice miniato?

Il codice miniato è un libro antico scritto a mano e decorato. Non era fatto di carta come i libri di oggi, ma di pergamena, ottenuta con pelli di pecora, capra o vitello trattata in modo da formare fogli su cui scrivere. Alla realizzazione di un codice miniato collaboravano in molti pergamenari, copisti, miniatori e rilegatori.

Durante l’antichità classica il supporto scrittorio principale era il rotolo di papiro, il dittico (in avorio o in legno), sulle cui pagine interne spalmate di cera si potevano tracciare appunti.
Soprattutto tra i cristiani si affermò l’uso del codice di pergamena, più robusto e più pratico. Tale materiale deriva il suo nome dalla città di Pergamo in Asia Minore (nell’attuale Turchia). Le pelli dell’animale venivano lavorate fino a renderle lisce e bianche; poi venivano tagliate in forma quadrata o rettangolare. I fogli così ottenuti venivano piegati, raccolti in fascicoli e cuciti, esattamente come accade ancora nei libri moderni. Dopo la stesura del testo, terminato il lavoro del copista, il miniatore prendeva in carico il manoscritto, decorando le lettere iniziali o i margini o anche l’intera pagina.

Oggi pomeriggio, alle 17, presso la Biblioteca Ariostea, sarà presentata

l’edizione in facsimile dell’Offiziolo di Alfonso d’Este,  che ricompone in unità il ricco codice miniato che conteneva l’opera, composto tra il 1505 e il 1510, e attualmente smembrato e collocato in due diverse biblioteche.

Il volume, recentemente donato alla Biblioteca Ariostea da parte dell’Associazione Amici della Biblioteca Ariostea, viene presentato da Ernesto Milano, che ne è stato uno dei curatori.
A cura dell’Associazione Amici della Biblioteca Ariostea

Ernesto Milano
L’OFFIZIOLO ALFONSINO

Job&Orienta

Appuntamento dal 22 al 24 novembre 2012 alla Fiera di Verona con JOB&Orienta, la più importante mostra-convegno dedicata a orientamento, scuola, formazione e lavoro che si tiene alla Fiera di Verona.

La Mostra-Convegno è strutturata in due aree tematiche: la prima dedicata al mondo dell’istruzione che comprende le sezioni JOBScuola, JOBItinere, JOBEducational e MultimediaJOB, la seconda all’università, la formazione e il lavoro con le sezioni Pianeta Università, Arti, mestieri e professioni e TopJOB. Un’attenzione speciale è data alle realtà che offrono percorsi di istruzione, formazione e occupazione all’estero grazie al profilo JOBInternational, trasversale all’intera manifestazione.

A caratterizzare JOB&Orienta un importante calendario culturale che comprende numerosi convegni, dibattiti, tavole rotonde e seminari, con l’intervento di relatori di spicco, esperti e rappresentanti dei diversi mondi. Non mancheranno, infine, laboratori, spettacoli e momenti di animazione che mirano a coinvolgere attivamente i visitatori e a valorizzare tutta la creatività dei giovani e delle scuole.

Oltre 53.000 i visitatori dell’edizione 2011, 500 le realtà in rassegna, 90 gli appuntamenti culturali tra convegni, dibattiti, tavole rotonde e workshop, 200 i relatori: numeri che testimoniano il costante trend di crescita e l’autorevole livello della manifestazione.

L’ingresso alla manifestazione e agli eventi correlati è libero.

Associazionismo femminile

L’EVOLUZIONE DELL’ASSOCIAZIONISMO FEMMINILE NEI CINQUANT’ANNI
DEL SOROPTIMIST CLUB DI FERRARA
A cura di Daniela Fratti, Giovanna Siconolfi, Rosanna Manca, Marisa Fasulo
(Italia Tipolitografia Editore, 2012)
I primi cinquant’anni del Soroptimist Club di Ferrara in un libro e in un album fotografico.
Intervengono Wilma Malucelli, Past Presidente Nazionale, Daniela Fratti e Marisa Fasulo
Introduce Camilla Segre, Presidente Soroptimist Club di Ferrara

MERCOLEDI’ 21 – ORE 17 – PRESSO BIBLIOTECA ARIOSTEA, FERRARA