Se la sovranità della moneta è nelle mani di banche private, che la emettono a debito, la produzione di altro debito (e il conseguente moltiplicarsi degli interessi) è l’unico modo che un governo possieda per rifinanziarsi. Un circolo vizioso, che rende il debito impagabile sin dalla sua contrazione iniziale, perché il suo pagamento presuppone una quantità di denaro aggiuntiva (l’interesse) di cui lo stato non dispone. Così, come nel Mercante di Venezia di Shakespeare, il debitore che non può pagare si trova nelle mani del creditore, che può disporne come vuole: il Piemonte era, infatti, non solo l’unico stato completamente nelle mani dei banchieri inglesi, ma anche l’unico ad essersi quasi privato del tallone aureo per l’emissione della moneta. La Banca Nazionale degli Stati Sardi, creata nel 1848 e di proprietà privata, aveva una riserva aurea di 20 milioni di lire, ma emetteva tre lire di carta ogni lira d’oro.
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Totalmente diverso, invece, il modello economico duo-siciliano. Il Banco delle Due Sicilie, a cui era affidata l’emissione monetaria, emetteva solamente ducati d’oro e d’argento. Non vi erano banconote, ma titoli di fede emessi esclusivamente a fronte di un avvenuto deposito. A unità compiuta, infatti, dei 607,4 milioni di lire a cui equivalevano le riserve auree del neonato Regno d’Italia, ben 443,2 milioni erano rappresentati dalle riserve borboniche e solamente 27 dal Piemonte.
Jacopo Castellini in Nexus n.98