Contrariamente al solito vogliamo riportare integralmente questo articolo per due ragioni: la prima è che sottolinea come la prospettiva cambia quando si cambiano i consueti parametri di riferimento; la seconda perché l’autore dimostra che il problema va affrontato dal punto di vista politico, prima che economico.
Quanto volte lo sentiamo ripetere? «Il problema dell’Italia è il debito pubblico!».
Non possiamo fare nulla per stimolare l’economia, i grandi investimenti sono impossibili, le riforme e i tagli sono ineludibili… perché siamo andati avanti per troppo tempo finanziandoci con il debito. Ora bisogna rientrare.
Gli italiani hanno interiorizzato questo ritornello, che si è rafforzato fino a diventare un dogma intoccabile a partire dall’attacco speculativo del 2011, con l’esplosione del famoso spread.
Quanti si sono chiesti, però, se davvero stiano così le cose?
E’ proprio vero che l’Italia sta peggio degli altri per via del debito pubblico a 120-130% del Pil? Hanno ragione i signori di Francoforte, Bruxelles e la City di Londra a mettere pressioni continue sull’Italia per tagliare il debito?Marco Fortis è vicepresidente della Fondazione Edison e professore a contratto di Economia Industriale e Commercio Estero presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano. La scorsa settimana ha incontrato un gruppo di giornalisti a Milano dove ha presentato una serie di grafici che dimostrano che in realtà la misurazione del debito pubblico come percentuale del Pil falsa la realtà della stabilità del Paese; i numeri dicono che il debito italiano è cresciuto molto meno di quello degli altri grandi paesi negli ultimi anni. Il debito è sì grande in termini di Pil, ma se lo paragoniamo alla ricchezza finanziaria del Paese, la situazione non è affatto così grave. Diventa evidente invece che il rapporto debito/Pil non riflette la realtà della situazione economica, mentre si cercano pretesti per imporre il tipo di austerità che ha devastato le imprese e le famiglie negli ultimi anni.
Presentiamo due grafici, forniti dal prof Fortis. Il primo mostra che il debito pubblico italiano, pur grande in termini assoluti, è quello che è cresciuto meno (rispetto agli altri paesi) dallo scoppio della crisi in Europa, a parte il caso della Svezia.
Dunque il debito della Germania, della Francia, della Gran Bretagna (e anche degli Stati Uniti) è aumentato molto di più, principalmente a causa dei salvataggi bancari e di altre misure per contrastare la crisi. Inoltre, se guardiamo i livelli monetari (aggregati) del debito pubblico dei vari paesi, notiamo che quelli di Francia, Germania e Italia sono ora molto simili.
Il prof. Fortis presenta il patrimonio finanziario netto del settore privato – inteso come le famiglie e le società – per dimostrare la base solida su cui poggia il debito pubblico. Nella sua interezza l’Italia non è un paese indebitato, è un paese con risparmio e ricchezza finanziaria abbondanti. Certo, entrambe queste voci stanno ora diminuendo rapidamente, ma è a causa proprio della “cura” che si sta applicando, che ha distrutto circa il 20% della produzione industriale italiana.
Il secondo grafico mostra il debito pubblico in mani agli stranieri paragonato al patrimonio finanziario del settore privato.
Il grande rischio del debito pubblico italiano viene ridimensionato non poco da questi grafici; diventa evidente che non c’è stato il peggioramento della situazione raccontatoci dalla stampa con toni allarmistici; anzi, proprio perché l’Italia non ha proceduto ai salvataggi bancari ai livelli praticati in altri paesi, l’aumento del debito è stato contenuto. Certo, però, se il Pil cala, il rapporto con il debito non può che peggiorare.
Il Pil è calato eccome, grazie proprio alle politiche di austerità imposte dalla Troika, che hanno depresso fortemente il mercato interno. I dati sviluppati dalla Fondazione Edison dimostrano anche che l’industria italiana si è ripresa relativamente bene in termini di esportazioni, quasi esattamente come le economie tedesca e francese. Sul mercato interno invece c’è stato il disastro, a causa della continua sottrazione di risorse ai cittadini italiani attraverso le tasse e i tagli al bilancio; la cura è stata peggiore del male.E’ terribile pensarci, ma la situazione potrà anche peggiorare di molto nei prossimi anni, proprio a causa dell’insistenza isterica sulla riduzione del rapporto debito/Pil attraverso l’austerità.
Il trattato europeo del Fiscal compact obbliga gli Stati membri a ridurre il debito pubblico al 60% del Pil entro 20 anni. Per l’Italia questo significherà ulteriori tagli di 45-50 miliardi di euro all’anno per poter centrare l’obiettivo. Il prof. Fortis dice giustamente che l’Europa “si autocondanna alla distruzione” se applica il Fiscal Compact.
Noi diciamo che è ora di abbandonare l’ideologia della grande finanza e dei suoi rappresentanti nelle banche centrali e nella altre istituzioni sovranazionali. Non sarà possibile sopravvivere senza un cambiamento di rotta netto.
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Il progetto eurocratico si rivela organico alla dinamica post-1989 a) di destrutturazione degli Stati nazionali come centri politici autonomi (con annesso disciplinamento dell’economico da parte del politico) e b) di “spoliticizzazione” (Carl Schmitt) integrale dell’economia, trasfigurata in nuovo Assoluto. Dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), la creazione del regime eurocratico ha provveduto a esautorare l’egemonia del politico, aprendo la strada all’irresistibile ciclo delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione forzata del lavoro e della riduzione sempre più netta dei diritti sociali. Spinelli e Tsipras vorrebbero rimuovere gli effetti lasciando però le cause. Il che, evidentemente, non è possibile.
Diego Fusaro
http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/con-tsipras-nemmeno-per-sogno-14684.html