A molte persone, specie se non sono calate direttamente nella realtà del no-profit, sfugge un piccolo dettaglio: alla base del fenomeno dell’espansione del Terzo Settore c’è un’agevolazione fiscale non indifferente. Per alcuni enti si va dalla riduzione del 50% dell’Ires per determinati enti (persone giuridiche che svolgono attività nei settori dell’attività culturale, ricerca scientifica o beneficenza) all’esenzione totale Ires per le attività non commerciali delle Onlus. Ulteriore agevolazione è disposta dalla legge 398 del 1991 che consente alle associazioni senza scopo di lucro di calcolare l’imposta dovuta in modo forfettario applicando un 3% (la norma è valida per le attività commerciali che hanno un fatturato inferiore ai 250 mila euro). Inoltre anche l’Iva è dovuta dall’ente con un abbattimento compreso tra il 10 ed il 50 %. Infine, le associazioni no-profit non pagano l’IRAP (l’imposta sull’attività produttiva) e non hanno l’obbligo di iscrizione alla camera di commercio (con un risparmio di 200 euro annui).(1)
A questo bisogna aggiungere che solitamente utilizzano personale “volontario” sottopagato (in nero) o semplicemente non pagato e, spesso, sono una filiazione diretta di enti locali, che li usano per delegare loro compiti istituzionali (per non parlare di quando dirottano fondi pubblici a parenti e amici per clientele elettorali).
1) http://www.lintellettualedissidente.it/il-volto-del-profit-italiano/