Non riesco a rebloggare dall’originale
http://pauperclass.myblog.it/2014/09/23/la-condizione-dei-lavoratori-nel-mondo-reale-eugenio-orso/
quindi copio e incollo:
Sono disoccupato da lungo tempo non per mia scelta, ovviamente. Un paio di settimane fa, tramite annuncio sul giornalino trova lavoro locale, vengo chiamato dal titolare di una azienda agricola operante nel campo della vinificazione. Dieci-undici ore di lavoro duro nel vigneto, a cinque virgola cinque € all’ora, intruppato con una numerosa marmaglia di extra-comunitari, in particolare Moldavi e Rumeni. Ritmi di lavoro pazzeschi, una sola pausa di mezz’ora giornaliera nel campo per bere acqua e mangiare un panino, con il padrone contadino sempre a pungolare e minacciare di lasciarti a casa se non vai svelto, io che ho 58 anni. Ogni giorno ne cacciava alcuni sui due piedi, subito rimpiazzati da altri schiavi che evidentemente il “padrone” non aveva difficoltà a rimpiazzare, stante l’enorme serbatoio di mano d’opera di cui dispongono i padroni e padroncini, fino a ieri oscuri mezzi morti di fame e ora grazie a questo nuovo potere assunti al ruolo di “Kapò”. Orbene, Domenica mattina ho un pesante alterco con un energumeno Moldavo che ambisce a fare il capetto e che mi accusa di essere troppo lento…Dopo essere arrivato sulla linea rossa, quella che poteva portarmi a piantargli le forbici nella pancia, mi calmo e me ne vado sui due piedi, contento tutto sommato di non essere stato colpito dal Moldavo pazzo e pericoloso, immaginate se mi avesse buttato fuori i denti malfermi quale danno anche economico avrei subito. Naturalmente il padrone e me lo ha detto sul muso, teneva al Moldavo anche perché sennò avrebbe perso gli altri schiavetti, solidali con il loro capetto. Morale della favola, io Italiano locale sono stato cacciato da un Moldavo con la complicità di un padrone ignorante e approfittatore. Siamo arrivati a questo punto. E non mi si parli di guerra tra poveri, qui c’è dell’altro. e molto sbagliato.
[Link:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13945]Mi pare assolutamente naturale che l’inserimento di questo commento abbia spostato l’attenzione dal mio articolo (centrato sul “piano lavoro” renziano e sulla querelle fra l’imbonitore fiorentino e la cgil) alla storia raccontata da clausneghe e alle sue rilevanti implicazioni antropologico-sociali. Tanto è vero che altri hanno commentato … il commento del mio quasi coetaneo (che dichiara 58 anni contro i miei 56). Al punto che clausneghe ha risposto come segue:
[…] Ma schiacciarmi no, nessuno c’è mai riuscito e mai ci riuscirà, perché io possiedo una coscienza di classe e un orgoglio personale, quello che magari manca alla moderna “carne da cannone” straniera sfruttata da padroncini avidi e senza onore né morale. Io mi sono difeso con successo, ho evitato di farmi colpire dall’energumeno (mi faceva sentire il suo alito fetido sul muso) e soprattutto sono riuscito a non AMMAZZARLO, come la rabbia mi diceva di fare. Avrei finito i miei giorni in galera o al manicomio. Inoltre ho ancora frecce nel mio arco, e le userò. Sopravviverò anche a questo, perché tutto quello che non ti uccide ti fortifica. Ciao.
Siamo andati di un passo oltre la guerra tra poveri, dunque, fino ad arrivare a un punto di non ritorno per il lavoro, in Italia e in molta parte d’Europa (nella Grecia dei trecento euro netti mensili di stipendio, o nella Spagna ad altissimo tasso di disoccupazione). Qui il discorso si intreccia con quello dell’immigrazione incontrollata, l’immigrazione che potremmo definire “indotta”, perché usata come arma sia contro i lavoratori autoctoni e i loro diritti, sia contro la specificità culturale dei nostri paesi. Ciò non significa colpevolizzare gli immigrati moldavi o rumeni (anche loro europei e soggetti alle stesse dinamiche che ci opprimono), ma solo riconoscere che attraverso di loro – o meglio, anche attraverso di loro – si esercita una pressione indescrivibile sui lavoratori italiani, ridotti in molti casi come clausneghe. Una pressione che per le sue implicazioni sociopolitiche, antropologiche e culturali va oltre il mero ricatto economico. A differenza di clausneghe, però, la grande maggioranza dei lavoratori oggi è priva di coscienza di classe … e della stessa classe come mondo culturale, attraversato da legami solidaristici! Così si inducono i “new workers” senza classe ad accettare condizioni di lavoro peggiori di quelle degli anni cinquanta. Se clausneghe resiste, grazie alla coscienza di classe che tiene alto l’orgoglio personale, tantissimi altri, più giovani, non hanno neppure questa difesa e non hanno piena consapevolezza della loro situazione di minorità.
Si dirà che scrivendo queste righe ho scoperto l’acqua calda e, in effetti, sembra che sia proprio così. Il punto è che le grandi verità non necessariamente sono complesse, alla portata della comprensione di pochi dotati, ma spesso sono semplici, esattamente come questa. E’ qui che ci porta il discorso crudo e disincantato del mio quasi-coetaneo clausneghe, cinquantottenne che lavora quando può, quando trova qualcosa, “respinto” dal mondo del lavoro più dei giovani. A differenza di loro, proprio perché vecchio, non è oggetto dei “pianti da coccodrillo” dei politici collaborazionisti o delle pelose attenzioni renziane.
Chiediamoci una cosa, dopo aver letto ciò che ha scritto il mio quasi-coetaneo, molto più “sfortunato” di me: cosa c’è oltre la guerra fra poveri, che rientra fra i classici strumenti di dominazione elitista? Cosa c’è oltre il mero ricatto economico, esercitato dal capitale sui lavoratori? C’è la scomposizione e ricomposizione dell’Europa per controllare una massa amorfa di lavoratori poveri che non hanno più le caratteristiche culturali e, alle loro spalle, la storia dei popoli europei originari. (grassetto nostro) Così sarà più facile azzerare del tutto la sovranità degli stati e delle nazioni, imporre la lex neoliberista senza concessioni al sociale, far digerire la robusta dose di darwinismo sociale – sopravvivano i più adatti, i più flessibili, i più “meticciati”! – che si nasconde dietro le attuali riforme del lavoro, per la supposta modernizzazione dell’omonimo mercato.