L’idea di Boeri ha invece il pregio di apparire soltanto un “dettaglio tecnico”, non proprio una “riforma”. Consentirebbe grandi risparmi sulla spesa pensionistica senza dover allungare ulteriormente l’età pensionabile (67 anni sono un limite che per il momento neanche la Merkel chiede di superare).
Come? Tagliando gli assegni alle pensioni già in essere. Il ragionamento è semplice quanto omicida: se si “ricalcola” l’assegno pensionistico – di quelli che già si sino ritirati dal lavoro come di chi ci andrà in futuro, da qui all’eternità – secondo il sistema contributivo (in base cioé ai contributi effettivamente versati) si ottiene una riduzione più o meno drastica della cifra erogata. DIpende da quanti anni di servizio sono stati calcolati fin qui col “retributivo” e naturalmente dall’entità dei contributi versati annualmente (in proporzione allo stipendio).
A venir falciati in misura maggiore sarebbero dunque gli assegni attualmente pagati ai pensionati che hanno avuto tutta la loro carriera calcolata col retributivo (diciamo quelli che si sono ritirati dal lavoro fino a una decina di anni fa, grosso modo). A seguire ci sarebbe un taglio sostanzioso per quanti, all’epoca della “Dini”, si sono visti spezzare la carriera in due periodi (una prima parte col “retributivo” e una seconda col “contributivo”). In linea teorica – ma non ci giureremmo – nulla cambierebbe per quanti già ora sanno che la loro vita lavorativa sarà compensata con una pensione da fame, quantificata in base al solo “contributivo”. Constatiamo però che in campo pensionistico non sembra esistere limite alle riduzioni possibili; quindi anche i giovani attualmente al lavoro (quelli che hanno “la fortuna” di avercelo) potrebbero vedersi amputare parti più o meno consistenti dei quattro soldi che avranno a fine carriera (già ora è sotto attacco il Tfr…).
Insomma: una nomina che è tutto un programma. Di rapina.
estratto da http://contropiano.org/politica/item/28311-tito-boeri-all-inps-taglio-alle-pensioni-in-vista
Nota: lo studio che si cita nell’articolo riguarda le pensioni (va sottolineato) attualmente percepite: ci si dimentica, come al solito, che dietro alle cifre ci sono delle persone che “non tirano quattro paghe per il lesso”.
Mi spiego meglio: un imprenditore/commerciante/intermediario, che trasformi/commercializzi semilavorati/merci/servizi importati, può approfittare a piene mani del raddoppio del prezzo finale che è avvenuto entro il mercato italiano. D’altra parte lo stesso operatore (e qui si possono aggiungere anche il liberi professionisti) può lucrare ulteriormente per il fatto che paga i suoi dipendenti non il salario derivato dal cambio reale 1.000/1 bensì da quello ufficiale 1.936,27/1. Tutto ciò la dice lunga sulla credibilità delle rappresentanze sindacali delle imprese, del commercio e del lavoro autonomo. In questi 10 anni stanno pagando stipendi dei lori dipendenti ridotti della metà, ed ancora si sente dire che la competitività del sistema Italia è frenata dall’alto costo del lavoro! Ma se anche fosse vero che i contributi sul lavoro sono alti (e ciò non è, se li compariamo a quelli delle democrazie evolute), resta la sostanza che la metà dello stipendio che veniva percepito nel 2001, che dal 2002 resta nelle mani del datore di lavoro, compensa ampiamente la tassazione. Tale dimezzamento dei salari è un furto istituzionalizzato al lavoro dipendente.[…]
In questo paese la grande maggioranza delle risorse arriva alle casse dello Stato dai lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e dai pensionati: 65,88% nel 2009 ed il 68,86% nel 2010[15]. Si potrebbe pensare che questa è la classe (il ceto) agiata/o di un paese in cui i professionisti ed in generale i lavoratori autonomi vivono in dignitosa povertà; ed invece, basta uscire per le strade, andare in giro tra le città e le campagne, e si possono vedere innumerevoli auto, case e ville assai costose. Chi ne è il proprietario? Non si sa; pare, qualche volta, che siano beni funzionali di qualche impresa.
http://www.nuovatlantide.org/su-alcuni-profili-della-crisi-italiana-changeover-lira-euro-evasione-fiscale/