Il giorno dopo, martedì tredici, è uscito il nuovo rapporto del Credit Suisse sulla ricchezza nel mondo e conferma che la crescita della diseguaglianza procede senza soste: ormai l’1 per cento della popolazione mondiale possiede il 50% della ricchezza, vale a dire il 2% in più rispetto a prima della crisi, il 5 per cento se si tolgono dal conto i Paesi in via di sviluppo. La terribile istantanea è però ingannevole perché il 45,2% di questa metà della torta, ossia un quarto delle risorse dell’umanità è in mano a meno di 120 mila persone i cui redditi vanno da 50 milioni di dollari in su, una concentrazione che non si vedeva da più di un secolo e che si sperava di non dover mai più rivedere. Che poi il 37% di super ricchi sia negli Usa è una cosa che non deve meravigliare visto che essi sono all’origine delle idee e delle filosofie che hanno portato a questa situazione, trasformando l’ex Paese delle opportunità in quello con la minor mobilità sociale al mondo.
Lunedì scorso il premio della Banca di Svezia, spesso spacciato dai media come nobel per l’economia, è andato ad Angus Deaton, uno studioso scozzese noto per un paradosso che in qualche modo stiamo vivendo, ossia la “resistenza” dei consumi anche di fronte a forti cadute del reddito, un fenomeno che il liberismo sta sfruttando anche in termini politici. Ma Deaton è noto per un libro scritto qualche tempo fa e tradotto in italiano quest’anno: La grande fuga, salute, ricchezza e origine della disuguaglianza che mette il dito sulla piaga di questi giorni, ossia l’accumulo straordinario di ricchezza in pochissime mani, le azioni economiche, politiche e geo politiche per mantenerla e – questa aggiunta è mia – la scarsissima risposta dei ceti popolari per riprendere terreno, dovuto appunto a quella vischiosità dei consumi e alle illusorie speranze di tornare a prima della crisi che rende ardua la grande fuga dalla prigione liberista.
Il giorno…
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