Youngstown

Nella canzone di Springsteen “Youngstown”, il narratore, operaio lasciato a casa, spera in un futuro non in paradiso, ma nelle “fornaci ardenti dell’inferno.” Il personaggio è stato ispirato, in parte, da una operaio metalmeccanico realmente esistente, Joe Marshall Jr., di cui Springsteen aveva letto in un libro.
Oggi Joe Marshall, un uomo piccolo e robusto, che sabato compirà 63 anni, si trova a Columbus, dove vive in un appartamento da 500 dollari al mese, e riceve una pensione statale piena. Dopo che l’industria siderurgica è crollata, ha dedicato il resto della sua vita a far rispettare la legge. È un ardente sostenitore di Trump.
«Dice ciò che la persona media ha paura di dire, perché è politicamente scorretto”, dichiara Marshall a proposito di Trump.
Marshall ha lavorato nell’ufficio dello sceriffo della contea di Mahoning per 23 anni, in carcere e in pattuglia – un posto in prima fila, ha detto, per osservare il drammatico declino della città. Ha potuto vedere lo svuotarsi delle classi medioalte, e come il colore della pelle della città è cambiato: Youngstown, che aveva il 74 per cento di bianchi nel 1970, è ora divisa circa a metà tra neri e bianchi.
È arrivata la droga, racconta. Il tasso di omicidi ha spiccato il volo. I giovani mollavano la scuola a 15 anni, dice Marshall, perché non riuscivano a vedere alcuna possibilità di lavoro dopo il diploma.
“Dove devono andare, da Taco Bell?”, domanda. “Ma quello è un lavoro a salario minimo””
Sette anni fa se ne è andato, accettando un lavoro da agente di custodia.
Oggi le sue opinioni politiche sono eclettiche. I democratici, ha detto, “hanno deluso Youngstown”.

http://vocidallestero.it/2016/08/31/trump-un-eroe-della-classe-operaia-una-citta-di-colletti-blu-ne-discute/

2 thoughts on “Youngstown

  1. Lo capisco, anche se non è ragion sufficiente per votare Trump. Lo scandalo comunque resta Hilary Clinton (non me ne frega niente che sia una donna).

  2. La maggior parte dell’elettorato di Trump è formata dalla white working class concentrata soprattutto nel Midwest, l’area che include stati come Ohio, Indiana e Michigan; dove la popolazione bianca è superiore all’80% e gli immigrati ispanici, arabi e asiatici (bersagli delle invettive xenofobe del candidato repubblicano) sono relativamente poco numerosi. Queste zone hanno subìto negli ultimi trent’anni anni una drammatica deindustrializzazione, le cui cause sono di vario tipo. Una è certamente la contrazione, in termine di valore aggiunto e di addetti, della manifattura e la crescita dei servizi, propiziata da progresso tecnico e innalzamento del tenore di vita dei consumatori. Ma un ruolo fondamentale è stato giocato dalla globalizzazione di merci e capitali, inaugurata nel 1994 dal trattato di libero scambio tra Usa, Messico e Canada (NAFTA), e proseguita nel 2001 con l’ingresso della Cina nell’organizzazione mondiale del commercio (WTO). Uno tsunami, questo, che si è abbattuto sulla manifattura made in USA. Interi comparti (siderurgico, abbigliamento, tessile, cantieristica navale, elettronica, componentistica per auto) hanno chiuso i battenti e sono stati delocalizzati in Messico e in Cina, sfruttando i minori oneri fiscali e salariali. Circa 6 milioni di posti di lavoro stabili, sindacalizzati e ben retribuiti nella manifattura sono scomparsi, per essere rimpiazzati da lavori precari nel terziario (specie nel retail, nella ristorazione e negli alberghi). Anche per effetto della crisi finanziaria del 2008, il potere di acquisto della classe media americana è così tornato ai livelli del 1979; tutto questo mentre l’ 1% più ricco della popolazione si accaparrava il 50% della ricchezza e il 25% del reddito totali.
    https://ilconformistaonline.wordpress.com/2016/08/28/perche-la-working-class-vota-trump/

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