Assistiamo al macabro balletto di un potere che agisce al di fuori di ogni regola e che cerca il conflitto sapendo di avere gli anni contati prima dell’implosione del sistema finanziario che lo sorregge e della perdita da parte degli Usa della supremazia militare.
Sapete, comincio a pensare che Hitler e la sua banda di omo razzisti fossero dei dilettanti: la loro aberrazione era quella di voler sterminare gli ebrei che pure erano la parte più vitale del mondo tedesco e altre minoranze assortite esterne e interne in nome di un stato assoluto con alla base la fantomatica razza. Assurdo e atroce, oltre che idiota, una vampata di follia disumana. Eppure tutto questo, anche numericamente parlando, è nulla di fronte agli stermini cosmopoliti a cui si è assistito dopo la guerra mondiale da parte delle oligarchie Usa, frutto di una sorta di xenofobia individuale che predica l’ esistenza lo sfruttamento dei “perdenti”, vera e propria razza portata geneticamente alla punizione di se stessa, oltre che la totale noncuranza nei loro confronti, anche se poi con ipocrisia sottintesa possono rientrare in questa guerra infinita non solo singoli, ma anche gruppi, classi, comunità etniche e Paesi che…
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Vedi: ‘Putin is a war criminal who is assisting another war criminal’ Questo è il classico linguaggio della guerra. Chiamare un presidente di un’altra nazione “criminale di guerra” è il preludio tradizionale che precede una azione militare. Gli USA non sono soli nelle loro smaccate provocazioni ma sono accompagnati da alcuni dei loro più stretti alleati, in particolare dalla Gran Bretagna che si accoda come sempre ad ogni iniziativa bellica di Washington adottando lo stesso linguaggio ed anzi assumendo il ruolo di “primo della classe” nel lanciare accuse e provocazioni. Infatti il ministro degli esteri britannico, Boris Johnson, ha annullato la sua visita prevista a Mosca negli stessi giorni per sottolineare la posizione ostile di Londra verso l’attteggiamento russo di sostegno al Governo di Damasco. Nel corso della riunione dei ministri degli esteri del G7 che si è svolta a Lucca, in Toscana, il segretario USA Rex Tillerson, si è fatto promotore dell’invio di un “ultimatum” diretto a Mosca finalizzato a che la Russia ritiri le sue truppe dalla Siria e termini con il suo appoggio al Governo di Bashar al-Assad. Nella stessa riunione, il segretario USA Tillerson ha dato incarico al ministro degli esteri Alfano, di estendere l’invito a partecipare anche ai paesi del fronte sunnita/ salafita, ovvero i ministri degli Esteri di Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati Arabi per rafforzare il fronte dei paesi che vogliono contenere Russia e Iran nel loro sostegno incondizionato a Bashar al-Assad. Sono guarda caso gli stessi paesi che hanno sponsorizzato, finanziato e reclutato i gruppi terroristi jihadisti infiltrati in Siria per rovesciare il Governo e instaurare un califfato islamico. Questo però è un dettaglio che non sembra interessare i partecipanti al convegno. Una Siria suddivisa in più entità, una delle quali affidata come “protettorato” all’Arabia Saudita, risulta da tempo nei progetti dell’Amministrazione USA e fortemente caldeggiata da Israele. Questo sarebbe quello che nella riunione i diplomatici occidentali hanno definito un “percorso per sostituire Assad”. Washington non ha cambiato la sua strategia, dopo la battuta d’arresto subita per il successo dell’intervento russo-iraniano in Siria, piuttosto con il cambio di Amministrazione da Obama a Trump, appare più determinato ad un intervento militare diretto in Siria per riprendere il vecchio progetto delle enclave separate nel nord est e nel sud della Siria.
http://www.controinformazione.info/washington-ritorna-al-linguaggio-della-guerra-come-ai-tempi-delliraq-2003/
Negli ultimi 16 anni, mentre gli USA minacciavano Iran, Siria e Russia, la Cina ha continuato a rafforzasi alleandosi con la Russia e l’Iran. E l’amministrazione Trump, trascinando gli Stati Uniti nella guerra in Siria non farà altro che rafforzare questa dinamica. “Non c’è da stupirsi se dei cinesi siano “entusiasti” a tale prospettiva”. Inoltre, l’ultimo vertice USA-Cina è stato un fallimento, dato che i cinesi non hanno fatto concessioni agli USA, né sul piano geopolitico, né su quello commerciale. Infatti la Cina non solo non apre ulteriormente i propri mercati alle aziende statunitensi, ma gli imprenditori statunitensi, che si aspettavano anche che i cinesi annunciassero investimenti negli Stati Uniti, creando posti di lavoro e compensando lo squilibrio commerciale degli USA con la Cina, rimanevano a bocca asciutta. Xi Jinping non ha proposto nulla di ciò. E’ stata una debacle per Trump “giunto alla Casa Bianca spacciandosi da grande affarista. La sua idea sarebbe stata ‘ammorbidire’ l’avversario con minacce e spacconate, per strappargli concessioni, mentre puntava all”affare’ più vantaggioso per gli Stati Uniti. Tale approccio può funzionare nel mondo del commercio. Ma come i cinesi gli hanno dimostrato, e come i russi glielo dimostreranno, il mondo della diplomazia internazionale non funziona così”.
https://aurorasito.wordpress.com/2017/04/13/trump-geopolitica-del-fallimento/
La stella polare degli strateghi angloamericani, concepita già nel corso del Settecento dagli inglesi e poi ereditata dagli statunitensi dopo il 1945, è infatti sempre stata quella di evitare che sul continente euroasiatico nascesse un’alleanza di potenze, od una singola potenza, sufficientemente grande da neutralizzare le manovre di accerchiamento (politico, militare ed economico), condotte dalle potenze marittime contro le potenze di terra. Il “divide et impera”, noto anche come “balance of power”, è lo strumento adottato dagli inglesi sin dai tempi delle lotte sul continente contro Luigi XIV e le guerre per procura, combattute da altri nell’interesse delle potenze marittime, ne sono il corollario. Qualsiasi alleanza tra grandi potenze continentali (l’intesa tra Napoleone e lo zar Paolo I, la Santa Alleanza tra Prussia, Austria e Russia, il possibile accordo tra Secondo Reich ed impero russo caldeggiato dal premier Sergej Witte, il trattato di Rapallo tra la Repubblica di Weimar e l’URSS) deve essere sabotata in qualsiasi modo: rivoluzioni, complotti, omicidi, corruzione, guerra, etc. etc.
Il primo autore a formalizzare la secolare visione dell’impero britannico è Halford Mackinder (1861-1947), direttore della London School of Economics e padre nobile della geopolitica: è lui a individuare in quello spazio che va dalla Germania alla Siberia, dai Paesi Baltici al Caucaso, il cosiddetto “Hearthland”, il cuore del continente euroasiatico decisivo per gli equilibri mondiale: è una regione che corrisponde, grossomodo, con la Russia europea e ciò spiega la “russofobia” che da sempre contraddistingue Londra, Washington e le istituzioni da loro controllate (Unione Europea e NATO in testa). Se l’Hearthland è correttamente organizzato dal punto di vista economico, militare ed infrastrutturale (già Mackinder era atterrito nei primi anni del Novecento dalla ferrovia transiberiana), rappresenta una spina nel fianco delle potenze marittime, insidiando la loro egemonia mondiale: per gli strateghi angloamericani lo Stato russo dovrebbe essere prono ai loro interessi o, meglio ancora, smembrato. È infatti significativo che nelle recenti “previsioni” della società texana Stratfor, che ambisce a disegnare le strategie americane come un novello Mackinder, la Russia debba scomparire dalla carta geografica2, balcanizzata dalle spinte secessionistiche interne.
http://federicodezzani.altervista.org/terra-contro-mare-una-nuova-guerra-mondiale-potrebbe-essere-inevitabile/