La restaurazione

In sostanza, buona parte della sinistra europea, tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, giunse a considerare quel processo che oggi noi chiamiamo globalizzazione, e il contestuale svuotamento delle sovranità nazionali in campo economico, come un aspetto ineluttabile della modernità. Come dichiarò Mitterrand all’epoca: «La sovranità nazionale non significa più granché e non ha più molto spazio nell’economia mondiale moderna». [10]

 

Come notano Albo Barba e Massimo Pivetti, però, sarebbe un errore pensare che la sinistra abbia semplicemente subìto l’accelerazione del processo di mondializzazione, e il cambiamento delle condizioni di potere e distributive, avvenuti in tutta Europa nel corso dell’ultimo trentennio; al contrario, la sinistra «ha in larga misura consapevolmente deciso e gestito» questa transizione, (grassetto nostro) e il conseguente passaggio a una visione post-statuale e post-sovrana del mondo, spesso anticipando la destra su questi temi. [11]

NOTE

 

[1]           L’articolo di J. Robinson, “The Second Crisis of Economic Theory” (1972), è citato in R. Bellofiore, “La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes”, Alternative per il socialismo, marzo-aprile 2014; consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/5wx46J.

 

[2]           Per una rassegna delle varie operazioni degli Stati Uniti all’estero dal dopoguerra in poi consiglio la lettura di W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, Fazi Editore, Roma 2003.

 

[3]           G. Duménil e D. Lévy, “The Neoliberal (Counter-)Revolution”, in A. Saad-Filho e D. Johnston (a cura di), Neoliberalism: A Critical Reader, Pluto Press, Londra 2004, p. 12.

 

[4]           L. Gallino, “La lunga marcia dei neoliberali per governare il mondo”, la Repubblica, 27/7/2015.

 

[5]           Su questo punto si veda A. Przeworski e M. Wallerstein, “Democratic Capitalism at the Crossroads”, in A. Przeworski, Capitalism and Social Democracy, Cambridge University Press, Cambridge 1985; consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/icoH68.

 

[6]           R. Bellofiore, “I lunghi anni Settanta. Crisi sociale e integrazione economica internazionale”, in L. Baldissara, Le radici della crisi. L’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, Carocci, Roma 2001.

 

[7]           Si pensi per esempio ad Anthony Crosland, membro del Partito Laburista britannico e autore nel 1956 del libro The Future of Socialism, in cui sosteneva che le economie avanzate erano di fatto entrate in una fase post-capitalista.

 

[8]           S. Cesaratto, Sei lezioni di economia. Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga (e come uscirne), Imprimatur, Reggio Emilia 2016, p. 212.

 

[9]           Discorso tenuto alla conferenza nazionale del Partito Laburista del 28 settembre 1976 a Blackpool.

 

[10]          J. Ardagh, France in the New Century, Penguin, Londra 2000, pp. 687-688.

 

[11]          A. Barba e M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia 2016.

 

[12]          M. Kalecki, “Aspetti politici del pieno impiego”, Sulla dinamica dell’economia capitalistica. Saggi scelti 1933-1970, Einaudi, Torino 1975.

 

[13]          G. Bracci, “Un ‘no’ contro la post-democrazia”, Eunews, 10/12/2016, goo.gl/wAlrnn.

 

[14]          Si veda il paper di F. Cattabrini, “Franco Modigliani and the Italian Left-Wing: The Debate over Labor Cost (1975-1978)”, History of Economic Thought and Policy, n. 1/2012.

 

[15]          G. Liguori, La morte del PCI, manifestolibri, Roma 2009, p. 10.

 

[16]          F. Cattabrini, op. cit.

 

[17]          Tra questi Augusto Graziani, la cui critica alla posizione della corrente maggioritaria del PCI è ben ricostruita nel paper di E. Brancaccio e R. Realfonzo, “Conflittualismo versus compatibilismo”, Il pensiero economico italiano, n. 2/2008.

 

[18]          R. Bellofiore e J. Halevi, “La Grande Recessione e la Terza Crisi della Teoria Economica”, relazione al convegno “La crisi globale. Contributi alla critica della teoria e della politica economica”, svoltosi a Siena il 26-27 gennaio 2010; consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/6PFQJm.

 

[19]          A. Somma, “Governare il vuoto? Neoliberismo e direzione tecnocratica della società”, MicroMega, 29/7/2016.

 

[20]          Il cosiddetto “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia si consumò nel 1981, quando l’allora ministro Beniamino Andreatta, con una lettera indirizzata al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, pose fine all’obbligo da parte della Banca d’Italia di garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti dal Tesoro.

 

[21]          A. Somma, op. cit.

 

[22]          P. Mair, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016.

 

[23]          J. Halevi, “Europa e ‘mezzogiorni’”», PalermoGrad, 21/4/2016, consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/TfHmJa.

 

[24]          Il discorso di G. Napolitano è consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/ioaMJy.  Nella stessa occasione, anche Luigi Spaventa, deputato indipendente eletto nelle liste del Pci, individuò con sorprendente lucidità i rischi derivanti dalla creazione del nuovo meccanismo di cambio: «Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna». L’intervento di L. Spaventa è consultabile al seguente indirizzo: goo.gl/CLHFL6.

Fonte: http://www.eunews.it/2017/07/26/non-chiamatela-crisi-e-una-guerra/90929

One thought on “La restaurazione

  1. Il 1978 è uno degli anni cruciali della storia Italiana sotto il profilo delle conseguenze che vediamo ancora oggi.
    È il 24 maggio quando Lama annuncia per conto del sindacato che i lavoratori dovranno accettare di immolarsi sull’altare della crisi economica e nello stesso anno viene definito il negoziato sull’ingresso dell’Italia nello SME e a dicembre condotto il voto decisivo.
    In questo voto cruciale per la storia della Repubblica, alcuni degli attuali sostenitori delle devoluzioni di sovranità sono, a ragion veduta, su posizioni diverse e contrarie. Tra questi il Direttore de “La Repubblica”, Eugenio Scalfari, e l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
    Spaventa pronuncerà il suo atto di accusa: un “trattato ineguale” geneticamente portato ad affermare gli interessi delle potenze dominanti. Tra l’altro Germania e Francia non avrebbero di certo potuto raggiungere un intesa amichevole nello spartirsi le rispettive aree di influenza economica.
    « Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito. »
    Tra gli scenari proposti da Scalfari all’epoca, la resa dei sindacati sull’indicizzazione e perdita di potere di acquisto in termini reali dei salari si verificherà puntualmente. Ma si verificherà anche quello che porterà alle frequenti crisi valutarie degli anni seguenti, inclusa la perdita di competitività e di quote sul mercato estero delle imprese industriali italiane. Caduta della bilancia dei pagamenti, pressioni sul cambio, perdita di riserve valutarie, restringimento della circolazione interna, innalzamento dei tassi di interesse. Seguiranno aumento della disoccupazione e discesa del reddito con conseguenti ripercussioni sulla domanda interna. Alla fine l’ “abbandono dello SME” sarà comunque inevitabile e avverrà nel 1992.
    Tuttavia il 13 dicembre Andreotti annuncia in aula di aver ricevuto forti pressioni da francesi e tedeschi fino alla minaccia di non attuare del tutto lo SME se l’Italia non fosse entrata subito. A fronte di questo ricatto morale al Parlamento viene chiesto di non indugiare oltre e, nonostante il lucido discorso del futuro Presidente della Repubblica secondo cui “la resistenza tedesca a dare garanzie economiche per il riequilibrio interno della Comunità imporrà una linea di rigore a senso unico e di tagli ai salari”, il voto sancisce la scelta epocale di rinunciare all’indipendenza monetaria, praticamente senza aver ottenuto nulla al tavolo delle trattative.
    Ne pagheremo le conseguenze a suon di menzogne, ricatti e ulteriori estorsioni: 1981 divorzio Banca d’Italia-Tesoro, 1990 irrigidimento dello Sme, 1992 vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht, 1998 moneta unica, 2012 pareggio di bilancio. A seguire la continua richiesta di riforme strutturali. Tutto senza contropartita alcuna e in nome di un mercato unico dominato solo dalla concorrenza.
    Pierluigi Bianco

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