Chi si rivede!

Vincent Brousseau, sul sito di UPR, propone uno scenario suggestivo e inquietante di fine dell’euro, gestito dalla Germania. Siamo abituati a pensare che la fine dell’euro debba essere un evento storico clamoroso, ma portando alle estreme conseguenze una proposta lanciata da Weidmann (probabilmente il futuro presidente della BCE) e recentemente ripresa dagli economisti dell’IFO, la fine dell’euro potrebbe essere un evento graduale e quasi impercettibile, mascherato da una serie di questioni tecniche. Nel frattempo, però, la scia di macerie e disperazione che l’euro ha prodotto sarà ben tangibile.

L’articolo lo potete leggere per intero qui: http://vocidallestero.it/2017/10/30/brousseau-luscita-furtiva-dalleuro/

Ma io ho trovato sufficiente la tabella riportata:

Riserve in oro per paese

Come Volevasi Dimostrare

I Rimland

È più utile, per chi volesse capire lo scenario internazionale, lo studio di “The Geographical Pivot of History”, pubblicato nel 1904 da Halford John Mackinder che la lettura di tutta la stampa specializzata attuale. Mackinder, esponente di spicco della talassocrazia per eccellenza, il Regno Unito, osserva il mappamondo ed individua nel cuore dell’Eurasia, zona inaccessibile alle potenze marittime, “l’area pivot” del globo terrestre: quell’area che, se debitamente organizzata dal punto di vista militare, logistico, economico e sociale, può schiudere, per chi la controlla, l’egemonia mondiale. Mackinder, in particolare, osserva con timore la costruzione delle ferrovie russe, capaci di spostare merci e soldati nelle sconfinate pianure come navi sul mare. Guai, dice Mackinder, se la Russia si alleasse alla Germania. Con un’incredibile preveggenza, Mackinder, chiude il suo pensiero con uno scenario ancora più preoccupante: l’integrazione tra la Cina ed il retroterra russo.

Seguiranno due guerre mondiali, che consentiranno agli angloamericani di annichilire la Germania e insediarsi in Europa (NATO-CEE/UE) e in Oriente (CENTO e SEATO, poi sciolte).

Durante lo svolgimento della Seconda Guerra Mondiale, lo stratega olandese, naturalizzato americano, Nicholas J. Spykman (1893-1943), pubblica un’opera (America’s Strategy in World Politics) che vuole aggiornare ed integrare il lavoro di Mackinder, per adattarlo alla prossima realtà geopolitica: poco importa, dice Spykman, chi controlla l’Heartland (URSS e la Cina che diverrà presto comunista), l’importante è che le potenze marittime “contengano” il nemico, circondandolo con una serie di Stati-satelliti così di depotenziarlo. A fianco dell’Heartland, nasce così il “Rimland”, rappresentato da tutti quegli appigli (dall’Italia al Giappone, passando per l’India) con cui le talassocrazie possono aggrapparsi alla masse terrestre. Non è, in realtà, un pensiero nuovo: già Mackinder, infatti, aveva evidenziato l’importanza di queste “teste di ponte”, indispensabili per le potenze marittime. Tra le teste di ponte citate da Mackinder nel 1904… c’è anche la Corea!

Iosif Stalin, ben consapevole dell’importanza di questo lembo di terra lungo 950 km, piuttosto brullo ed inospitale, decide di sfrattare gli americani dal condominio che si è creato dopo la sconfitta del Giappone: sovietici ed americani, infatti, si incontrano al 38esimo parallelo ed ognuno, nella propria metà, ha installato un governo amico. All’alba del 25 giugno 1950, l’esercito nordcoreano attraversa il 38esimo parallelo, travolgendo le difese sudcoreane. Caduta Seul, il 30 giugno, il presidente Truman autorizza il generale Douglas MacArthur ad intervenire: comincia così la guerra che si protrarrà fino al 1953 e si concluderà con un sostanziale pareggio (il confine tra le due Coree rimane fissato al 38esimo parallelo), grazie al massiccio intervento della Cina. Il regime di Kim Il Sung (1912-1994) supererà la Guerra Fredda senza altri particolari colpi di scena, grazie al costante appoggio cinese.

http://federicodezzani.altervista.org/assalto-alleurasia-la-corea-del-nord-e-solo-lantipasto/

Indipendente però…

Il piano statunitense per creare una frattura tra Iraq e Iran falliva solo un paio di giorni il lancio da Riyadh, il 22 ottobre, da parte del segretario di Stato USA Rex Tillerson. Washington ha cercato di rilanciare l’Arabia Saudita in contrappeso all’Iran nel teatro iracheno, basandosi sulla presunzione che l’accordo di Riyad per concedere finanziamenti per la “ricostruzione” dell’Iraq post-SIIL fosse irresistibile per Baghdad. Washington immaginava che il Primo ministro iracheno Haydar al-Abadi cercasse di respingere Teheran, poiché la dipendenza dal sostegno militare iraniano ne sminuisce la vittoria sullo SIIL. Tillerson si recava Riyad nel fine settimana per presenziare quale ospite speciale alla riunione inaugurale del cosiddetto Consiglio di coordinamento Arabia Saudita-Iraq. Le cose sembravano andare bene e le osservazioni di Tillerson sui media erano ottimistiche. In una conferenza stampa a Riyadh affermò che la larghezza saudita “rafforzerà l’Iraq come Paese indipendente e integro… (e) questo sarà contrario alle influenze improduttive dell’Iran in Iraq“. Tillerson poi giunse al punto: “Certamente, le milizie iraniane in Iraq, ora che i combattimenti contro lo SIIL vanno concludendosi, devono tornare a casa. Ogni combattente straniero in Iraq deve tornare a casa e permettere al popolo iracheno di controllare le aree occupate dallo SIIL e liberate, consentendogli di ricostruire la propria vita con l’aiuto dei vicini. E ritengo che questo accordo tra Regno dell’Arabia Saudita e Iraq sia cruciale per aiutare il popolo iracheno”. Il riferimento era ai gruppi sciiti finanziati, addestrati e guidati dal Corpo della Guardia Rivoluzionaria iraniana e che hanno sopportato il peso della lotta contro lo SIIL negli ultimi anni. Washington è particolarmente ossessionata dal ruolo dei gruppi paramilitari sciiti che hanno liberato recentemente Qirquq dai pishmirga curdi alleati degli Stati Uniti. (Vedasi La campane di Qirquq suonano anche per la strategia degli Stati Uniti in Siria). Evidentemente, Tillerson è andato oltre. Il punto è che questi gruppi sciiti, conosciuti collettivamente come Forze di mobilitazione popolare, con decine di migliaia di effettivi, faranno probabilmente parte delle Forze Armate irachene. L’ufficio di Abadi a Baghdad ha subito rimproverato che, “Nessuno ha il diritto d’interferire nelle questioni irachene“, e definiva i paramilitari sciiti “patrioti”. Il giorno dopo, quando Tillerson si presentò a Baghdad per incontrare Abadi, questi fu abbastanza esplicito dichiarando che le Forze di mobilitazione popolare sono “parte delle istituzioni irachene” e sono “la speranza del Paese e della regione“. (Reuters) Poi, in un’intervista alla stampa statunitense, Abadi ribadiva: “Vorremmo lavorare con gli Stati Uniti… Ma per favore non portate i vostri problemi in Iraq. Potete farlo altrove“. Abadi quindi suggeriva il ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq, affermando che il potere aereo statunitense non è più necessario e il requisito iracheno sarà d’ora in poi la condivisione delle informazioni e l’addestramento delle forze irachene.

https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/26/il-tentativo-degli-usa-di-dividere-iraq-e-iran-fallisce/

No comment

Di Judith Bergman, 24 ottobre 2017

La Federazione Europea dei Giornalisti (EJF), è la “maggiore organizzazione di giornalisti in Europa, che rappresenta più di 320.000 giornalisti di 71 diverse organizzazioni in 42 diversi paesi”, secondo il suo stesso sito web. Inoltre la EJF, un attore potente, conduce in tutta Europa una campagna chiamata “Media contro l’Odio”.

La campagna si propone di:

“combattere l’”hate speech” (incitamento all’odio, ndt) [1] e la discriminazione sui media, sia online che tradizionali… i media e i giornalisti giocano un ruolo cruciale nell’ispirare le politiche… sull’immigrazione e i rifugiati. Mentre l’incitamento all’odio e gli stereotipi rivolti agli immigrati proliferano in tutta Europa… la campagna #MediaAgainstHate (Media contro l’odio, ndt) si propone di: migliorare la copertura dei media su immigrazione, rifugiati, religione e gruppi marginalizzati… combattere l’incitamento all’odio, l’intolleranza, il razzismo o la discriminazione… migliorare l’applicazione delle strutture legali che regolano l’incitamento all’odio e la libertà di parola…”

E’ ormai svanita la pretesa che il giornalismo riguardi la comunicazione dei fatti. Quelli sopra sono gli obiettivi di un attore politico.

Ed in effetti si tratta di un grosso attore politico, coinvolto nella campagna “Media contro l’odio”. La campagna è uno dei tanti programmi sui media sostenuti dalla UE attraverso il suo programma REC (Rights, Equality and Citizen Programme – programma per i diritti, l’uguaglianza e la cittadinanza, ndt). Nel programma REC per il 2017, la Commissione UE, il corpo esecutivo dell’UE, scrive:

“Il dipartimento della giustizia della Commissione UE affronterà il preoccupante aumento dei crimini legati all’odio e all’incitamento all’odio destinando fondi ad azioni volte alla prevenzione e al contrasto del razzismo, della xenofobia e di altre forme di intolleranza… incluso un lavoro dedicato nell’area del contenimento dell’incitamento all’odio online (implementazione del Codice di Condotta per contrastare l’incitamento all’odio online illegale)… il dipartimento inoltre finanzierà le organizzazioni della società civile che combattono il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza”.

Il più grande attore politico europeo, l’UE, lavora apertamente per influenzare la “stampa libera” con la sua personale agenda politica. Uno dei punti in agenda è la questione dell’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente in Europa. Nel suo discorso di settembre sullo stato dell’Unione, il presidente della Commissione Europea, Jean-Cleaude Juncker, ha chiarito che qualunque sia l’opinione degli europei – e i sondaggi hanno mostrato ripetutamente che la maggioranza degli europei non vogliono altri immigrati – l’UE non ha alcuna intenzione di mettere fine all’immigrazione. Juncker ha detto che “L’Europa, al contrario di quel che dicono alcuni, non è una fortezza e non dovrà mai diventarlo. L’Europa è e deve rimanere il continente della solidarietà dove coloro che scappano dalle persecuzioni possono trovare rifugio (ma di certo non a casa sua, NdVdE)”.

 

Il programma REC dell’Unione Europea ha inoltre recentemente finanziato la pubblicazione di un manuale che fornisce le linee guida per i giornalisti su cosa scrivere quando l’argomento sono gli immigrati e l’immigrazione. Le linee guida sono parte del progetto RESPECT WORDS (Parole di Rispetto, ndt) – anch’esso finanziato dalla UE – che “mira a promuovere la qualità delle notizie sugli immigrati e sulle minoranze etniche e religiose”. Il manuale è stato pubblicato il 12 ottobre dall’Istituto Internazionale della Stampa (IPI) – un’associazione di professionisti dei media che “rappresenta i principali organi di stampa digitali, cartacei e televisivi in più di 120 paesi”. L’IPI sostiene che sta difendendo la “libertà di stampa fin dal 1950” (apparentemente, venire comprati e pagati dalla UE rappresenta una “libertà di stampa” ai giorni nostri). Altri 7 organi di stampa e gruppi civili con base in Europa hanno partecipato al progetto e lo hanno presentato a un evento al Parlamento Europeo a Bruxelles alla presenza dei Parlamentari Europei e di esperti della società civile. Secondo il comunicato stampa, le linee guida sono “complementari alle norme già in vigore per gli organi di stampa”.

Le linee guida dicono che “il giornalismo non può e non dovrebbe “risolvere” il problema dell’incitamento all’odio da solo”, ma che può aiutare a prevenire la sua “normalizzazione”. Tuttavia, “per raggiungere questo obiettivo ci vuole il coinvolgimento di molti attori, in particolare l’Unione Europea, che deve rinforzare i meccanismi esistenti e dare supporto ai nuovi strumenti progettati per combattere l’incitamento all’odio…

Perché i giornalisti, che sostengono di battersi per la libertà di stampa, ora fanno un appello alla UE perché li aiuti a porre fine alla libertà di parola in Europa?

Secondo le linee guida, i giornalisti dovrebbero, tra le altre cose:

“Dare voce a un’appropriata gamma di opinioni, incluse quelle che appartengono agli immigrati e ai membri delle minoranze ma… non… alle prospettive degli estremisti, solo per “far sentire l’altra campana”… Evitare di riprodurre direttamente l’incitamento all’odio; quando riportarlo è degno di nota, mediarlo… opponendosi a tale incitamento all’odio, e spiegando le false premesse su cui si basa. Ricordare che le informazioni sensibili (ad esempio, razza e etnia, religione o credenze filosofiche, affiliazione a partiti o a sindacati, informazioni sulla salute e sul sesso) dovrebbero essere menzionate quando siano necessarie perché il pubblico capisca le notizie”.

Sarà questo il motivo per cui le notizie sui giornali chiamano sempre i colpevoli di violenza sessuale o terrorismo semplicemente “uomini”?

In particolare, riguardo ai musulmani, le linee guida raccomandano di:

“Contrastare gli stereotipi anti-musulmani esistenti, che sono diventati pervasivi nei discorsi pubblici… Aumentare la visibilità di uomini e donne musulmane quando si riportano notizie in genere… Stare attenti a non stigmatizzare ulteriormente termini come “musulmano” o “Islam” associandoli a particolari atti… Non permettere che le dichiarazioni degli estremisti di “agire nel nome dell’Islam” vengano riportate senza essere messe in dubbio. Sottolineare… la diversità delle comunità musulmane… laddove necessario e degno di nota riportare i commenti odiosi contro i musulmani, farlo mediando le informazioni. Contrastare ogni falsa premessa su cui questi commenti si basano”.

Nemmeno Orwell avrebbe potuto inventarsi di meglio.

Judith Bergman è un opinionista, avvocato e analista politico.

[1] In particolare, la campagna “Media contro l’odio” non definisce cosa significhi “incitamento all’odio”. Quel che più si avvicina ad una definizione di ciò che la campagna intende con tale termine, viene da un capitolo sull’incitamento all’odio dal rapporto “Ethics in News” (L’Etica nelle Notizie, ndt) della European Journalism Network (EJN) (Rete del Giornalismo Europeo, ndt) – un’organizzazione britannica che afferma di essere “un istituto indipendente, internazionale, senza scopo di lucro, dedicato ai più alti standard del giornalismo –  che il programma “Media contro l’odio” ha riprodotto sul proprio sito web. L’EJN ha definito l’incitamento all’odio come “… qualsiasi espressione che colpisca un gruppo identificabile – una razza, una comunità religiosa o una minoranza sessuale, per esempio – e dunque ne danneggia i membri, ad esempio “l’incitamento alla… discriminazione negativa e alla violenza” e “espressioni che offendono la sensibilità di una comunità, anche attraverso credenze offensive”. Mentre l’incitamento alla violenza è punibile dalla legge, offendere la sensibilità di una comunità non lo è, ma secondo l’EJN “i limiti legali non dovrebbero determinare i confini del comportamento professionale… i giornalisti devono sviluppare le loro capacità etiche per rispondere al reale rischio che vengano promossi seri danni”.

Debito pubblico e debiti privati

Di Simon Black, 11 ottobre 2017

Il motivo per cui c’è stata la grande crisi finanziaria è che Wall Street stava concedendo mutui per comprare la casa anche a persone che non potevano permetterseli.

Fino alla esplosione della crisi, gli investitori erano voracemente affamati di debito garantito da ipoteche immobiliari con rating “AAA”. E così le società finanziarie concedevano molti prestiti anche a mutuatari a rischio (“subprime”) per poi rivenderli a Wall Street. Wall Street ne impacchettava tanti insieme e una delle agenzie di rating più importanti (come Moody’s o Standard & Poor’s) certificava questi mucchi di rifiuti fumanti con una AAA.

AAA secondo la definizione di Moody significa che l’investimento “dovrebbe sopravvivere all’equivalente della Grande Depressione degli Stati Uniti”. In altre parole, è solido come la roccia.

Il ragionamento era questo: un singolo mutuo subprime è in effetti rischioso. Ma se si mettono insieme i mutui di migliaia di persone, a questo punto il pacchetto può ottenere un rating AAA. Perché non è possibile che non rimborsino il prestito tutti quanti. E poi, bè, sul mercato immobiliare i soldi non vanno mai perduti…

In realtà però le agenzie di rating non erano così stupide come sembravano … Le indagini effettuate dopo la crisi hanno mostrato una quantità di email incriminanti, come questa, di un dirigente di Standard & Poor’s:

“Signore aiuta la nostra fottuta truffa… questo deve essere il posto più stupido in cui ho mai lavorato “.

Come tutti gli altri, stavano al gioco perché volevano fare soldi.

Per generare ipoteche sufficienti per soddisfare la domanda, i finanziatori avrebbero fatto di tutto…

– Vendere una casa senza chiedere il minimo anticipo in contanti.

– Offrire tassi di ingresso trappola (con rate mensili temporaneamente più basse, che nel giro di qualche tempo però si adeguano alle tariffe di mercato).

– E persino offrirsi di pagare parte del mutuo per un paio di mesi (la maggior parte dei piccoli istituti di credito era in grado di rivendere il prestito a Wall Street nel giro di un mese o due, cancellando così la loro responsabilità: se le commissioni sul prestito erano superiori alle loro spese, ci guadagnavano comunque).

I peggiori prestiti subprime erano soprannominati “NINJAs”, che stava per “No income, No job, No assets” (Nessuna entrata, nessuno stipendio, nessuna garanzia).

Quando non furono più in grado di emettere sufficienti mutui per soddisfare la richiesta, a Wall Street sono diventati creativi. Hanno cominciato a impacchettare pacchetti di ipoteche, che venivano chiamati ”CDO (Collateralized Debt Obligation) al quadrato” (CDO aventi come garanzia altri CDO, ndVdE). Quindi hanno creato “CDO sintetici”, che erano solo derivati ​​di altri mutui subprime e di altri CDO (essenzialmente un
modo per le persone di giocare sul mercato dei mutui senza che ci fossero dietro nuovi mutui reali).

Come tutti sappiamo, è finita a disastro… perché le persone che avevano sottoscritto i mutui benché non potessero permettersi di acquistare case costose hanno smesso di pagare le rate. E i CDO, i CDO al quadrato e i CDO sintetici (che erano stati diffusi in tutto il mondo) hanno fatto bancarotta.

Ma ricordiamolo: tutto è iniziato con la vendita di case a persone che non potevano permettersele.

Il che mi riporta a oggi…

Negli Stati Uniti il debito contratto dagli studenti ha raggiunto un livello record, pari a 1,4 trilioni di dollari. E i millennials stanno facendo fatica a pagarli.

L’Associazione Nazionale degli Agenti immobiliari ha svolto un sondaggio tra 2.000 millennials tra i 22 e i 35 anni sul debito contratto per studiare e la proprietà della casa… Solo il 20% degli intervistati possedeva una casa… Degli 8 su 10 che non la possedevano, l’83% ha affermato che la ragione era il debito contratto per studiare. E l’84% ha risposto che avrebbe dovuto rinviare l’acquisto della casa per diversi anni (la mediana era sette anni).

E questo è un guaio per l’attività di vendita immobiliare. Ma, di nuovo, i finanziatori stanno diventando creativi …

L’impresa edilizia di Miami Lennar Homes ha recentemente annunciato che avrebbe pagato una grande parte del prestito studentesco per qualsiasi mutuatario che comprasse una casa da loro.

Attraverso la sua controllata Eagle Home Mortgage, l’azienda si farà carico di una quota del prestito studentesco dell’acquirente, pari a ben il 3% del prezzo di acquisto della casa, fino a 13.000 dollari.

Il debito è diventato a tal punto la chiave di volta della nostra società, che l’unico modo in cui possiamo permetterci qualcosa è scambiando un tipo di debito che non possiamo permetterci, con un altro tipo di debito.

Un recente studio della Pew Charitable Trust ha mostrato che il 41% delle famiglie americane ha meno di 2.000 dollari di risparmi: un buon terzo ha zero risparmi (tra cui una su dieci delle famiglie con oltre 100.000 dollari di reddito). Un altro studio ha mostrato che il 70% degli americani ha meno di 1.000 dollari di risparmi.

Il punto è che l’America è a pezzi… Una singola spesa imprevista come un pneumatico che esplode o una visita del medico manderebbe a gambe all’aria la maggior parte delle persone.

E sta solo peggiorando.

Nel mese di agosto, ho calcolato l’ammontare del conto medio delle famiglie nella Bank of America (che ha 592 miliardi di dollari in depositi di cittadini privati, 46 milioni di famiglie) … È di solo 12.870 dollari per famiglia… E questo include risparmi, investimenti, piani di pensionamento… TUTTO.

E bisogna anche tenere a mente che questa è la media… resa più alta dai titolari di conti con saldi  enormi.

Non c’è da meravigliarsi che gli americani abbiano 1.021 trilioni di dollari di debiti contratti con la carta di credito – la somma più alta della storia.

Anche i finanziamenti per l’acquisto di auto hanno toccato il record di 1,2 trilioni di dollari.

E non dimentichiamo il governo americano, che è sotto di più di 20 trilioni di dollari. 

Il debito statunitense è ora del 104% del PIL … E il debito totale è cresciuto del 48% dal 2010.

Nel bilancio economico la colonna dei debiti continua ad allungarsi. Nel frattempo, gli attivi e la produttività non stanno tenendo il passo.

Ma la gente continua a comprare case, automobili, televisioni e pagare le tasse dell’Università indebitandosi sempre di più… E ora, scambiando un tipo di debito con un altro.

La ricchezza è basata sul risparmio e sulla produzione. Non sul fabbricare trucchetti con le carte e sprofondare sempre di più nei debiti.

Non posso dirti quando questo castello di carte crollerà. Ma ti assicuro che precipiterà.

http://vocidallestero.it/2017/10/17/il-sistema-di-mutui-piu-folle-che-ho-mai-visto/

Putin gioca l’occidente e crea la sua criptomoneta

Di fatto esse sono nate dopo la grande crisi del 2008 non in polemica col sistema finanziario, ma anzi come suprema incarnazione di esso

il Simplicissimus

1508339423067_1508339443.jpg--nasce_il_criptorublo__la_versione_russa_del_bitcoinPutin ne ha fatta un’altra delle sue, è ormai il Franti dell’occidente, quello che rompe le uova nel paniere. E questa volta è entrato come un bufalo infuriato negli oscuri recessi delle cripto monete come Bitcoin e centinaia di altre, preannunciando che Mosca entrerà ufficialmente in questo mercato parallelo con una propria criptovaluta, la quale però non sarà in mano a opachi meccanismi, ma verrà emesso direttamente ed esclusivamente dal governo federale russo. La decisione è stata presa ufficialmente, secondo quanto riferito dal ministro delle comunicazioni  Nicolaj Nikifirov, per impedire che la mossa venga fatta ” dai nostri vicini dell’Euroasec” ovvero di quei Paesi, soprattutto dell’Asia centrale nati dalla dissoluzione dell’ Urss.

E’ facile vedere che l’obiettivo reale non è certo di impedire che il Kazachistan o la Bielorussia mettano in piedi sistemi per drenare soldi dalla Russia, obiettivo per il quale avrebbero quantomeno bisogno di un grande fratello dietro le spalle…

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Accordo stracciato

Nella giornata odierna sono arrivate le prime reazioni negative al discorso del Presidente Donald Trump con cui questi ha rifiutato di “certificare”l’accordo sul nucleare con l’Iran, che aveva visto nel 2015 l’adesione da parte dell’Unione Europea, inclusa la Germania e la Gran Bretagna,  la Russia e la Cina. Di fatto Trump, con il suo discorso, ha stracciato l’accordo sulla base di motivazioni che sono parse pretestuose ed infondate ai più, visto che la stesssa AIEA aveva confermato che l’Iran stava rispettando del tutto le clausole di tale accordo e lo stesso parere era stato dato dagli altri paesi che avevano sottoscritto il trattato ( JCPOA) . A distanza di due anni Teheran ha dimostrato di adempiere ai patti e di rinunciare alla realizzazione di armi nucleari, Washington si ritira senza alcuna seria motivazione se non invocando il pretesto che l’Iran non avrebbe rispettato “lo spirito dell’accordo” sviluppando il suo arsenale di missili a lunga gittata e con “l’aiutare il terrorismo nella regione”. Una accusa che non regge visto che, proprio l’Iran,  assieme alla Russia, è stato il paese che si è dimostrato parte attiva nella sconfitta dell’ISIS e di Al Qaeda che, come noto, hanno ricevuto, per anni, carichi di armi ed aiuti dagli USA e dai loro alleati. In realtà le critiche degli osservatori sono basate  sul fatto che Washington si dimostra in questo caso inaffidabile per qualsiasi accordo internazionale, così come era avvenuto con la Libia ed in altri casi recenti.  Questo rischia di dare ragione a chi, come King Su, delal Corea del Nord,  ha dichiarato che le armi nucleari sono l’unica garanzia per il suo paese di non essere attaccato dagli USA, dato il fatto che Washington dimostra di non rispettare alcun accordo internazionale se non la legge della forza. Le reazioni negative si sono avute già da parte dei vari paesi della comunità internazionale ed in particolare da quelli che erano stati parte attiva nella conclusione dell’accordo con Teheran. La Federica Mogherini, rappresentante per l’Unione Europea, aveva messo in chiaro che l’accordo è multilaterale e non bilaterale e di conseguenza non può essere inficiato da uno solo dei contraenti ed un discorso simile è stato fatto anche dalla Teresa Mey da Londra e dal ministro Gabriel da Berlino. Per quanto riguarda la Russia, da Mosca giunge un chiaro avvertimento verso Washington. “La decisione degli Stati Uniti non aiuta il clima di sicurezza e di non proliferazione delle armi nucleari del mondo – ha detto Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin – e questa azione aggraverà seriamente la situazione del programma nucleare iraniano”. Altrattanta contrarietà è stata espressa dal responsabile agli Esteri della Repubblica Popolare Cinese che ha già avviato da tempo fruttuosi rapporti di cooperazione commerciale con l’Iran e non intende certo rinunciarvi per l’ossessione di Trump di boicottare Teheran per compiacere il governo Netanyahu ed il suo genero Jared Kushner, che sembra essere il “suggeritore occulto delle scelte di Trump nella politica USA in Medio Oriente. Una decisa reazione critica è venuta anche dal Congresso USA ed in particolare dalla esponente democratica Nancy Pelosi, la quale ha sostenuto che il rifiuto di Trump di ratificare l’accordo con l’Iran “è un grave errore che minaccia la sicurezza degli Stati Uniti e la nostra credibilità in un momento molto critico”, ha affermato la Pelosi che è anche la leader della minoranza democratica nella Camera dei Rappresentanti.

Nancy Pelosi

La Pelosi ha ribadito che l’Iran risulta aver adempiuto ai propri impegni derivanti dall’accordo conosciuto come JCPOA e che la decisione di Trump appare “frivola e pericolosa” e che rischia di isolare non l’Iran ma proprio gli stessi USA nello scenario mondiale e per questo risulta una decisione molto pericolosa. Il nuovo corso di Trump rischia di aprire quindi, dopo la Corea del Nord, dopo la Siria, dopo lo Yemen, dopo il Venezuela e Cuba, l’ennesima crisi nello scenario internazionale. Tutto lascia pensare che, tra la fine dell’anno in corso e l’inizio del 2018, il mondo non potrà navigare in acque molto tranquille. Analisi di Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/reazioni-negative-al-rifiuto-di-trump-di-ratificare-il-trattato-sul-nucleare-con-liran/

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Indipendentismi economici

Israele è il maggiore importatore mondiale di greggio dalla provincia irachena del Kurdistan, nel 2017, afferma una relazione. Secondo i dati della società statunitense ClipperData che traccia l’invio di benzina nel mondo, circa metà del greggio estratto dai campi petroliferi del Kurdistan iracheno viene spedito in Israele. In precedenza, l’Italia era il maggiore importatore al mondo di petrolio del Kurdistan. Si stima che le aree controllate dal governo regionale del Kurdistan forniscano quotidianamente circa 500-600000 barili di petrolio al mercato mondiale attraverso un oleodotto che arriva al porto di Ceyhan, nel sud della Turchia. Durante la preparazione del referendum indipendente del Kurdistan, l’oleodotto fu chiuso almeno due volte dalla Turchia. I media israeliani riferivano che i dati resi noti dal Movimento Gorran, il primo partito di opposizione del Kurdistan, indicavano che le società israeliane ricevettero a settembre circa 3,8 milioni di barili di greggio dalla regione del Kurdistan dell’Iraq. Il notiziario israeliano i24News afferma che, sebbene gli acquirenti in Israele siano per lo più compagnie petrolifere private, questi acquisti tuttavia hanno iniettato fondi considerevoli nel bilancio della regione curda spingendo le dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sostegno del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno e del “diritto all’autodeterminazione del popolo curdo”. Nel frattempo, il ministro dell’Energia dell’Iraq, Jabar al-Luaybi, chiedeva alla North Oil Co., l’operatore di Stato dei campi di Qirquq, alla compagnia statale per i progetti petroliferi e alla società degli oleodotti di Stato di ripristinare e riaprire la pipeline Qirquq-Ceyhan che si estende dai campi petroliferi della provincia di Qirquq al porto turco meridionale di Ceyhan attraversando le province irachene di Salahudin e Niniwa, esortando a ripristinare l’esportazione precedente, tra 250000 e 400000 barili al giorno.

Wikipedia

https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/11/mosca-teheran-e-ankara-aprono-un-fronte-anti-occidentale-unito/

Prove tecniche di eurofranchismo

ciò che prima era un’aspirazione all’indipendenza più gettata sul tappeto dalle élites locali per ottenere maggiore autonomia, si è e prima saldata al desiderio di sfuggire alla mannaia dei diktat europei e adesso, con la stupida repressione del referendum ha acquistato un vero, visibile nemico ed è divenuta dunque una lotta concreta.

il Simplicissimus

DLDcbOaXoAE7bHu-720x300Quasi  mille feriti, proiettili di gomma, arresti, assalto della guardia civil ai seggi per impedire il voto, barricate, immagini di violenza poliziesca persino sugli anziani, gente che si mette davanti ai mezzi della polizia come in Piazza Tienanmen e questa volta senza montaggi o ricostruzioni mitologiche: insomma scene come se ne vedono in qualche angolo lontano del mondo con l’ottusa convinzione che da noi queste cose non possono accadere. E tuttavia il referendum per l’indipendenza della Catalogna ha superato ogni aspettativa di partecipazione al voto viste le condizioni in cui si è svolto: più di due milioni e 200 mila persone sono andate a mettere la scheda e ill 93% per cento di loro ha detto sì all’indipendenza.

Ma a questo punto i numeri hanno un’importanza relativa: ciò che è morto nelle strade di Barcellona è l’idea civile e democratica di un’Europa che sta progressivamente gettando la maschera: al suo…

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Estranei al disimpegno

Machiavelli auspicava di riportare in auge la virtù della Roma repubblicana. La civiltà europea seguì tuttavia un percorso diverso: al posto della virtù del cittadino-soldato e del governo misto, si ebbero la concentrazione del potere statuale, la nascita degli eserciti professionali, nonché lo sviluppo economico necessario al loro finanziamento. A delinearne il modello di base sarà Thomas Hobbes, teorico dell’assolutismo. Machiavelli ed Hobbes saranno incarnazioni di opposti paradigmi, opposti modi di concepire il conflitto tra gli esseri umani. Il modo di concepire il conflitto da parte di Hobbes sarà determinante per tutte le principali ideologie moderne (liberalismo, nazionalismo, socialismo e loro derivazioni).
Non è un caso che cinque secoli dopo, ora che la civiltà europea, trasfiguratasi in quella occidentale, sprofonda nell’anomìa, qualcuno torni ad occuparsi in modo sistematico di Machiavelli, tant’è che è sorta negli ultimi decenni una corrente di studi denominata “repubblicanesimo” a lui ispirata. Da questo dibattito potrebbero venire indicazioni utili per ripensare radicalmente le fondamenta di una politica mai così in crisi e screditata agli occhi dei più.
Occhi che vanno aperti. Se, fin dai tempi antichi, la gestione del potere si è affidata alla massima riservatezza, alla dissimulazione, alle operazioni sotto copertura da parte di specialisti, infiltrati, per millenni la popolazione è stata esclusa a priori dai misteri del comando. Solo in tempi storici relativamente recenti si è avanzata l’esigenza di trasparenza dell’operato dei governi, ma l’avvento dei regimi democratici non ha annullato la segretezza delle decisioni cruciali e delle operazioni strategiche più delicate. Individuare queste strategie non è facile, meno ancora contrapporvisi. Del resto, vi è anche il rischio è di scivolare in ricostruzioni fantasiose in cui ogni dinamica sociale vien spiegata attraverso schemi elementari e stereotipi. Se la mania complottista è una deriva di menti poco lucide, tuttavia l’anticomplottismo sistematico è il frutto di una sindrome non meno controproducente e forse più pericolosa.


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