Il sovranismo in due parole

Dal dopoguerra fino alla metà degli anni ’80 nel nostro paese era vigente un sistema di indicizzazione dei salari – la cosiddetta “scala mobile” – che consentì alla maggioranza degli italiani di emergere dalle condizioni di miseria del dopoguerra. La classe media impiegatizia rappresentata dai “baby boomers” sperimentò una scalata sociale poderosa, migliorando le proprie condizioni di vita, investendo nell’acquisto di una casa e garantendosi quote crescenti di benessere. Erano i nostri genitori e ognuno di noi può avere conferma di ciò che sto scrivendo attraverso le loro testimonianze dirette.
Gli shock petroliferi del ’73 e del ’79, generati da cause esogene (la Guerra del Kippur e la rivoluzione iraniana) portarono il prezzo del greggio a lievitare in modo sconsiderato, da meno di 4$ al barile del 1973 a più di 11 nel 1975 e poi da 15$ del 1979 a 39$ nel 1980. Questo aumento vertiginoso della fonte energetica primaria di cui non disponiamo generò un’impennata dei tassi di inflazione, ma la ricchezza della classe media fu protetta grazie all’indennità di contingenza e produsse un effetto positivo di cui hanno potuto godere tutte le famiglie italiane: l’abbattimento del costo dei mutui. Questa è una delle concause che hanno contribuito a consegnare al nostro paese il primato mondiale di proprietà di immobili ad uso abitativo da parte delle famiglie. Un ulteriore effetto positivo si registrò sul debito pubblico. In quegli anni, infatti, le politiche di deficit adottate per finanziare la spesa pubblica e i crescenti costi dello stato sociale facevano abbondantemente sforare del 10% del PIL i disavanzi. Nonostante ciò, il debito galleggiava intorno al 50% del PIL, salendo e scendendo di anno in anno. Com’era possibile? La nostra banca centrale aveva ancora pieno potere di controllo dei tassi di indebitamento, pertanto lo Stato finanziava la spesa pubblica emettendo titoli anche a tassi reali negativi (poco sotto l’inflazione), che venivano acquistati per la gran parte dalle famiglie italiane che volevano difendere i loro risparmi. Fu mio padre a raccontarmi che in quegli anni acquistava una quantità considerevole di titoli di stato. Dunque lo Stato aveva in mano uno strumento, quello del controllo dei tassi, che consentiva di operare una politica monetaria che finanziava la spesa pubblica generando un debito “non oneroso” e che costituiva fonte di allocazione dei risparmi per le famiglie.
A seguito di questo decennio di inflazione a due cifre (1973-1983), tuttavia, si avviò il dibattito sulla necessità di rivedere il meccanismo di indicizzazione, che si riteneva corresponsabile del perdurare degli elevati livelli di inflazione, che nel frattempo si era comunque dimezzata. Il dibattito sfociò in una serie di provvedimenti volti a limitare prima (1984) e a eliminare poi (1992) la scala mobile. Contemporaneamente, alla fine degli anni ’70 si decise di avviare un processo di sottrazione dell’emissione dei titoli di stato dal controllo pubblico, sottoponendo la spesa dello Stato alla legge della domanda e dell’offerta dei titoli sul mercato finanziario, senza esercitare più quel potere di calmieramento dei tassi da parte della Banca d’Italia. Questa decisione, nota come “divorzio tra Tesoro e banca d’Italia”, produsse anche una crisi di governo, rimasta alla storia come “lite delle comari”, dovuta alla divergenza di vedute tra l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta (promotore del divorzio) e il ministro delle finanze Rino Formica. Uno dei primi detrattori della scelta infelice, Federico Caffè, preconizzò l’esplosione del debito per la componente interessi che si sarebbe poi generata nel decennio successivo. Dal 1981, anno del divorzio, in dieci anni il nostro debito pubblico, finanziato a tassi stabiliti dalla libera contrattazione del mercato, raddoppiò, essenzialmente a causa della componente interessi.
Queste due scelte, quella di non adeguare i salari all’inflazione e quella di obbligare lo Stato a finanziarsi senza controllo dei tassi, furono adottate in ragione del fatto che l’avanzamento del processo di integrazione europea richiedeva questi “sacrifici”, perché l’unione economica e monetaria che si sarebbero realizzate negli anni ’90, prevedevano lo svincolamento dell’operato delle banche centrali dal rapporto di dipendenza dagli esecutivi e la progressiva riduzione del tasso di inflazione entro i valori desiderabili per l’allora Comunità Europea, cioè per la Germania.
Fu così che sacrificammo un modello di sviluppo che caratterizzava il nostro paese per aderire a un modello di organizzazione economica e sociale importato dal nord Europa. Dal 1992 in poi, la storia dovremmo conoscerla ormai tutti: stallo salariale, blocco del turnover, prelievi dai conti correnti, manovre “lacrime e sangue”, riforme che stanno distruggendo la sanità, la scuola, l’assistenza e la previdenza pubblica e vincoli di bilancio sempre più stringenti per ritrovarci, alla fine, un debito pubblico più elevato, un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello degli anni ’70 e un futuro nero davanti ai nostri occhi. Secondo voi, dico, ne è valsa la pena?
Tornare sui nostri passi si può. Per andare avanti verso un futuro migliore. Se a un bivio hai sbagliato strada, cosa fai? Procedi per la direzione sbagliata o cerchi di porre rimedio tornando sui tuoi passi per riprendere la retta via?

Gianluca Baldini

La partnership trans-pacific senza USA

A fine gennaio 2018, Tokyo ospitò l’incontro decisivo dei rappresentanti degli Stati membri del TPP, dove il nuovo testo dell’accordo fu finalmente approvato. Il nuovo accordo TPP senza partecipazione degli Stati Uniti fu firmato da 11 Stati in Cile l’8 marzo 2018. Entrerà in vigore 60 giorni dopo la ratifica da parte di tutti i parlamenti degli Stati membri. Il testo del documento è leggermente diverso da quello originale. Alcuni Paesi hanno fatto del loro meglio per cambiarlo a proprio vantaggio dopo il ritiro degli Stati Uniti. Ad esempio, il Vietnam suggeriva di eliminare diversi articoli sul diritto del lavoro che Washington DC impose ai partner col pretesto della protezione dei diritti umani. Il nuovo accordo TPP ha un’altra caratteristica importante: la possibilità di accettare nuovi membri. Pertanto, diversi Stati membri del TPP, tra cui Messico, Perù e Cile, incoraggiano Russia e Cina ad aderirvi, ovvero due potenti Stati del Pacifico, che il progetto TPP originale non includeva. Possono anche aderire Stati che non hanno accesso all’Oceano Pacifico. Ad esempio, il Regno Unito vi ha espresso interesse. Il carattere aperto del TPP concede agli Stati Uniti l’opportunità di ricongiungervisi se lo decidessero. Ed è probabile. Al Forum economico mondiale di Davos (WEF), che si svolse a fine gennaio 2018, Donald Trump dichiarasse che gli Stati Uniti erano pronti a tornare ai negoziati TPP a condizione che agli Stati Uniti venissero offerte condizioni più accettabili.
Esiste un altro possibile evento che può spingere gli Stati Uniti a rientrare nel TPP, che potrebbe espandere notevolmente il territorio e il potenziale del TPP. È la possibilità che tutti i membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) vi aderiscano. Come già accennato, il TPP include membri influenti dell’ASEAN come Singapore e Vietnam, oltre a Brunei e Malesia. Thailandia e Indonesia esprimono interesse e sono tra le economie più sviluppate dell’ASEAN. È possibile che anche altri membri del blocco vogliano aderire. Nel marzo 2018, Sydney ospitò il summit speciale ASEAN-Australia, a cui presero parte tutti i leader e primi ministri dei Paesi membri dell’ASEAN, ad eccezione delle Filippine (rappresentate dal segretario degli Esteri). I principali argomenti erano garantire sicurezza e libero scambio. Fu anche discussa la partecipazione degli Stati membri dell’ASEAN al TPP. Australia ed ASEAN sono partner strategici dal 2014 e hanno collaborato attivamente su varie piattaforme. Il grande sforzo fatto da Canberra per preservare il progetto TPP mostra che è molto interessata e probabilmente lavorerà ancora più duramente per inserirvi tutti i membri dell’ASEAN. Pertanto, il partenariato transpacifico, che molti erano pronti a rottamare dopo il ritiro degli Stati Uniti, ha buone prospettive. Ora, possibilità del ritorno degli Stati Uniti al TPP è sempre più discusso sui media. Tuttavia, anche se dovesse accadere, gli Stati Uniti non giocheranno più un ruolo guida. Il partenariato è ora guidato da altri Paesi, che modificano il testo dell’accordo in base alle loro esigenze.
In conclusione, potremmo dire che se il TPP fosse stato originariamente progettato per unire i partner degli USA, sostenendo l’egemonia statunitense nell’APAC, ora è un’unione indipendente di Stati regionali che imparando a vivere senza che Washington gli dica cosa fare.
https://aurorasito.wordpress.com/2018/04/26/la-partnership-trans-pacific-senza-stati-uniti/

La grande truffa

di Carlo Bonaiti Cominciamo con due dati: abbiamo un debito pubblico di 2.230 mld. pari al 132% del PIL. Paghiamo ogni anno quasi 90 mld. di interessi (la terza spesa italiana dopo la previdenza e la sanità) senza, peraltro, riuscire ad intaccare il debito. E la narrazione corrente ci vuole direttamente responsabili (noi cittadini) per aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità !!! La storia: dal 1960 al 1981 il rapporto D.P./PIL è sempre stato inferiore al 60% (circa il 58%) che rappresenta il valore che i burocrati di Bruxelles considerano adeguato per definire una economia sana. Dopo il 1981 il rapporto sale improvvisamente a circa il 130%. Ma cosa successe nel 1981? Per volere dell’allora ministro Andreatta avviene il divorzio tra la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro, mettendo fine alla possibilità del governo di finanziare il disavanzo. Ma che succedeva prima? I titoli che lo stato emetteva per finanziarsi e che non riusciva a vendere erano comprati dalla Banca d’Italia ad un tasso prefissato, basso. Dopo il divorzio lo Stato, senza questo “effetto paracadute”, per poter vendere tutti i titoli emessi (cioè per renderli allettanti) si vede costretto ad innalzare i tassi di interesse e questa è una delle cause principali che ha comportato l’innalzamento del debito pubblico. Ma cosa spinse Andreatta a questa scellerata decisione? Come raccontò lui stesso dieci anni dopo in una lettera pubblicata sul Sole 24 Ore, questo stravolgimento strutturale fu necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione Europea e Italia. Ad essere in pericolo era infatti la partecipazione del nostro Paese all’interno dello Sme (l’accordo precursore del sistema Euro). Sia Andreatta che Ciampi, quindi, agirono non nel rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ma sotto la pressione di spinte sovranazionali.

Leggi tutto su https://www.controinformazione.info/debito-pubblico-la-grande-truffa/

Non è successo niente in Siria

Emmanuel Todd (estratto da controinformazione.org)La Russia ha un regime che io chiamo democrazia autoritaria. Putin è eletto. C’è un certo tipo di controllo degli organi di stampa, ma i russi sono informati. Tutti concordano sul fatto che i russi sono favorevoli alla politica di Putin. La Russia è un paese che ha poco più di 140 milioni di abitanti, cioè dieci volte meno del cosiddetto mondo occidentale. È un paese che ha appena trovato un certo tipo di stabilità e sicurezza sociale. Il tasso di suicidi è in caduta. Il tasso di omicidi è in caduta. Un certo tipo di fiducia sociale si è ristabilito in Russia. La vera ragione della popolarità di Putin è semplicemente che dopo la crisi dell’uscita dal comunismo, i russi si sentono meglio. Hanno un futuro. La fertilità è leggermente in risalita, anche se si è un po’ riabbassata. E, è vero, questo paese è tornato alla parità in termini di tecnologie militari. Non c’è dubbio che hanno avuto una rimonta tecnologica. E infatti, la Russia sembra essere l’unica forza al mondo sul piano militare in grado di far fronte, essere forza di equilibrio, contro gli Stati Uniti.

Se pensiamo in termini di equilibrio dei poteri, se rispettiamo la Costituzione degli Stati Uniti, dobbiamo dire che è comunque meglio così! Perché l’idea che un solo paese al mondo sia in grado di fare ciò che vuole, non è un buon concetto da un punto di vista liberale. Anche se non ci piace la Russia, l’esistenza di un polo di stabilità che non ha una reale capacità di espansione – è troppo piccolo in termini di popolazione – dovremmo prenderla per una buona notizia.

Ebbene, in Occidente la Russia, non solo Putin, è un mostro, in più inquadrato rispetto a criteri antropologici e familiari che non dovrebbero avere nulla a che fare con la geopolitica, come lo statuto degli omosessuali o qualcos’altro del genere. C’è una visione estremamente negativa della Russia. Tutti gli interventi russi, tutto ciò che i russi dicono è considerato parola di Satana, bugie, ecc.

La fibrillazione assolutamente incredibile delle grandi democrazie occidentali

E poi noi ci comportiamo come se fossimo normali. Ma la verità è che il mondo più occidentale, le tre democrazie occidentali originarie – Francia, Inghilterra e Stati Uniti, cioè le nazioni che hanno costruito la democrazia – possono essere considerate in uno stato di fibrillazione assolutamente incredibile. È un mondo in crisi. […] La verità è che in queste tre democrazie ci troviamo in una situazione di instabilità e di schizofrenia.

[…] Ho letto i testi di Putin, o di Lavrov (1), oppure che si tratti dei contatti che ho potuto avere di recente all’ambasciata russa, il livello intellettuale dei diplomatici russi e dei dirigenti russi è molto superiore a quello degli occidentali. Non si può capire la situazione se non si vede questa asimmetria. Cioè, un’intervista a Lavrov o una discussione con Orlov, ambasciatore russo a Parigi, sono persone molto superiori a quelle del Quai d’Orsay. Hanno una visione della storia, una visione del mondo, una visione della Russia, una visione dell’equilibrio di forze, una visione di autocontrollo che chiamano professionalità.

[…] Se smetti di leggere Le Monde e di credere a quello che c’è dentro, ti dici: bene, dov’è la razionalità, dov’è l’intelligenza, dov’è l’autocontrollo? E’ questo che è importante.

  • Emmanuel Todd – storico, sociologo, antropologo francese.  Ricercatore presso l’Institut national d’études démographiques (INED) di Parigi. Ha scritto numerosi saggi, tra cui Il crollo finale (1976), in cui ha preconizzato la fine dell’Unione Sovietica, e Dopo l’impero (2003), in cui profetizza la «decomposizione del sistema americano» e la rinascita dell’Europa.
  • Ultime opere: Dopo l’Impero, Ed. Net.  L’Incontro delle Civilità, Ed. Marco Tropea.
  • Fonte: Yetiblog.org
    Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Il comunicato ufficiale russo

Il Colonnello-Generale Sergej Rudskoj, a capo della Direzione Generale Operativa della Federazione Russa, dichiarava che il 14 aprile veniva effettuato un attacco missilistico tra le 3.42 e le 5.10 sulle installazioni militari e civili della Repubblica araba siriana da parte di vettori aerei e navali di Stati Uniti e loro alleati. I sistemi di difesa aerea russi nelle basi di Humaymin e Tartus identificavano e seguivano in modo tempestivo tutti i lanci missilistici navali ed aerei di Stati Uniti e Regno Unito. Non c’era traccia di operazioni francesi. Si trattava di aerei dell’aeronautica degli Stati Uniti, B-1, F-15, F-16, ed inglesi Tornado sul Mediterraneo, e navi della Marina degli Stati Uniti Laboon e Monterey nel Mar Rosso. I bombardieri strategici attaccavano obiettivi sul territorio siriano nell’area di al-Tanaf, illegalmente occupata dagli Stati Uniti. Numerosi aeroporti militari, impianti industriali e di ricerca siriani erano obiettivo dell’attacco missilistico. Secondo dati preliminari, non ci sono vittime tra la popolazione e l’esercito siriani. Le informazioni saranno completate e comunicate al pubblico.
Secondo le informazioni disponibili, 103 missili da crociera, compresa la versione navale Tomahawk, sono stati utilizzati assieme a bombe guidate GBU-38 sganciate da aerei B-1B, e missili aria-terra lanciati da F-15 e F-16. L’ Aeronautica militare inglese sparava otto missili.
I sistemi di difesa aerea siriani, basati sui sistemi di difesa aerea di produzione sovietica, respingevano con successo gli attacchi missilistici, intercettando 71 missili da crociera. I sistemi S-125, S-200, Buk, Osa e Kvadrat/Kub delle difese aeree siriane respingevano l’attacco missilistico, dimostrando l’elevata efficienza militare della Siria e l’eccellenza del personale militare siriano addestrato dai nostri specialisti. Nell’ultimo anno e mezzo, la Russia ha completamente aggiornato i sistemi di difesa aerea della Siria e continua a migliorarli.
Va sottolineato che alcuni anni fa, data la richiesta urgente di certi nostri partner occidentali, evitammo l’invio dei sistemi di difesa aerea S-300 in Siria; ora consideriamo possibile rivedere la questione, non solo con la Siria ma anche con altri Stati.
Obiettivi dell’attacco erano, tra l’altro, le basi aeree dell’Aeronautica Militare araba siriana. I dati dicono quanto segue:
4 missili sono stati lanciati contro la base aerea di Duwali, venendo tutti abbattuti.
12 missili sono stati lanciati contro la base aerea di Dumayr, venendo tutti abbattuti.
18 missili sono stati lanciati contro la base aerea di Bulayl, venendo tutti abbattuti.
12 missili sono stati lanciati contro la base aerea di Shayrat, venendo tutti abbattuti.
Le basi aeree non sono state danneggiate.
Dei 9 missili lanciati contro l’aeroporto di Mazah, 5 sono stati abbattuti.
Dei 16 missili lanciati contro l’aeroporto di Homs, 13 sono stati abbattuti e non è stata osservata traccia di danni.
30 missili puntavano sull’area di Barzah e Jaramana, presso Damasco. Di questi, 7 cadevano su strutture presuntamente collegate al cosiddetto “programma chimico militare” di Damasco, venendo parzialmente distrutte. Tuttavia, non erano utilizzate da tempo, non vi sono stati danni materiali o tra il personale.
Le Forze della Difesa Aerea russe sono in allerta e l’Aeronautica perlustra i cieli. Alcuno dei missili da crociera ha toccato la zona antiaerea russa. I nostri complessi non sono stati usati.
Riteniamo che tale attacco non sia in risposta a un attacco chimico, ma ai successi delle Forze Armate siriane nella lotta per liberare il proprio territorio dal terrorismo internazionale. Allo stesso tempo, una missione speciale dell’OPCW che doveva indagare sull’incidente nella città di Duma, dove presumibilmente furono usate armi chimiche, sarebbe dovuta arrivare oggi a Damasco.
Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che in Siria non ci sono strutture per armi chimiche come registrato dall’Organizzazione per il divieto delle armi chimiche. Tale aggressione testimonia l’intransigenza degli Stati Uniti sull’obiettività dell’indagine, tentando di sabotare il processo di pace in Siria e di destabilizzare il Medio Oriente, e non ha nulla a che vedere con gli obiettivi della lotta al terrorismo internazionale.
E’ stato un piacere. Attualmente, la situazione a Damasco e altre aree urbane in Siria è calma.
Seguiamo da vicino la situazione.Traduzione di Alessandro Lattanzio

https://aurorasito.wordpress.com/2018/04/14/il-ministero-della-difesa-russo-sullaggressione-alla-siria/

Un anno dopo

di  Luciano Lago Mentre si prepara l’attacco alla Siria e la flotta aeronavale USA si muove verso il Mediterraneo ed il Golfo Persico, risulta che l’amministrazione Trump in questo momento è impegnata negoziare con la Gran Bretagna, la Francia e altri alleati, inclusi i governi arabi, circa i loro ruoli nell’operazione siriana. Da alcune fonti affidabili (riservate) è trapelato che Donald Trump, il quale ha assunto il berretto di comandante in capo delle operazioni, questa volta sta esaminando una grande operazione in Siria, che si svolgerà per diversi giorni e porterà ad un attacco concertato della coalizione alleata sia contro i centri di comando e controllo delle forze siriane, sia in contemporanea contro la presenza militare iraniana insediatasi in quel paese. In pratica sembra evidente che l’operazione era pianificata da tempo e mancava solo il pretesto per l’intervento, creato appositamente con l‘operazione “false flag” dell’attacco con i gas di cui sono stati incaricati i ribelli sotto direzione di CIA e Mossad. Trump cerca di ottenere l’appoggio della Gran Bretagna ed ha imposto al primo ministro britannico, Theresa May, la restituzione del “favore”: devi ricambiare il mio sostegno per averti appoggiato contro la Russia nell’affare della ex spia avvelenato; adesso tocca alla Gran Bretagna sostenermi nell’attacco contro la Russia e l’Iran in rappresaglia per il finto attacco chimico in Siria, quello prefabbricato dai mercenari filo USA. La Gran Bretagna mantiene una base aerea a Cipro che metterebbe a disposizione della coalizione USA. Allo stesso tempo la Francia di Macron è ansiosa di mettere già da subito a disposizione le sue forze ma l’unica portaerei francese, la Charles de Gaulle-R 91, è in banchina per lunghe riparazioni. Il 6 aprile 350 aviatori francesi hanno iniziato un addestramento congiunto a bordo della USS George HW Bush nell’Atlantico occidentale. Il loro trasferimento implicherebbe un complicato e dispendioso coordinamento tra i due quartieri generali. Saranno a disposizione del comando integrato USA. Trump ha promesso di prendere una decisione sull’operazione siriana entro giovedì dopo aver consultato i suoi consiglieri per la sicurezza e gli alleati. Quello che Trump ha in mente è molto più di un unico bombardamento simile all’assalto per mezzo dei missili Tomahawk che aveva ordinato su una base aerea siriana, un anno fa, sempre in risposta ad un altro presunto attacco chimico avvenuto allora.

Difesa aerea Pansir S-1 in Siria 2

È probabile che questa operazione sia sostenuta per diversi giorni e continui fino alla seconda metà di aprile. Questo renderà più pericolose le reazioni della Russia e dell’Iran. Israele fra gli altri si aspetta una imminente reazione iraniana e russa in risposta all’attacco della base siriana dove 7 consiglieri iraniani sono periti nel bombardamento. Teheran lo ha promesso che questa azione non rimarrà impunita e si prevede che l’attacco potrà essere effettuato con i missili strategici iraniani contro obiettivi sul territorio di Israele. Le reazioni russe non sono facilmente prevedibili ma il rappresentante diplomatico russo a Beirut ha assicurato che la Russia reagirà all’attacco non soltanto con l’intercettare e distruggere i missili USA in arrivo sulla Siria ma anche colpendo a sua volta le basi (navali o terrestri) da cui saranno sparati tali missili. Non si può escludere che anche le basi USA attualmente insediate illegalmente in Siria, come quella di AL Tanf, al sud del paese vicino al confine giordano, possano essere oggetto di una rappresaglia russa e iraniana. Tali basi sarebbero vulnerabili nell’ipotesi di una forte reazione militare russo iraniana all’attacco della coalizione diretta da Washington. Alle reazioni russe e iraniane a quel punto si possono prevedere contro reazioni statunitensi e, da quel momento, tutto diventa possibile, anche il coinvolgimento di obiettivi situati in altri paesi e l’allargamento del conflitto .

https://www.controinformazione.info/loperazione-di-washington-in-siria-aprira-un-conflitto-generale-dalle-funeste-conseguenze/

 

Avanti un passo

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se non fossimo, realmente , al bordo dell’Armagheddon , si potrebbe parlare all’italiana di situazione grave ma non seria. La Russia pone il veto all’ONU su una nuova inchiesta sull’uso di armi chimiche in Siria, ma nello stesso chiama l’Organizzazione Internazionale contro l’Uso delle Armi Chimiche ad intervenire e controllare se vi sia stato un uso di armi chimiche a Douma.

Il Consiglio di Sicurezza è allo stallo, che viene preso come pretesto per un intervento spinto, in questo caso, da Macron e da Trump, due leader in profonda crisi interna: il primo è bloccato da una politica assurda che gli ha messo contro mezzo paese, con scioperi e contestazione, tanto dal cercare un tardivo appoggio da parte dei vescovi , mentre il secondo è ricattabile, con la FBI che ha perquisito l’ufficio del suo avvocato, atto normalmente vietato.

I segnali sono di un attacco entro le prossime 72 ore. Queste indicazioni provengono dagli avvertimenti al traffico areo da parte del controllo di volo europeo. 

Pensate stia esagerando ? Vi propongo alcune frasi tratte da warintel.org, che sta seguendo in diretta la crisi in corso.

Russian Defense Ministry public advisory council member Igor Korotchenko: „Trump has to understand that we’re going to be talking about the possibility of nuclear escalation if we have a collision of the U.S. and Russian militaries”

Il consigliere del ministro della difesa russo Igor Korotchenko: “Trump deve capire che discuteremo la possibilità di una escalation nucleare se ci sarà uno scontro fra militari russi e USA”

A U.S. military official indicated that in the event of Iranian missile strikes against Israel, „we will have fighting forces moving within 72 hours”.

Una fonte militare ufficiale USA ha affermato che nel caso di un attacco missilistico iraniana contro Israle “Avremo forze combattenti nell’area in 72 ore”.

Naturalmente igas sono stati utilizzati “A Priori”. Siamo adl un nuovo 2003, o ad un nuovo 2011 in Libia.

Ieri l’inviato speciale in Siria  del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’italiano Staffan de Mistura, ha detto che “Per la prima volta nella mia carriera vedo una seria minaccia alla sicurezza mondiale”, affermando che bisogna trovare una via per la descalation.

Dove stiamo andando, che cosa sta facendo l’occidente ?

Tornando alle nostre piccole cose nazionali, forse la “Commissione speciale” del parlamento dovrebbe occuparsi anche di queste cose, per starne fuori o, al limite, mediare.

https://scenarieconomici.it/il-mondo-sullorlo-del-baratro-e-macron-vuol-fare-un-passo-avanti/

 

 

Serbia

Entro poche ore posso Inviare una  Forza di Intervento rapido  per difendere I Serbi nel Kosovo. MOSCA, Russia – I rapidi sviluppi derivano dalla comunicazione telefonica fra Putin e il premier serbo Aleksandar  Vucic, dopo gli episodi di violenza avvenuti a Nord Mitrovica / Kosovo. “Non dubitate che invierò forze immediate se necessario. Non lascerò senza difesa il mio partner e alleato più importante in Europa “, ha sottolineato il presidente russo nella sua controparte serba e ora stiamo andando verso nuove avventure nella regione. Le notizie fanno il giro della Serbia Non a caso, i combattenti serbi “fischiano” continuamente alle orecchie dei capi albanesi a Presevo per il secondo giorno consecutivo Secondo i media serbi, il presidente russo Vladimir Putin, nella nuova comunicazione telefonica con il presidente serbo, avrebbe detto: “Nell’eventuale tentativo, da parte delle forze speciali albanesi, di occupare la parte settentrionale del Kosovo o di un nuovo pogrom contro i serbi, la Russia invierà immediatamente un significativo contingente militare”. Questo si traduce nell’invio di una brigata aerotrasportata russa con tutti i mezzi, che secondo la risoluzione ONU 1244 è perfettamente fattibile, perché la Russia è semplicemente una parte garante della “sicurezza” dell’ex provincia jugoslava. “La Federazione Russa è pienamente impegnata nei confronti dei serbi del Kosovo con tutti i mezzi per difenderli da un possibile attacco”, ha detto Putin.

Nel caso in cui  dovesse iniziare un nuovo pogrom contro i serbi nella provincia, con operazioni di polizia albanese finalizzate a occupare la parte settentrionale del Kosovo, Mosca invierà immediatamente un’assistenza militare significativa “, ha detto il Cremlino. Questo è stato uno dei messaggi chiave che Vladimir Putin aveva pronunciato ieri in una conversazione telefonica con il suo omologo serbo Aleksandar Vucic. Il presidente Putin ha ufficialmente designato la Serbia come “il partner e alleato più importante in Europa”, secondo fonti del Cremlino, e Belgrado conta sul massimo supporto e protezione da parte della Russia. Recentemente Putin ha dato mandato ai suoi generali e ad altri esperti militari di sviluppare un piano di intervento militare che aiuterebbe la Serbia in un possibile “impegno” contro la NATO e l’Occidente. Questi piani prevedono che i combattenti aereotrasportati e i convogli russi possano volare in territorio serbo entro e non oltre due ore con una missione chiave nel Nord Kosovo per agire in modo da proteggere i serbi ei loro interessi nazionali. C’è anche un piano dettagliato per il trasferimento di alcune forze speciali russe (Spetsnaz) in Serbia. Si stima che entro 24 ore ci saranno centinaia di commando russi in Serbia, cioè in Kosovo. Fonte: Fort RussTraduzione: Luciano Lago