Destra e sinistra sono morte, insieme ai principali mezzi di informazione, i quali oltre a non aver capito il momento storico, sono stati ad inseguire le dirette Facebook dei due leader che dopo gli incontri a porte chiuse non concedevano esclusive se non alle loro pagine personali. E poi c’è un terzo elemento fondamentale che si inserisce: quello metapolitico. E’ la metapolitica ad aver influenzato i due movimenti-partito dominanti accelerando il processo di disgregazione dello status quo, è la metapolitica che oggi detta l’agenda del giornalismo italiano poiché quelle tematiche geopolitiche, economiche e giuridiche definite “fuori dal mondo” diversi anni fa sono diventate oggi mainstream. Ora la pars destruens deve trasformarsi in pars construens affinché il miglior governo possibile per il popolo italiano non diventi il suo carnefice. La coalizione Lega-M5S dovrà inserirsi all’interno di una guerra politico-commerciale tra gli Stati Uniti e la Germania (e l’Unione Europea), i quali hanno giocato un ruolo centrale nella formazione del nuovo governo. In questo braccio di ferro tra Washington, Bruxelles e Berlino ad aver avuto la meglio è stato Donald Trump, favorevole alla disgregazione del continente, attraverso il suo emissario Steve Bannon, il grande teorico del populismo globale, giunto in Italia in modo trionfale. Così mentre tutti i mezzi di informazione hanno posto l’attenzione sul veto del Quirinale a Paolo Savona all’Economia (che poi si è preso gli Affari Ue) si è perso di vista chi doveva essere il ministero degli Esteri, che non a caso è stato l’unico a saltare nelle nuove trattative: Luca Giansanti, ex ambasciatore italiano a Teheran, uomo di grande cultura, e intenzionato a ricostruire il dialogo con Russia e Iran nelle grandi questioni internazionali
estratto da https://www.controinformazione.info/non-deve-essere-una-primavera-europea/
L’ Italia resta infatti il primo partner commerciale di Angela Merkel.
In questo preciso momento geopolitico aiutare il nostro Paese a evitare un tracollo finanziario con acquisti mirati è ancor più con un segnale di fiducia (Se gli Usa credono nel nostro debito perché altre nazioni dovrebbero dubitarne?).
Lungi da noi fare fantafinanza. Al contrario basta unire i puntini per comprendere come l’ aria sia cambiata improvvisamente con una ventata di sostegno che deve essere arrivata sicuramente fin dentro le stanze di Sergio Mattarella. La giornata di ieri è stata, infatti, anche caratterizzata da una guerra aperta tra Washington da una parte e Berlino con Bruxelles dall’ altra.
da Claudio Antonelli su “La verità”:
Guy Verhofstadt, ex premier belga, presidente del gruppo LibDem all’europarlamento:
“Il Sud [della UE] deve ergersi in solidarietà con il Nord, con la Germania, specialmente nella imminente guerra commerciale con Trump”.
Guy Verhofstadt: “The South [of the EU] has to stand in solidarity w/ the North, w/ Germany, especially in the upcoming trade war with Trump”.
Chiedono solidarietà. L’assoluta impoliticità del modo tedesco di esistere nella storia lascia senza parole.
Letteralmente poche ore fa, si sentivano fortissimi,invincibili, convinti di non aver bisogno della solidarietà del Sud straccione. Si sentivano potentissimi, e vedevano l’Italia debolissima, tanto da venir voglia di “invaderla” per prenderne “il Tesoro” (eurodeputato Ferber); vedrete che i mercati vi insegneranno a non votare populista (commissario europeo Oettinger). Il commissario europeo al commercio, il belga DeGutch, all’Expo di Rotterdam si abbandonava a 15 minuti di insulti e derisioni sulla politica italiana, fuori tema fra l’altro, a tal punto che gli italiani presenti, fra cui il presidente di Assoporti, hanno lasciato l’aula.
https://www.maurizioblondet.it/il-delirio-dei-vinti-che-si-accorgono-di-esserlo/
https://lacrunadellago.net/2018/06/02/il-governo-m5s-lega-ha-lappoggio-degli-usa-per-uscire-dalleuro/
Le aziende americane che non avevano voluto abbandonare le loro sedi storiche e le maestranze locali delocalizzando la produzione erano state costrette a farlo dalle minacce delle banche di investimento di New York. Ai produttori locali era stato detto di trasferire le attività produttive in Cina, dove il minor costo del lavoro avrebbe gonfiato i profitti o prepararsi ad essere assorbiti da quelle corporation che avevano già incrementato gli introiti spostando le attività all’estero.
Le ragioni per cui i lavori ad elevata produttività e ad alto valore aggiunto sono usciti dall’America sono Wall Street e l’avidità dei manager e degli azionisti. Come sempre succede, i gruppi di interesse al potere e i loro fantocci di Washington danno la colpa agli stranieri, proteggendo in questo modo se stessi.
In ogni caso, ora hanno dato inizio a quella che è stata erroneamente definita una “guerra commerciale.” In effetti, l’amministrazione Trump non è in guerra con la Cina o con le altre nazioni. E’ in guerra con le multinazionali americane che hanno delocalizzato all’estero la produzione destinata al mercato interno e con le banche di New York che le hanno costrette ad agire così. I dazi non colpiranno le esportazioni cinesi ma la produzione esternalizzata delle corporations statunitensi. I dazi aumenteranno i prezzi che gli Americani dovranno pagare per i prodotti che le società americane fabbricano in Cina.
https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60656