Antonio Boncristiano Allora, a tagliare col machete gli argomenti si fa un giustissimo grido di indignazione ma non si risolve nulla. E nemmeno le separazioni manichee. Facciamo un esempio. Reale. Un piccolo imprenditore da generazioni produttore di strumenti hi tech, una cinquantina di famiglie da mantenere. Il prodotto costa un 10% più della concorrenza di multinazionali francesi e giapponesi, ma tiene botta grazie alla qualità tanto da essere il terzo leader mondiale. Le multinazionali delocalizzano in Cina, ormai 25 anni fa e i loro prezzi diventano 1/20 di quelli dell’azienda. Per non lasciare le famiglie sul lastrico, portano più persone possibili in prepensionamento, portano i macchinari in Cina riuscendo a tenere parte della produzione in Italia e mantenendo ancora una ventina di famiglie. Da allora fanno i pendolari Cina/Italia con sacrifici e iniziative differenziate per sbarcare il lunario. Ma non sanno mai se il giorno dopo ci saranno ancora. Non è la gran parte della nostra imprenditoria il problema ma la globalizzazione selvaggia. Ora, con quali strumenti efficaci si può vincere? Argomento complesso che non ho modo di sceverare ora, ma qualunque possa essere la strada che si percorre o che si pensi sia la migliore da fare la condizione è solo una: che conduca alla vittoria. Perché a questo gioco per la nostra Nazione l’importante non è partecipare, è non essere cancellati dalla faccia della terra.
Anna Rossi Antonio Boncristiano Sappiamo che la composizione dei processi produttivi è stata modificata e che gran parte di essi attraverso l’automazione si sono trasformati da “labour intensive” a “capital intensive”. Di fatto non sono più le qualità e la formazione degli operai delle fabbriche a fare la differenza nelle catene di montaggio ma il livello di automazione del ciclo produttivo. Questo dovrebbe accadere anche nelle realtà più piccole ma sappiamo che gli investimenti in innovazione nelle Micro e Piccole Imprese sono lentissimi e talvolta quasi inesistenti. La resistenza di vecchi modelli o la scarsa formazione delle nuove generazioni che ereditano le aziende sono determinanti per la stagnazione e la liquidazione della produttività. Seppur si continua a riconoscere alla produzione artigianale le caratteristiche di unicità e qualità del prodotto, il quale non si presta a fasi di lavoro standardizzate il deficit da credito e la lentezza dei processi produttivi e la debolezza dell’offerta sul mercato globale spesso di prodotti medio-alti (non altissimi) sono la causa dell’usura imprenditoriale. Questa premessa credo focalizzi il problema di sopravvivenza della piccola imprenditoria relegata spesso al terziario e destinata a scomparire ….MA se è vero che con la digitalizzazione e l’automazione dei processi produttivi ed il networking, l’impresa guadagna competitività, efficienza ed efficacia e i nostri prodotti tirano ancora nonostante standard produttivi ad alto costo e scarsa innovazione occorrerà CONSORZIARSI sotto cartelli dedicati. Le aziende familiari devono consorziarsi in villaggi produttivi di riferimento in grado di ricevere commesse e cooperare nella loro soddisfazione. Non vedo altra via. La robotizzazione è già in grado di produrre simulando il “difetto” ….occorre andare oltre. Questo può essere portato avanti solo con politiche statali mirate e protese a/verso una forte spinta evolutiva. Il lavoro dovrà acquisire nuove specializzazioni a ridosso dell’implementazione e soprattutto a fianco di una nuova forma “comunale” della produzione dovrà esserci una rete di servizi strettamente dipendente dai consorzi tanto da poter controllare il viaggio del prodotto dalla sua creazione alla sua destinazione finale. Dipartimenti di manutenzione “qualità e controllo” non possono rispondere a approssimazioni dettate dalla corsa alla sopravvivenza di profitti stringati. Si può fare meglio ma non da soli. Ci vogliono piani di sviluppo rapidi e lungimiranti. Il miglior investimento è la forza del singolo che opera in sinergia con altri singoli. Insieme si può. Il mercato del futuro non aspetta altro. E’ innegabile che l’Italia ha un’importante deficit di istruzione e conoscenza rispetto ai concorrenti internazionali che, sicuramente, ha avuto degli effetti negativi determinanti anche sulla performance delle imprese, in particolare delle PMI. Ecco di nuovo il problema della formazione….e la riconversione delle PMI passa anche da questo ultimo punto da me espresso. Chi spedisce all’estero i nostri migliori giovani formati è un criminale a l’ennesima potenza…oggi più che mai!
Ho visto una fabbrica di chitarre italiana scegliere i materiali in Italia, mandarli per l’assemblaggio in Cina e quindi fare in Italia il controllo/qualità. C’è qualcosa che non quadra.