Dopo la TAV, la TAP

La guerra del gas vede al centro l’Italia, a sua volta nel mezzo della disputa fra Russia e Stati Uniti. Perché se l’Europa è il grande mercato conteso tra blocco russo e quello che capo a Washington, la nostra penisola è il simbolo di questa spaccatura. Così, se il gasdotto North Stream 2 rappresenta l’asse fra Germania e Russia per il Nord Europa, la risposta occidentale riguarda l’Italia, e, in particolare, il Trans Adriatic Pipeline (Tap).

Da sempre al centro di dibattiti politici interni, legati soprattutto all’inquinamento, fattibilità del progetto e accuse sul fatto di incidere sull’ecosistema pugliese, dove giungeranno i terminali, il Tap è anche un esempio della guerra dell’energia fra i due poli del mondo. Ed è talmente importante, che gli Stati Uniti sostengono con tutti i mezzi necessari la realizzazione del gasdotto. Lo ha ricordato a La Stampa una fonte interna al Dipartimento di Stato americano: “Sollecitiamo gli italiani a continuare la realizzazione del gasdotto Tap, in quanto rappresenta un passaggio chiave per portare il gas del Mar Caspio in Europa”.

L’obiettivo degli Stati Uniti

L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di giungere alla piena realizzazione del Corridoio meridionale del gas, il progetto di pipeline che porterà il gas dell’Azerbaijan direttamente in Europa. Il Corridoio passerebbe attraverso la Georgia, la Turchia, la Grecia, l’Albania e l’Italia. Per arrivare a destinazione, l’oro blu si servirebbe di tre gasdotti principali. Il primo è l’estensione del gasdotto del Caucaso meridionale (Scpx) , il secondo è il gasdotto Trans-anatolico (Tanap e il terzo è appunto il Tap.

Tutto con lo scopo di togliere alla Russia potenziale quote di mercato europeo, ma soprattutto per costituire quella diversificazione energetica voluta sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea. Da anni, l’Ue sta investendo in progetti di costruzione di gasdotti che contribuiscano ad aumentare le fonti energetiche del continente per non dipendere da una sola o poche fonti.

Obiettivi strategici che gli Stati Uniti condividono per ragioni economiche ma anche politiche. Da un punto di vista economico, l’America vuole entrare nel mercato europeo dell’energia. Un processo difficile e anche costoso, ma che Donald Trump sembra intenzionato a perseguire. L’aumento dell’export di gas naturale liquefatto in Europa orientale è una realtà. E la costruzione del rigassificatore di Veglia, in Croazia, ha come obiettivo quello di rendere più facile l’arrivo del Gnl americano sul continente europeo.

Le ragioni politiche sono altrettanto evidenti. Il gas, come il petrolio, è una fonte energetica vitale. E avere il controllo dell’approvvigionamento energetico di un Paese o di un continente, come nel nostro caso, significa avere lo strumento migliore per fare leva sulle politiche di quello Stato. Le fonti energetiche alternative alla Russia fanno parte del blocco di Paesi che rientrano nell’orbita di Washington. Quindi non significa soltanto diversificare le fonti ma fare in modo che gli alleati degli Stati Uniti non siano dipendenti da un Paese rivale.

Il ruolo dell’Italia

Mentre gli Stati Uniti continuano a sostenere il progetto Tap, la scorsa settimana il presidente Sergio Mattarella è andato in visita a Baku, la capitale azera. Ed è scontato che la realizzazione del gasdotto Trans-adriatico abbia rappresentato il punto centrale del faccia a faccia con l’omologo Ilhan Aliyev. Interessante anche la scelta di questo viaggio a Baku a pochi giorni di distanza dal tour nei Paesi Baltici, altra regione fortemente contraria alla Russia e terrorizzata dalla possibilità di dipendere dall’energia di Mosca.

L’Italia si trova dunque al centro di due poli opposti. Roma ha la volontà e le possibilità di raggiungere un perfetto equilibrio, anche se difficilissimo da realizzare. Ma se riesce, il governo di Giuseppe Conte potrebbe ritagliarsi uno spazio importante come ponte politico fra Casa Bianca e Cremlino ma anche fra gli interessi economici delle grandi potenze (con un occhio all’Unione europea).

In questo grande gioco del gas, la penisola italiana è al centro del Mediterraneo e degli interessi del mondo verso questo mare. Una centralità che, se sfruttata, può essere un volano molto prezioso per la nostra economia ma anche per il ruolo del nostro Paese nel mondo. Ma il rischio, non troppo lontano dalla realtà, è che, se sfruttato male il ruolo, potremmo essere costretti a fare delle scelte. E quindi obbligati non solo a scegliere gli alleati, ma anche a farci dei potenti nemici.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60794

3 thoughts on “Dopo la TAV, la TAP

  1. Come se la storia si ripetesse, il nuovo governo italiano, sfumatura di quello di Berlusconi, sembra più amichevole nei confronti della Russia. Berlusconi fu determinante negli anni 2000 ad accettare il gasdotto South Stream e fu probabilmente espulso perciò, avendo affrontato scandali non dissimili da quelli ripetutamente affrontati dal governo Karamanlis. Petrolio e gas sembrano essere l’arma d’elezione degli USA nel tentativo di mantenersi il ruolo globale e il dollaro come valuta di riserva mondiale, quando in realtà gli osservatori sanno che sono in piena ritirata. Resta comunque il problema: gli USA non sembra poter rifornire di energia l’Europa meridionale, e da due decenni, da quando è sorto il problema, non hanno mai saputo risolvere l’attuale situazione geopolitica dell’energia per i Balcani.
    http://aurorasito.altervista.org/?p=1663

  2. Oggi il problema maggiore per chi vuole costruire il TAV Torino – Lione non sembra più essere costituito dalla contestazione popolare, ma dal fatto che l’inutilità dell’opera è ormai palesemente sotto agli occhi di tutti ed il traffico merci fra l’Italia e la Francia non potrebbe più giustificare investimenti di questa portata neppure con l’ausilio della più fervida fantasia.
    Così il progetto sembra essere mutato radicalmente una terza volta, anche alla luce del fatto che in Francia il governo Macron sta riflettendo profondamente sull’opportunità di costruire una nuova linea in territorio francese ed in Italia oggi governa il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario all’opera.

    Il progetto TAV in realtà non esiste più, o meglio si è ridotto ad un buco di 57 km deputato ad ospitare binari e treni non necessariamente ad alta velocità. La tratta fra Torino e Susa per il momento è stata abortita. Il tunnel di base non verrà scavato a Susa ma a Chiomonte, dove già esiste un cantiere fortino ed è possibile evitare ogni conflittualità con i valligiani. I treni che un giorno usciranno dal megatunnel transiteranno nella nuova stazione internazionale di Susa e poi si immetteranno sulla linea già esistente per giungere a Torino esattamente come fanno oggi.

    Il TAV Torino – Lione si è insomma trasformato in un buco a bassa velocità del costo previsto di 8,3 miliardi di euro (il 35% dei quali a carico dell’Italia) totalmente disancorato ed alieno al sistema TAV italiano, ma comunque in grado di generare impatti ambientali rilevanti nel territorio alpino interessato (amianto, uranio, radon, falde acquifere prosciugate) e soprattutto cospicui profitti miliardari per la mafia del tondino e del cemento e per i propri camerieri politici, l’unica vera ragione per cui oltre 20 anni fa è stato intrapreso un progetto oggettivamente privo di senso come quello che da decenni turba il sonno dei residenti in Valle di Susa.

    https://ilcorrosivo.blogspot.com/2018/07/toninelli-non-fermera-il-tav-ma-un-buco.html

  3. Si sono lette cose dell’altro mondo sulla stampa italiana: se l’Italia ferma il progetto del gasdotto Tap dell’Azerbaijan, sponsorizzato dagli Usa, ci sarebbero danni per 70 miliardi di dollari, il doppio o il triplo del valore della pipeline. Ma il Tap – osteggiato in Puglia come la Tav in Piemonte – non arriverebbe solo in Italia perché le sue diramazioni attraversano pure i Balcani. Oltretutto la sua portata iniziale è assai bassa, 10 miliardi di metri cubi l’anno, tra l’altro da dividere con la Turchia che non ha per nulla rinunciato al Turkish Stream con Mosca, anzi. I lavori di posa dei tubi si concluderanno nel 2019 con un portata di 32 miliardi di metri cubi, il triplo del decantato Tap (Trans Adriatic Pipeline).

    Non è affatto vero come sostengono gli Usa che il Tap è «una struttura fondamentale per garantire energia all’Occidente». Almeno non lo è ancora. Il suo valore strategico non è tanto per l’Italia quanto per i Paesi produttori dell’Asia Centrale (adesso l’Azerbaijan e in prospettiva anche Turkmenstan e Kazakhstan) che hanno interesse a evitare la tagliola del transito sui tubi russi della Gazprom per arrivare in Europa.

    Ma per il momento è soltanto una delle diverse alternative aggiuntive: non rappresenta neppure un ventesimo dei consumi europei annuali.
    Il Tap, di cui Snam ha una quota del 20%, è un’opera che era stata definita «inutile» dal nuovo ministro dell’Ambiente Sergio Costa in una dichiarazione alla Reuters del 6 giugno scorso. La verità è che, al di là delle polemiche locali, il Tap è invece utilissimo all’America di Trump che ha due obiettivi: contenere l’influenza russa nei rifornimenti energetici europei e bloccare il progetto della pipeline tedesca Nord Stream 2 con Mosca.
    Alberto Negri

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