Ricominciamo da noi

“La Francia  negli ultimi due decenni ha comprato talmente tante società da diventare il Paese europeo che avrebbe più da perdere in caso di crollo economico-finanziario italiano. La dimensione delle acquisizioni e dell’intervento francese in Italia è stato così grande in termini dimensionali e così sbilanciato da determinare una situazione che avrebbe eguali sono nei casi di ex-colonie. L’Italia ha scelto di farsi comprare convinta che legandosi alla Francia avrebbe maggiore riparo in sede europea; oggi la Francia non può augurarsi un fallimento dell’Italia: telecomunicazioni, media, banche, assicurazioni, energia, industria, lusso, alimentare… non c’è un settore in cui non faccia capolino una società francese con ruoli di rilievo. Comprare o fondersi con la principale banca italiana non può essere un caso, soprattutto in una fase così delicata per l’economia italiana. Bisogna quindi chiedersi perché incrementare l’esposizione in Italia e perché oggi”.

Ora si capiscono meglio tutte quelle Legion d’Onore sparse a piene mani sui petti dei nostri piddini e  governanti  ed esponenti del nostro Deep State, ovviamente “democratico”. Qui sotto per l’elenco:

QUINTE COLONNE?

https://www.maurizioblondet.it/quinte-colonne/embed/#?secret=TrL1CBiQ9F

Ora, il nuovo governo può e deve proibire questa fusione sulla base dell’interesse strategico nazionale.
Per giunta, Macron è politicamente alle corde.  Un suo ministro,  Nicolas Hulot dell’ecologia, s’è dimesso sbattendo la porta ha annunciato la sua dimissione in tv, senza consultare l’Eliseo);
i risultati economici del “macronismo” sono disastrosi.
“La Francia registra il calo della disoccupazione più basso d’Europa.  Il miracolo produttivo non s’è verificato.
La produzione industriale del paese è aumentata dello 0%  da settembre 2017, in confronto all’1,7 della Germania e al 5% della Svezia. La perdita di competitività continua, il debito è ormai il 100 % in rapporto al Pil,  quest’anno il paese sforerà  il limite di deficit del 3% (inutile ma necessario per farsi stimare da Berlino), la Francia è deficitaria per 50 miliardi delle partite correnti verso gli altri paesi dell’UE, anche verso l’Italia. Fra aumenti delle imposte e rincari (2,6 di aumento  dle costo della vita, solo Romania e Bulgaria fano peggio) Macron è riuscito a ridrre il potere d’acquisto dei lavoratori in pensione del 10% in due anni, un record”.
Inoltre, “le riforme di Macron non sono strutturali, non modernizzano il paese”.
Un po’ di titoli a caso, di media economici o di blogger:

Budget 2019: pitoyable défaite

(Budget 2019, pietosa disfatta, BFM)

“Improvvisazione politicante che mira a inventare una ppolitica del potere d’acquisto e  mancano di rigore intellettuale  (Le Journal du Dimanche)

Crise de l’immobilier, crise de sens, crise de la raison et de l’intelligence

(crisi dell’immobiliare, crisi di senso,  crisi della ragione e dell’intelligenza)

“La classe politique n’a pas conscience du désastre dans lequel notre patrimoine est plongé»

“La classe politica non ha coscienza del disastro in cui il nostro patrimonio è affondato”  (Figaro)

Secondo Michel Geoffroy, autore di La Super-classe mondiale contre les peuples ♦ (quindi sovranista),  il clima prevalente oggi è una sorta di rassegnazione tragica . “La Destra è in coma profondo.  A sinistra, i sindacati non riescono a mobilitare: gli si risponde, “a che serve?”. A che serve, perché Macron dispone di tutti i poteri. Gode del sostegno dei media, delle lobbies,  della Davos-crazia. I suoi deputati senza esperienza votano a catena tutti i progetti di legge che presenta il governo, stakanovisti del voto.  Persino gli alti funzionari [una istituzione-pilastro  de la République] assistono senza reagire alla decostruzione sistematica dello Stato repubblicano e presto alla loro propra scomparsa, perché il governo promette di sostituirli  con precari a contratto reclutati sul  mercato”.

Ma allora tutto è passività e rassegnazione? No. “Questo silenzio apparente della Francia nasconde una collera fredda e  una rottura abissale  tra il paese reale e il paese legale, come fra occupanti ed occupati“.  Geoffroy compara l’ggi al  “1940, dopo il collasso di giugno dell’armata,  quando la Francia sbalordita dalla  vergogna e dalla disfatta, non sapeva più che fare, dava fiducia al mareciallo Pétain”….Come allora, però, Macron opera come un agente della Germania.  “il suo Potere dà la caccia alla dissidenza, i suoi sbirri associativi la denunciano alla polizia, la trascinano nei tribunali, la censurano sui social – secondo le procedure repressive usate al di là del Reno, perché ancora come allora, Macron è a rimorchio della Germania”.

A questo punto?

“Come nel 1940,  il Potere non si rende conto che la dissidenza progredisce nei cuori.  Il caos migratorio sta risvegliando a poco a poco l’Europa. un grande  movimento storico prende forma. Come nel ’40, il Potere  si illude di mantenerne estranea la Francia”.   Questa rassegnazione sembra a Geoffory un annuncio della rivolta.

Esagera? Ma   lo stesso Macron sembra aver avvertito   qualcosa, se   ha diffuso questo stupefacente messaggino:

“coloro che credevano all’avvento di un popolo mondializzato si sono profondamente ingannati.  Dovunque nel mondo l’identità dei popoli è tornata.  Ed è in fondo una buona cosa”.

https://www.maurizioblondet.it/non-regalate-unicredit-a-macron-proprio-ora-e-alle-corde/

Una carta da giocare

L’Italia, terzo contributore   netto  con  quei miliardi si paga il biglietto per sedere al tavolo dove si approva il bilancio  preventivo della (dis)Unione.  E’ imminente la discussione del bilancio preventivo per  il quadriennio 2021-2027:  l’approvazione “spetta  al Consiglio, con delibera  all’unanimità, previa approvazione del Parlamento”.

All’unanimità. Dunque l’Italia ha un potere di veto. Con  i governi precedenti non l’ha mai usato, ovviamente. Adesso il nuovo governo, che gli euro-oligarchi odiano e che vogliono schiacciare, ha in mano l’arma per esigere molto in cambio, far pagare carissima l’approvazione. O ancor meglio, bloccare tutto fino alle elezioni europee del maggio 2019, quando il nuovo Parlamento UE vedrà  il crollo degli europeisti e l’affermazione dei “sovranisti e populisti”:  Perché dar la soddisfazione   di “far votare il budget a  questo Parlamento UE, quando  il prossimo sarà molto diverso?” (Musso).

Le euro-oligarchie sono ben consapevoli del pericolo. Tanto è  vero che nei documenti emananti da loro, si legge: “I   deputati chiedono  che i colloqui tra Parlamento, Commissione e Consiglio inizino subito, per cercare di raggiungere un accordo prima delle elezioni europee del 2019”.

No,  a noi conviene esercitare il veto, far passare le elezioni,  negare il sì al bilancio 2021-27 a  questo  parlamento collaborazionisti, negargli i soldi – e riparlarne  col Parlamento rinnovato  in cui, se non sarà maggioranza, lo schieramento sovranista sarà  una forte  minoranza, decisiva per rendere impossibile la solita  alleanza, centro  e socialisti. Abbiamo un grosso bastone in mano se vogliamo usarlo, perché l’Italia – oltre ad essere in avanzo primario e in attivo nella bilancia  commerciale –  è un contributore netto: ossia dà   alla UE  molti più soldi di quanti ne riceve:

Nel decennio 2007-2016 abbiamo versato all’Ue quasi 34 miliardi di euro in più di quanti ne abbiamo ricevuto.

Molti italiani non lo sanno, perché le opposizioni onnipresenti sui media gli fanno credere che noi “dipendiamo” dall’Europa.

Si veda la replica del povero  Maurizio  Martina  pd  alla minaccia di Di Maio:

Bloccare i fondi all’UE significa bloccare risorse per imprese e cittadini italiani (vedi agricoltura). Queste minacce sono solo un autogol per il nostro paese, giocato sulla pelle di esseri umani

O di Tajani, lo sciagurato berlusconiano:

Tagliare i fondi UE sarebbe un autogol, da essi vengono i fondi UE”.

E’ esattamente il contrario della verità, menzogne pronunciate per far credere all’opinione pubblica italiana che, se irritiamo l’oligarchia, se “ci isoliamo”,  restiamo senza i fondi UE. Invece  i fondi Ue, siamo noi che li diamo.

Per questo nei prossimi mesi, che  saranno tempestosi  (da  metà dicembre ci assoggetteranno alla “procedura per deficit eccessivo”;dandoci un ultimatum di sei mesi per   tagliare;  a giugno 2019, decideranno se applicarci le sanzioni,   ci faranno salire lo spread, i magistrati cercano di intimidire,  il Quirinale trama, i media urlano al “razzismo”) sarebbe essenziale di disporre almeno di un mezzo televisivo di massa:  per far capire all’opinione pubblica quello che sta avvenendo, cosa sta facendo il governo, e le corde che l’Italia ha al suo arco.

estratto da https://www.maurizioblondet.it/litalia-ha-unarma-porre-il-veto-sul-bilancio-ue/

La petrolizzazione del salario

Questo lunedì 20 agosto è entrata in vigore la riconversione monetaria, il primo passo di un piano globale che attua il Governo venezuelano per recuperare il valore del salario, attraverso l’ancoraggio del bolivar sovrano al Petro, e per stabilizzare l’economia nazionale in generale, puntando verso lo smantellamento degli indicatori illegali del dollaro parallelo.

La riconversione è iniziata con il piede giusto
Dalla prime ore della mattina il Paese era calmo, la maggior parte delle grandi catene commerciali ha aperto le porte, gli sportelli hanno cominciato ad emettere le banconote di nuovo conio ed il sistema di pagamento elettronico della banca nazionale ha assimilato, rapidamente, i cambi della riconversione.
Contro chi scommetteva sul fallimento della riconversione, nel suo primo giorno, la corrispondente della CNN in Venezuela, Osmary Hernandez, che in alcun momento può qualificarsi come chavista, ha scritto su Twitter nelle prime ore del mattino che già le nuove banconote erano disponibili alla popolazione. Rapporti raccolti a caldo dall’Agenzia Venezuelana di Notizie, mostravano il primo contatto della popolazione con l’emissione dei nuovi biglietti. (…) In parallelo a ciò che accadeva per strada, i reduci dell’opposizione venezuelana, enucleata nel Fronte Ampio Venezuela Libero, cercavano approfittare della riduzione delle attività commerciali, naturale nei giorni non lavorativi decretati dal Governo venezuelano, per convincere la popolazione, attraverso le reti sociali, che il loro appello allo “sciopero nazionale” faceva parte dello “scalpore nazionale”. Tali settori invocavano a protestare con l’esca pubblicitaria “lottare contro il pacchetto Maduro”, nel tentativo di attirare la popolazione lavoratrice che, paradossalmente, ha appena ottenuto un miglioramento del depresso potere d’acquisto con l’aumento dello stipendio a 1800 Bs, o metà Petro. Alla fine della giornata, la Vicepresidentessa Delcy Rodríguez indicava che “il 92% della piattaforma elettronica della banca tanto pubblica che privata è attiva, persino con cifre inusuali per un giorno non lavorativo”, confermando che la Banca Nazionale può metabolizzare efficacemente le transazioni elettroniche espresse nel nuovo conio monetario. Secondo Ultime Notizie, citando una nota stampa della Soprintendenza delle Banche (Sudeban), “è stata adempiuta con successo la prima fase del cronogramma delle attività della riconversione monetaria nelle istituzioni bancarie, iniziata questa domenica 19 e che si concluderà lunedì 20 agosto alle sei del pomeriggio”. Col fallito assassinio, dello scorso 4 agosto, settori dell’opposizione legati ad agenti terroristi a Bogotà e Miami hanno voluito che il 20 agosto giungesse con uno scenario di caos e ampie violenze impedendo l’attuazione della riconversione economica. Fare appello alla carta estrema dell’assassinio serve misura al meglio la portata del piano elaborato da Maduro. L’urgenza degli operatori della guerra contro il Venezuela di eluderne l’esecuzione e mantenere la popolazione sottomessa all’inflazione indotta dal dollaro parallelo, si sono anche resi visibili nella permanente apologia al fallimento della riconversione, al primo giorno.

In primo luogo, la rivalutazione nominale o “petrolizzazione” del salario, in 1800 Bolivare o 1/2 Petro, costituisce un primo anticipo sul recupero del potere d’acquisto dei venezuelani. Innanzitutto, questo aggiustamento aumenta il salario di 35 volte, garantisce un potere d’acquisto automatico a un enorme gruppo di beneficiari diretti degli strati popolari del Paese. Secondo il Presidente Maduro, da due trasmissioni sul suo account Facebook Live, le notti del 19 e 20 agosto, il regime dei prezzi “ideali” derivanti dalla politica di ancoraggio suppone la copertura del paniere base alimentare per famigliare a un costo inferiore a 1800 BsS. Questo martedì 21 agosto, aveva detto, 25 prodotti del paniere di base avranno prezzi concordati coi settori industriali del Paese, prodotti che saranno ancorati al Petro. Politiche di ancoraggio, di successo nella maggior parte dei casi noti al mondo nel fermare l’iperinflazione, suppongono la possibilità che l’emissione discrezionale di Petro ed il posizionamento come moneta o fattore convertibile, supponga dreni le asimmetrie create dal dollaro parallelo, aumenti il flusso delle importazioni ed espanda la base delle risorse finanziarie del Paese. Un nuovo riferimento che potrebbe andare sostituendo il dollaro come riferimento centrale del mercato dei cambi venezuelano. Questa possibilità è nella concessione alla Banca Centrale Venezuelana di oltre 28 miliardi di barili di petrolio greggio delle riserve. Questione annunciata giorni fa, ma che sembra una decisione che entrerà in vigore col prodursi, presto, di nuovi annunci. Ciò significa che la base di supporto prevede l’emissione di certificati petroliferi, strumenti emessi dal Venezuela per espandere le riserve internazionali ed eventualmente sostenere la circolazione del Petro come criptovaluta internazionale. E’ importante sottolineare quanto annunciato da Maduro nel creare l’habitat commerciale del Petro mediante le operazioni della PDVSA che migreranno verso l’uso della criptovaluta a scapito del dollaro USA. È importante sottolineare l’apertura di più di 300 franchigie di cambio in Venezuela, attraverso l’abrogazione della Legge sugli Illeciti Cambiari dell’Assemblea Nazionale Costituente nei giorni scorsi.

estratto da http://aurorasito.altervista.org/?p=2137

Il genocidio della nazione Greca

di  Paul Craig Roberts La copertura politica e mediatica del genocidio della Nazione greca è iniziata ieri (20 agosto) con l’Unione Europea e altre dichiarazioni politiche che annunciano che la crisi greca è finita. Ciò che intendono è che la Grecia è finita, morta e sepolta. È stata sfruttata fino al limite e la carcassa è state gettata ai cani. 350.000 greci, principalmente giovani e professionisti, sono fuggiti dalla Grecia morta. Il tasso di natalità è molto inferiore al tasso necessario per sostenere la popolazione rimanente. L’austerità imposta al popolo greco dall’UE, dall’FMI e dal governo greco ha comportato una contrazione dell’economia greca del 25%. Il declino è l’equivalente della Grande Depressione americana, ma in Grecia gli effetti sono stati peggiori. Il presidente Franklin D. Roosevelt ha attenuato l’impatto della massiccia disoccupazione con la legge sulla sicurezza sociale ed altri elementi di una rete di sicurezza sociale come l’assicurazione sui depositi ed i programmi di lavori pubblici, mentre il governo greco, seguendo gli ordini del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea, ha peggiorato l’impatto della disoccupazione spogliando la rete di sicurezza sociale. Tradizionalmente, quando un Paese sovrano, sia per corruzione, cattiva gestione, sfortuna, o eventi imprevisti, si trovava nell’incapacità di ripagare i suoi debiti, i creditori del Paese annotavano i debiti al livello che il Paese indebitabile poteva pagare. Con la Grecia c’è stato un cambio di rotta. La Banca Centrale Europea, guidata da Jean-Claude Trichet ed il Fondo monetario internazionale hanno stabilito che la Grecia doveva pagare l’intero ammontare di interessi e capitale sui suoi titoli di stato detenuti da banche tedesche, olandesi, francesi e italiane. Come è stato realizzato? In due modi che hanno entrambi gravemente aggravato la crisi, lasciando la Grecia oggi in una posizione molto peggiore di quanto lo fosse all’inizio della crisi quasi un decennio fa. All’inizio della “crisi”, che sarebbe stata facilmente risolta abbattendo parte del debito, il debito greco era il 129% del prodotto interno lordo. Oggi il debito greco è pari al 180% del PIL. Perché? Alla Grecia è stato prestato più denaro per pagare gli interessi ai suoi creditori, in modo che non avrebbero dovuto perdere un centesimo. Il prestito addizionale, chiamato “salvataggio” dai media finanziari di stampa, non fu un salvataggio della Grecia. Fu un salvataggio dei creditori della Grecia. Il regime di Obama ha incoraggiato questo piano di salvataggio, perché le banche americane, in attesa di un salvataggio, avevano venduto credit default swap sul debito greco. Senza un piano di salvataggio, le banche americane avrebbero perso la loro scommessa e pagato l’assicurazione di default sui titoli greci. Inoltre, alla Grecia è stato richiesto di vendere i suoi beni pubblici agli stranieri e di decimare la rete di sicurezza sociale greca, riducendo le pensioni ad esempio, al di sotto del reddito di sussistenza e tagliando così radicalmente le cure mediche che le persone muoiono prima di poter ricevere un trattamento. Se la memoria serve, la Cina ha acquistato i porti marittimi greci. La Germania ha comprato l’aeroporto. Varie entità tedesche ed europee hanno acquistato le compagnie idriche municipali greche. Gli speculatori immobiliari hanno acquistato isole greche protette per lo sviluppo immobiliare. Questo saccheggio della proprietà pubblica greca non andò a ridurre il debito che era dovuto dai greci. Andò, insieme ai nuovi prestiti, a pagare gli interessi. Il debito, più grande che mai, rimane valido. L’economia è più piccola che mai come lo è la popolazione greca che sostiene il debito. La dichiarazione che la crisi greca è finita è solo la dichiarazione che non è rimasto nulla da cavare dal popolo greco per l’interesse delle banche straniere. La Grecia sta affondando velocemente. Tutte le entrate associate ai porti marittimi, agli aeroporti, ai servizi municipali e al resto della proprietà pubblica che è stata privatizzata con la forza ora appartengono agli stranieri che ritirano il denaro dal Paese, spingendo così ulteriormente giù l’economia greca.

Grecia, distribuzione di viveri…

I greci non solo hanno avuto il loro futuro economico rubato. Hanno anche perso la loro sovranità. La Grecia non è una Nazione sovrana. È governato dalla UE e dall’FMI. Nel mio libro del 2013, The Failure of Laissez Faire Capitalism, nella Parte III, “The End of Sovereignty”, ho descritto chiaramente come è stato fatto. Il popolo greco è stato tradito dal governo di Tsipras. I greci avevano la possibilità di ribellarsi ed usare la violenza per rovesciare il governo che li vendeva ai banchieri internazionali. Invece, i greci hanno accettato la propria distruzione e non hanno fatto nulla. In sostanza, la popolazione greca ha commesso un suicidio di massa. La crisi finanziaria mondiale del 2008 non è finita. È stata spazzata sotto il tappeto della massiccia creazione di denaro da parte delle banche centrali statunitensi, europee, britanniche e giapponesi. La creazione di moneta ha superato di gran lunga la crescita della produzione reale e ha spinto i valori delle attività finanziarie al di là di ciò che può essere sostenuto dalle “condizioni sul terreno”. Come vada a finire questa crisi resta da vedere. Potrebbe portare alla distruzione della civiltà occidentale. Cane mangia cane? Dopo la Grecia, saranno l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia, il Belgio, l’Australia, il Canada, fino a quando non ne rimarrà nessuno? La totalità del mondo occidentale vive di bugie fomentate da potenti gruppi di interesse economico che servono i propri interessi. Non ci sono media indipendenti tranne online, e questi elementi vengono demonizzati e gli viene negato l’accesso. I popoli che vivono in un mondo di informazioni controllate non hanno idea di ciò che sta accadendo a loro. Pertanto, non possono agire nel loro interesse. **************** Articolo originale di Paul Craig Roberts: Traduzione di Costantino Ceoldo – Pravda freelance

https://www.controinformazione.info/il-genocidio-della-nazione-greca/

L’Europa contesa

L’Europa fra Soros e Bannon

di Rosanna Spadini – 19/08/2018

L'Europa fra Soros e Bannon

Fonte: Comedonchisciotte

 

 

Scrive Eric Zuesse, su strategic-culture.org, che due schieramenti politici, uno guidato da George Soros, e l’altro creato dal nuovo arrivato Steve Bannon, sono entrati in competizione per il controllo politico dell’Europa. Soros ha guidato a lungo i grandi capitalisti liberalsamericani per il controllo dell’Europa, e Bannon sta ora organizzando una squadra di miliardari conservatori per strappare la vittoria ai liberals. Quindi le due fazioni di ‘filantropi’ ora combatteranno per il controllo del consenso politico e delle istituzioni europee. Faranno però fatica a mantenere l’Europa come alleata nella guerra contro la Russia, ma ogni squadra lo farà da prospettive ideologiche diverse. Proprio come esiste una polarizzazione politica liberal-conservatrice tra capitalisti all’interno di una nazione, c’è anche un’altra polarizzazione tra capitalisti riguardo alle politiche estere della loro nazione. Nessuno di loro è progressista o populista di sinistra. L’unico ‘populismo’ che attualmente ogni capitalista promuove è quello della squadra di Bannon. Comunque entrambe le squadre si demonizzano a vicenda per il controllo del Governo degli Stati Uniti, e a livello internazionale per il controllo del mondo intero, opponendo due diverse visioni del mondo: liberale e conservatrice, o meglio globalista e nazionalista. Entrambi poi dicono di sostenere la ‘democrazia, ma invece promuovono la diffusione della “democrazia” attraverso l’invasione e l’occupazione di Paesi “nemici”. […]

 

La sovranità di una nazione appartiene al popolo che la abita, secondo “il diritto all’autodeterminazione dei popoli” enunciato dal presidente Woodrow Wilson in occasione del Trattato di Versailles (1919). Di conseguenza, mentre un’autentica rivoluzione dei residenti all’interno di un paese, per rovesciare e sostituire il loro governo, o un voto per la secessione, possono essere legittimati e riconosciuti dal principio di sovranità nazionale, nessuna invasione straniera lo è (e questo include anche qualsiasi ‘rivoluzione colorata’). Ciò significa che il concetto di sovranità nazionale è fondamentalmente estraneo alla cultura liberal. […] Gli Stati Uniti sono ora un impero a tutto campo, controllano non solo le aristocrazie capitalistico finanziarie in alcune repubbliche delle banane come il Guatemala e l’Honduras, ma anche quelle dei Paesi più ricchi come la Francia, la Germania e il Regno Unito.

 

Questa visione fu ampiamente promossa tra il 1877-1902 dal fondatore del Rhodes Trust, Cecil Rhodes, un razzista autodichiarato che sosteneva appassionatamente quanto tutte le “razze” fossero subordinate alla “prima razza”: gli inglesi. In tempi più recenti, George Soros ha condiviso questa visione, giustificando l’aggressione straniera in un Paese dalla “comunità internazionale” per proteggere “la sovranità popolare” di quel Paese. Il che è da manuale di logica democratica. Al contrario Vladimir Putin afferma che nessuno straniero ha il diritto di invadere un altro Paese, contro Soros, che afferma che “la comunità internazionale” ha invece l’”obbligo di invadere”, ogni volta e ovunque decida di farlo. In pratica la proposta di Soros si riduce a polarizzare e rendere irrilevante l’ONU, per rafforzare l’imperialismo internazionale. Due visioni del mondo totalmente diverse, perché l’Occidente chiama “sequestro” e “invasione” della Crimea da parte della Russia nel 2014, negando il fatto che gli abitanti della Crimea possano avere il diritto di decidere. Il punto di vista di Vladimir Putin è stato espresso tante volte, in così tanti contesti diversi, e sembra essere sempre lo stesso, cioè che le uniche persone che hanno un diritto sovrano in qualsiasi luogo della terra, sono le persone che vivono su quella terra. In altre parole, la sua visione di base sembra un rifiuto del concetto stesso di impero.

Rosanna Spadini

estratto da https://comedonchisciotte.org/leuropa-tra-populisti-e-globalisti-lo-stratega-si-chiama-bannon/

Controcorrente

La differenza è che a Lisbona c’è un governo di sinistra di cui fa parte per l’orrore dei nostri pennivendoli o disintellettuali patinati, anche il partito comunista e che sta facendo senza clamori l’esatto contrario di quanto Bruxelles comanda riuscendo a far crescere oltre ogni previsione un Paese che nel  2015 era praticamente in default: infatti in due anni è stato istituito il salario minimo, peraltro aumentato ogni anno, ma questo non ha portato alla disoccupazione di massa di cui parlano gli asini e i servi italioti riguardo al decreto dignità, bensì alla massima occupazione conosciuta dal tempo della rivoluzione dei garofani. Inoltre sono state aumentate le pensioni, è stato varato un vasto programma di adeguamento dei servizi pubblici, sono state diminuite le tassazioni sui redditi bassi e medi, mentre è stata istituita una tassa per tutte le imprese con un fatturato di oltre 35 milioni di euro cosa che peraltro non ha impedito una forte crescita  in diversi settori tecnologici. Paradossalmente e contro ogni falsa logica le grandi aziende straniere hanno cominciato ad investire nel Paese proprio da quando al potere ci sono le sinistre. Inoltre c’è una folla di pensionati che dall’Europa dell’austerità si trasferiscono in Portogallo grazie a una legge che abolisce le imposte sui trattamenti di anzianità. Insomma si sta facendo l’esatto contrario di quanto vorrebbe Bruxelles con ottimi risultati, nonostante il freno dell’euro e gli altri vincoli comunitari: per questo il Paese è uscito dai radar della grande informazione, che, per carità, che non si sappia in giro, non si diffondano esempi così negativi.

A Genova passando per Lisbona

Convenzione sul Mar Caspio

Un’altra vittoria di Putin: Russia, Iran, Kazajistán, Turkmenistán, Azerbaijan hanno firmato la Convenzione sul Mar Caspio. AKTAU, KAZAJISTÁN (Sputnik) I leaders dei paesi rivieraschi del mar Caspio, inclusa la Russia, l’Iran, hanno sottoscritto ad Aktau il Trattato di Convenzione sullo status del Mar Caspio, dopo molti anni di negoziati. Come ha informato il corrispondente di Sputnik, i presidenti delle cinque nazioni hanno apposto le loro firme durante una solenne cerimonia che ha segnato la chiusura del vertice sul Caspio. Il trattato stabilisce anche le regole per la navigazione, la pesca, la ricerca scientifica e la posa degli oleodotti. La Convenzione prevede allo stesso modo che i progetti marini su larga scala debbano tenere conto dell’impatto ambientale. L’accordo ha sottolineato inoltre che risulta inammissibile la presenza delle forze armate di potenze extra regionali (come USA e GB) nel Mar Caspio e stabilisce il compito per i paesi rivieraschi la responsabilità della sicurezza marittima e la gestione delle risorse. Nell’accordo viene riservata una zona di 10 miglia per la pesca che spetta ad ogni stato rivierasco. Da parte sua il presidente russo Vladímir Putin ha stabilito che la convenzione garantirà la soluzione di tutte le questioni in sospeso nell’agenda dietro consenso e tenenendo in conto degli interessi reciproci, garantendo la zona del mar Caspio come una zona di pace. A sua volta il presidente iraniano Hasán Rohaní ha sottolineato che “è stato fatto un passo importante per garantire la sicurezza della regione e migliorare le relazioni tra i cinque Stati”. “Oggi le relazioni fra i cinque stati ed il resto dei paesi del Caspio sono franche ed amichevoli”, ha sottolineato Rohani, aggiungendo che il Mar Caspio appartiene soltanto alle cinque nazioni. “Siamo stati chiari nello stabilire che nessuna forza miltare straniera può entrare in questo mare e nessuna nave da guerra straniera potrà solcare le acque del Mar Caspio”

https://www.controinformazione.info/putin-e-liran-con-gli-altri-paesi-sottoscrivono-la-convenzione-sulla-regione-del-mar-caspio/

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La Cina e l’Europa

Non a tutti piace il riavvicinamento tra Cina e Europa centrale. Desiderosa di prendersi il futuro di propria iniziativa, l’Europa centrale cerca di diminuire sempre più la dipendenza da zona periferica dell’Europa occidentale e si rivolge tra l’altro alla Cina. Sofia, Bulgaria, dal 29 giugno al 7 luglio, il 7° Summit dei Paesi dell’Europa centrale e orientale (16…) e della Cina (…+1) e l’ottavo forum economico Cina-CEEC avevano avuto luogo a Sofia, in Bulgaria. I 16 Paesi europei di questa piattaforma sono Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, tutti i membri dell’UE, così come Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia. “L’iniziativa 16+1 non è una piattaforma geopolitica ma una cooperazione mutualmente profittevole basata sulle leggi del mercato”,spiegava l’ospite del forum, il primo ministro bulgaro Bojko Borisov, così come il Primo Ministro cinese che voleva apparire rassicurante. “Alcuni dicono che tale cooperazione potrebbe dividere l’UE, ma non è vero”, insisteva ulteriormente Li Keqiang. Eppure, la parte occidentale del continente e Bruxelles sono preoccupate per questo settimo vertice dei leader della CEEC col Primo Ministro cinese. Questo blocco di16 ricorda in qualche modo l’ex-blocco orientale o almeno i Paesi satelliti dell’URSS che vissero per mezzo secolo sotto il comunismo ed erano separati politicamente, culturalmente e fisicamente dall’Europa occidentale. Una separazione che segna ancora le menti anche venticinque anni dopo la “riunificazione europea” nel blocco euro-atlantista. In particolare sulla questione della migrazione, due blocchi con due visioni opposte si fronteggiano. Entrambi sono chiaramente delimitati da una linea di faglia paragonabile a quella della cortina di ferro sull’Europa. La Cina sembra aver saputo sfruttare l’esistenza di queste due Europee o almeno prenderne nota: mentre istituisce questa piattaforma di cooperazione economica, la Cina relega l’Unione europea a terza parte e promuove un dialogo diretto col governo leader di una regione che considera economicamente e politicamente abbastanza omogeneo e unitario e, in primo luogo, che considera elemento chiave nella sua iniziativa Fascia e Via.

Un’altra versione dell’Europa a due velocità?
Se i Paesi della CEEC hanno in comune il comunismo per 50 anni, questo non è l’unico punto che li unisce. Nell’ultimo millennio, Balcani ed Europa centrale affrontrono in modo permanente gli imperialismi tedesco/nazista, ottomano/turco e russo/sovietico. Da quelle esperienze dolorose, tutte le nazioni dell’Europa centrale sono arrivate alla stessa conclusione: organizzarsi durante questo periodo di pace senza precedenti al fine di ottenere la propria indipendenza. Col crollo dell’Unione Sovietica e l’assorbimento dei Paesi della CEEC nel blocco euro-atlantico (UE, NATO,…), si è verificata una nuova situazione. Progressivamente, i 16 Paesi dell’Europa centrale e orientale aderivano alla NATO in un momento in cui le guerre assumevano un volto diverso, la minaccia militare si attenuava. E a chi era diventato membro dell’UE, apparve un’opportunità storica: parlare con una sola voce nelle istituzioni dell’Unione, bloccando i progetti dei partner occidentali, imponendogli argomenti sul tavolo delle trattative e persino inclinando il campo di gioco a loro favore. Questo è ciò che l’esperienza del Gruppo Visegrad (V4) illustra con successo. Il V4 ha parlato molte volte di un’Europa a due velocità. Negato all’inizio da tedeschi e francesi, il progetto viene ora assunto e regolarmente discusso: il nucleo dell’UE vuole abbandonare la periferia, o piuttosto relegarla in un ruolo secondario su budget e decisioni. Un progetto che V4 e i Paesi CEEC interessati criticano con veemenza. Ma quando si tratta di collaborare con la Cina per lo sviluppo più esteso della regione dell’Europa centrale e dei Balcani senza che l’occidente possa dire la propria, si sarebbe tentati di dire che l’Europa a due velocità non affligge più di tanto i Paesi della CEEC. Una breve panoramica potrebbe portare a questa conclusione. Ma la realtà è più complessa.
Se i Paesi CEEC colgono questa opportunità, è anche perché, nonostante le proteste di tedeschi e francesi, essi nell’UE continuano a ricevere solo il 2% degli investimenti cinesi nell’UE. Senza sorpresa, i principali beneficiari degli investimenti cinesi sono oggi Regno Unito, Germania, Francia e Italia. Al contrario, Stati Uniti ed Europa occidentale rappresentano il 90% degli investimenti nei Paesi CEEC. Quindi innanzitutto si usa la piattaforma 16+1 per riequilibrare la situazione. Questo è almeno il punto di vista degli europei centrali.

Forte volontà dei Paesi CEEC ed errori dell’UE
Molti esperti parlano della fine del commercio transatlantico come se ci fosse. Donald Trump, da parte sua, critica aspramente l’Unione Europea mentre prende lui stesso misure protezionistiche. La Cina, da parte sua, s’impone sempre più come la paladina del libero mercato. All’interno di questo nuovo e sorprendente contesto, l’Europa centrale cerca di uscire dal dominio del nucleo europeo indebolito. È così che l’iniziativa dei Tre Mari cerca di sviluppare infrastrutture dei trasporto ed energetici sull’asse Nord-Sud della regione, collaborando più strettamente cogli Stati Uniti. Questo è anche il motivo per cui alcuni Paesi sono spinti ad aprire un dialogo con la Russia e persino a chiederle di investire nonostante il punto di vista di Bruxelles e le sanzioni europee. E questa è anche la ragione dell’apertura verso la Cina. L’Europa centrale difficilmente esce dal complesso di inferiorità verso l’Europa occidentale e sa che la Cina potrebbe essere l’elemento chiave della sua emancipazione. Col progetto Nuova Via delle Seta, la Cina ha diversi obiettivi: da un lato, importare prodotti di alta qualità per rispondere all’esplosione della domanda qualitativa delle proprie classi medie e alte gonfiatasi coll’enorme crescita annuale del PIL (6,7% nel 2016). E dall’altra parte, diventare il numero uno nel mondo economico, in particolare grazie al colossale progetto Nuova Via della Seta. Questa immensa rete di infrastrutture mira a collegare l’Eurasia all’Africa e a garantire alla Cina accesso diretto e controllato al 70% dei mercati del pianeta. Ciò significa parecchie cose per l’Europa centrale:
Sviluppo di infrastrutture importanti (canale Danubio-Oder-Elba, linea ferroviaria ad alta velocità Atene-Belgrado-Budapest, …)
Collegamento alla principale strada commerciale del mondo, uscendo dalla periferia europea (utilizzando i porti del Pireo e Costanza per aggirare Amburgo e Rotterdam,…)
Apertura di importanti mercati di esportazione (i Paesi CEEC sono anche importanti Paesi agricoli, i cui prodotti sono meno costosi di quelli occidentali ma beneficiano dell’etichetta “Europa” in Cina…)
Dal punto di vista dell’UE, la questione è comunque più complessa. L’incertezza legata alla politica e alle dichiarazioni di Trump, nonché i legami geografici e storici tra Europa e Asia, fanno sì che le cancellerie dell’Europa occidentale esitino. Sulla questione iraniana, la Francia ha cercato in particolare di attenuare la posizione di Washington. Ma senza alcun successo. Il giorno prima del vertice Cina-UE, proprio il giorno in cui Trump e Putin si incontravano, il 16 luglio 2018, il presidente degli Stati Uniti d’America persino dichiarò che l’Unione europea era il suo peggior “nemico” dal punto di vista economico, oltre a Russia e Cina. Oltre a tali dichiarazioni, Donald Trump ritirava il suo Paese dagli accordi di Vienna e Parigi (rispettivamente sul programma nucleare iraniano e le questioni climatiche). Tanto più che Donald Trump imponeva dazi su acciaio ed alluminio dall’UE. E senza nemmeno parlare delle ammonizioni ai membri della NATO che non rispettano gli impegni sul bilancio militare. Quindi l’UE ha anche tutte le ragioni per condurre una politica di apertura verso l’Est, ma la debolezza della burocrazia di Bruxelles raggiunge praticamente i limiti quando si tratta di geopolitica. E qui è la Germania che reagisce come Stato.

La Germania è vigile
Per la Germania non c’è modo che l’Europa centrale possa fuggire. Dopo l’ascesa del Gruppo di Visegrad come vero “sindacato dell’hinterland tedesco”, la fondazione della Three Seas Initiative che ne minaccia gli accordi energetici con la Russia, tutto ciò colpisce la Germania, la cui economia è basata in larga misura sullo sfruttamento della manodopera europea centrale, economica ed altamente qualificata. Quindi non è un caso se Li Keqiang si recava a Berlino dopo il summit 1 +1. Durante la visita a Pechino nel maggio 2018, la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva espresso preoccupazione per il conseguente aumento di investimenti e progetti cinesi nell’Europa centrale e nei Balcani. Fino a quel momento fu persino detto che la Germania avrebbe potuto aderire ai negoziati della piattaforma 16+1 (che sarebbe poi diventata 1+16+1 …?) Come terza parte. Alcuni osservatori spiegano che Germania e Cina avrebbero interesse a collaborare allo sviluppo dei Paesi della CEEC per le ragioni appena evocate. Ma mentre la moltiplicazione delle infrastrutture sarebbe davvero redditizia per le aziende tedesche, l’aumento a breve termine del capitale cinese in Europa centrale non piace a Berlino. Questa comprensione sembra quindi molto ipotetica, mentre il pragmatismo tedesco implica piuttosto che l’interesse della Germania per il 16+1 sia soprattutto volontà di controllare la regione.

Il mercato cambia, la Cina si adatta
Per lungo tempo la Cina fu vista come la fabbrica del mondo; ogni europeo associava la scritta “made in China” alla bassa qualità. Ma parallelamente all’adozione della Fascia e Via, o Nuova Via della Seta, la Cina iniziava ad adattarsi. Ciò passava dai prodotti a basso costo arrivando ai prodotti biologici e high-tech cinesi. Lo scorso giugno fui invitato dagli organizzatori di un piccolo forum che presenta la provincia dello Yunnan a giornalisti ed investitori ungheresi. Il successo di questo evento confidenziale fu breve, ma gli obiettivi erano ambiziosi: la Cina vuole una buona parte del mercato biologico in Europa e l’Europa centrale potrebbe essere la prima a beneficiarne. Lo Yunnan, regione di altipiani dal clima paradisiaco, non è industrializzato e quindi non è inquinato come molte altre regioni della Cina. Di conseguenza, la Cina utilizzerà questa provincia, dove il clima eccezionale consente due o addirittura tre raccolti all’anno, per la produzione di prodotti di qualità elevata come tè, caffè o frutta esotica. Il piano di sviluppo dello Yunnan è un buon esempio della strategia globale cinese. La Cina vuole diversificare la produzione, raggiungere più mercati, e come abbiamo appena detto, anche aumentare le importazioni al fine di rispondere alle crescenti aspettative delle sue classi medie benestanti che crescono demograficamente. Sul piano delle energie rinnovabili, la Cina desidera di recuperare un margine di manovra. Come spiegò Emmanuel Dupuy sulla rivista Atlantico: “la metà delle auto elettriche vendute nel mondo proviene dalla Cina, il 15% delle auto in circolazione in Cina sono già elettriche. La Cina produce 1400 TWh di elettricità (mentre gli Stati Uniti solo 530 TWh) grazie ai massicci investimenti in energie rinnovabili (in particolare nell’energia solare, dove la Cina attualmente produce la maggior parte dei pannelli solari e mulini a vento venduti in tutto il mondo)”.

Ma allora, la Nuova Via della Seta è una buona o una cattiva cosa?
Dal punto di vista dell’Europa centrale, la Nuova Via della Seta è una prospettiva molto interessante. Non è un azzardo se tutti i 16 Paesi CEEC hanno risposto positivamente all’invito della Cina. In un mondo sempre più multipolare, e date le crescenti tensioni con l’altra metà del continente europeo impigliatosi in un liberalismo mortale, la crescente implicazione della Cina nell’Europa centrale, lo sviluppo delle infrastrutture e l’arrivo di capitali, è una buona cosa. Per l’Europa centrale, l’integrazione nel progetto Nuova Via della Seta non sarà senza conseguenze. L’adattamento dell’occidente a questa nuova potenziale situazione va osservato da vicino. Non dimentichiamo che l’incontro dei re di Polonia, Boemia e Ungheria a Visegrad nel 14° secolo, da qui il nome di Gruppo di Visegrad per la cooperazione iniziata nel 1991 tra Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, si svolse prima di tutto per trovare una soluzione all’utilizzo del porto franco di Vienna.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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