Il rompicapo libico

Fonte: Alberto Negri

Ancora una volta sulla Libia l’Italia è stata colta apparentemente di sorpresa. Come del resto accade nel 2011 quando Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero di fare fuori il Colonnello Gheddafi. Poi l’Italia si accordò ai raid della Nato commettendo un secondo errore: bombardammo il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo, ricevuto a Roma soltanto sei mesi prima e con cui avevamo firmato accordi miliardari e nel campo della sicurezza, perdendo ogni credibilità internazionale. Gli stessi americani ci hanno preso in giro: prima Obama e poi Trump ci hanno promesso una “cabina di regia” sulla Libia che in realtà nessuno ci ha mai voluto dare, visti i precedenti.

Le illusioni dell’Italia
L’Italia è un Paese di illusi. Con il fascismo ha perso la seconda guerra mondiale, tutte le sue colonie ed è stato occupato dagli Alleati ospitando dozzine di basi Nato e testate nucleari americane che non controlla: puoi dichiarare di essere “sovranista” quanto vuoi ma non avendo mai recuperato sovranità reale conti ben poco. Anche le famose missioni militari all’estero con cui abbiamo avuto dozzine di morti in Iraq e in Afghanistan non sono bastate a ridarci credibilità: siamo rimasti i camerieri degli americani che ci tirano le orecchie di continuo, come è accaduto quando abbiamo firmato un memorandum sulla Via della Seta con la Cina e stretto contratti commerciali con Pechino, di valore per altro ben inferiori a quelli di francesi e tedeschi.

Da escludere un intervento militare
Del resto cosa accadrebbe se intervenissimo militarmente, da soli, a sostenere il governo Sarraj di Tripoli? Al primo morto qui si scatenerebbe il finimondo. La Francia che noi vituperiamo tanto perché protegge i suoi interessi manda i suoi soldati ovunque e nessuno protesta, nemmeno i gilet gialli che qui qualcuno ama tanto.

Un attacco annunciato
Che il generale Khalifa Haftar fosse sul piede di guerra era sotto gli occhi di tutti da mesi e lo avevano segnalato anche su queste colonne: non possiamo dire che non fossimo informati, pur nel silenzio generale di governo e opposizione, della sua avanzata.

Il giacimento libico El Feel
Bastava guardare cosa stava accadendo sul terreno. Haftar aveva preso il controllo dell’importante giacimento libico El Feel, gestito dall’ Eni assieme alla Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc), un’operazione avvenuta nell’ambito della campagna di conquista del Sud-Ovest con cui si era già impadronito dei pozzi di Sharara, i più importanti della Libia.

Il vero problema della Libia
Ma qui in Italia quando si parla di Libia l’unico argomento sembrano i flussi dei migranti che sono un conseguenza dell’instabilità libica, non la causa. Il problema libico è che nel 2011 il Paese si è spezzato: Tripolitania e Cirenaica sono tornate a essere entità diverse e in competizione, come era prima della sanguinosa colonizzazione italiana che le unificò negli anni Trenta con il generale Graziani (80mila morti). Dopo la seconda guerra mondiale la Gran Bretagna, potenza mandataria, puntò a tenere insieme la Libia sotto la monarchia dei Senussi nonostante Re Idriss avesse dichiarato: “Io sono re della Cirenaica non della Tripolitania”. Dopo la caduta di Gheddafi le due grandi regioni, cui si aggiunge il Fezzan, non sono più tornate assieme, se non in via teorica.

L’errore dei governi italiani
L’errore più marchiano commesso dai governi italiani è stato quello di snobbare per lungo tempo i rapporti con Haftar perché pensavano che il governo di Sarraj fosse appoggiato dalla comunità internazionale. In realtà Fayyez Sarraj ce lo abbiamo messo noi a Tripoli: è un uomo debole, privo di una sua forza militare autonoma e dipende dalla milizie.

Il governo di Fayyez Sarraj
Inoltre il suo governo è malvisto perché viene appoggiato da gruppi islamisti e Fratelli Musulmani. Ancora prima del petrolio questa è la vera ragione del conflitto. Haftar, che è tra l’altro cittadino americano, gode del sostegno dell’Egitto, della Francia, dell’ Arabia Saudita, degli Emirati e in parte degli Usa e della Russia perché ha il compito di far fuori i Fratelli Musulmani a Tripoli, una della parti perdenti delle vicende mediorientali, appoggiati soltanto da Qatar e Turchia. Il Qatar tra l’altro proprio per questo è boicottato dalle monarchie del Golfo che lo vedono come il fumo negli occhi.

Gli interessi petroliferi
L’Italia si è adattata alla situazione perché ha il 70% dei suoi interessi petroliferi in Tripolitania ma anche per gli affari con il Qatar, uno dei maggiori investitori stranieri in Italia e al quale abbiamo fornito in un anno mezzo circa 10 miliardi di dollari di armi, tra navi, elicotteri e aerei. Non facciamo i furbetti come al solito: sappiamo benissimo le ragioni per cui sosteniamo il governo di Tripoli. Ma non abbiamo la forza per tenerlo in piedi.

Gli obiettivi del generale
Il generale Haftar ha tre obiettivi. Il primo è conquistare il potere facendo fuori gli islamisti. Il secondo impadronirsi delle entrate petrolifere: lui controlla infatti i pozzi del Sud e i terminali dell’Est ma non può esportare il greggio per un embargo internazionale e i soldi dell’oro nero li incassa ancora Tripoli con la banca centrale libica. Aveva infatti chiesto recentemente di aumentare del 40% la sua quota di entrate. Questi due obiettivi non sono facili da raggiungere e non è detto che la sua offensiva su Tripoli abbia successo: deve evitare un bagno di sangue per presentarsi come un “pacificatore” del Paese. In realtà i sauditi gli hanno dato i finanziamenti per comprarsi l’appoggio delle fazioni avversarie ma questa operazione non è ancora riuscita completamente.

La conferenza dell’Onu sulla Libia
Ha già invece colto il terzo obiettivo, quello più immediato: far saltare, con ogni probabilità, la conferenza nazionale sulla Libia sponsorizzata dall’Onu che dovrebbe svolgersi a Ghadames tra una settimana. In ogni caso adesso ha alzato la posta e fatto capire che lui e i suoi sponsor non hanno nessuna intenzione di lasciare a lungo al potere il governo di Tripoli.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61804

4 thoughts on “Il rompicapo libico

  1. Ed ecco che dopo tanto blaterare dei rapporti di amicizia tra Mosca e Roma, della cancellazione delle sanzioni alla Russia, Conte ha completamente riallineato l’Italia ai piani Usa con il gioco dei gasdotti pur di ottenere da Washington vaghe investiture di primazia in Libia dove continueremo a fare i conti con la Francia, l’Egitto e la Russia stessa, soprattutto in Cirenaica.

    Un ritorno all’ordine atlantico sancito ieri dalle sanzioni dell’Unione europea alle sei società russe che hanno costruito il ponte che collega la Russia alla Crimea annessa nel 2014: il tutto con l’approvazione dell’Italia che sembrava tanto amica di Mosca da essere citata nel discorso inaugurale del premier Conte.

    Ma c’è dell’altro. Si dice anche che Trump sarebbe interessato a scambiare quote Eni (in cambio di concessioni in Usa) per prendere il gas libico che a noi arriva già attraverso il gasdotto diretto Greenstream (oltre a quello algerino con il Transmed e al gas russo, che costa meno di quello americano).

    Visto che gli Usa vogliono vendere il loro gas liquefatto in Europa non si capisce bene che se ne fanno di quello della Libia, dove tra l’altro l’Eni fornisce l’80% dell’energia elettrica del Paese, se non per mettere una “fiche” geopolitica sul tavolo nordafricano. Tutto questo per ottenere l’appoggio americano alla conferenza in Italia sulla Libia? In poche parole l’aiuto Usa andrebbe a pesare sulla nostra bolletta del gas.

    Del resto Trump all’esordio dell’incontro con Conte alla Casa Bianca era stato chiaro: «L’Italia ha un surplus commerciale di 31 miliardi di dollari con gli Usa». In poche parole: «Prima caccia i soldi, cioè riequilibra il deficit commerciale e poi parliamo del resto». L’impressione, dalla cabina di regia saldamente nelle mani degli americani, è che gli Usa tentino di darci un’altra fregatura, anche questa con un simpatico bollino blu.
    Alberto Negri
    https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60820

  2. Il MiG-25 Foxbat è l’aviogetto da combattimento più potente nel servizio libico, con formidabili sensori, potenti missili aria-aria R-40 con testate da 100 kg e un velocità superiore a qualsiasi aereo da combattimento, capace di superare Mach 3; il caccia può dominare i cieli del Oaese. Come nel caso dell’attacco occidentale alla Libia del 2011, tuttavia, quando i Foxbat non ebbero alcun ruolo nella difesa del Paese, gli elevati requisiti di manutenzione degli intercettatori pesanti ne resero l’utilizzo poco pratico rispetto ai più semplici MiG-23 e MiG-21. La flotta da combattimento operativa dell’Aeronautica militare nazionale libica è attualmente valutata in 14 MiG-21, 2 Su-22 e una dozzina di MiG-23, a fianco di 7 elicotteri Mi-24/35. Ciò fornisce a queste forze un considerevole vantaggio rispetto al rivale Governo di Accordo Nazionale sostenuto dall’occidente, che schiera meno di dieci aerei da combattimento, incluso un solo MiG-25. Un secondo MiG-25 fu revisionato e reso pronto al combattimento, ma si schiantò alla prima sortita. La complessità del caccia lo rende tutt’altro che ideale per le operazioni in una guerra civile in cui la logistica è limitata, come piattaforma progettata per operare su Europa e Asia-Pacifico da basi aeree sovietiche ben difese in cui era garantito l’accesso di combustibile e parti.
    http://aurorasito.altervista.org/?p=6652

  3. Domani i media vi diranno che Trump ha così punito l’Italia per la nostra adesione alla Nuova Via della Seta. Magari il motivo vero è che: Khalifa Haftar ha l’appoggio di Egitto, Russia, Francia; è sostenuto dai sauditi perché il “governo” Sarraj è una enclave dei Fratelli Musulmani che loro temono ed odiano, stesso motivo per cui al Cairo Al-Sisi preferisce la vittoria di Haftar. I sauditi, si sa, possono aver messo una buona parola a Washington, dove hanno qualche amico (uno di nome Jared). Per di più, a Washington si sono ricordati che Haftar ha vissuto per un ventennio negli USA (dopo un tentativo andato a male di rovesciare Ghedafi), abitava a due passi da Langley ed era l’agente della Cia sulla Libia. Alla Cia si saranno ricordati di avere ancora il suo numero, e Trump ha alzato il telefono. Perché continuare ad essere ostili? Se Haftar sta vincendo, perché non riprendere i contatti?

    Invece il governo Gentiloni ha sostenuto Al Serraj su istruzioni di Obama e di Hillary Clinton. Istruzioni ampiamente scadute, ma il nostro ministro degli esteri appartiene a quella covata, e continua ad eseguirne gli ordini. E’ una delle incredibili continuità del governo “del cambiamento”. Lo abbiamo riempito di motovedette perché ci salvi dai gommoni degli scafisti. In pratica sosteniamo la Fratellanza Musulmana in Libia. “Sosteniamo” del resto è una parola grossa. L’ ultima lezioncina che si può apprendere è che quando non si ha una forza armata, e quel poco l’abbiamo sparso nel mondo secondo i comandi della NATO, dell’ONU, della UE, quindi de-nazionalizzati, in quelle aree non si conta nulla.
    https://www.maurizioblondet.it/trump-telefona-ad-haftar-e-si-congratula/

  4. Un altro fatto assodato è che il premier Fayyez al Serraj è vicino al capolinea, nonostante le dichiarazioni apparentemente favorevoli di Pompeo, Le Drian, i due ministri degli Esteri di Usa e Francia, e dello stesso segretario alla Difesa americano pro-tempore, Pat Shanahan: è un figurante in mano alle fazioni che rilascia dichiarazioni deliranti come quelle sulla marea di profughi che potrebbero arrivare in Italia. Dichiarazioni afferrate al volo dal nostro governo, insieme all’allarme terrorismo, per dare una prova ulteriore delle sue divisioni interne: lo specchio libico riflette immagini assai deformate dei nostri politici. Molta retorica e poca sostanza.

    Se Serraj resta al suo posto è soltanto perché quelli di Misurata, la vera forza militare in campo per il governo di Tripoli, lo possono manovrare come vogliono, ben sapendo che i suoi sponsor, l’Onu, l’Italia, la Turchia e il Qatar, non hanno al momento carte migliori. Ma Usa e Russia di Serraj e delle milizie islamiste che lo appoggiano non ne possono più, lo ritengono un inutile orpello.

    Lo si è capito quasi subito quando i marines sono decollati in hovercraft dal bagnasciuga di Tripoli lasciando in mare una scia di schiuma e sulla terra il campo libero a Haftar. Il 9 aprile scorso Trump ha ricevuto il generale egiziano al Sisi alla Casa bianca e si è fatto convincere che era arrivato il momento di sostenere il colpo di mano Haftar, tra l’altro cittadino americano, mentre il 14 aprile Haftar ha incontrato Al Sisi al Cairo quando la sua offensiva aveva però già perso l’effetto sorpresa e lo slancio iniziale. Anche al Cairo forse adesso si fanno due conti: meglio tenerlo a fare il guardiano della Cirenaica che di una Libia complicata da conquistare.
    https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61846

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