Transizione ecologica

Dal nuovo governo Draghi, al centro del dibattito c’è l’istituzione del Ministero per la Transizione Ecologica. Di cosa si tratta?

In realtà non si tratta di una vera e propria istituzione, visto che esiste già un ente simile, il Dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi (DITEI) (https://www.minambiente.it/pagina/dipartimento-la-transizione-ecologica-e-gli-investimenti-verdi-ditei), quanto piuttosto di una riorganizzazione.

Il nuovo ministero, se le modifiche verranno implementate, comprenderà le funzioni del vecchio Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare guidato da Sergio Costa,  più alcune funzioni del Ministero dello Sviluppo Economico.

Quanto dipenda dalla compravendita dei Ministeri tipica nelle occasioni di formazione di un nuovo governo e dalla relativa spartizione del bottino (i soldi del Recovery Plane NextGeneration EU) e quanto da un reale desiderio di cambiamento non è dato saperlo, qualche considerazione è bene farla. L’enorme afflusso di denaro può sicuramente portare vantaggi per una maggiore tutela dell’ecosistema, la sensazione che emerge, tuttavia, è una sorta di mercificazione dell’ambiente.

Sembra che la prospettiva dalla quale l’ambiente viene guardato sarà attraverso le lenti opache dell’Economia, quando molte politiche per preservare la biodiversità e il verde italiano non richiederebbero esborso alcuno di denaro.

Al contrario, è proprio fermando l’afflusso di denaro in alcuni settori che ha portato alla deforestazione e cementificazione selvaggia che si possono ottenere i migliori risultati.

Un approccio che sembra ancorato al modello di sviluppo e crescita e non a un progetto di vera ripianificazione.

leggi tutto su https://www.ariannaeditrice.it/articoli/ministero-per-la-transizione-ecologica

Piano Italia 2030

Nel suo vasto curriculum, Draghi ha anche un dottorato al MIT (primo italiano) con Modigliani e Solow. Solow (Nobel ’87) è l’economista forse più noto nell’ambito della teoria della crescita che lega soprattutto al progresso tecnologico che incide sulla produttività, ritenuta la chiave della lievitazione. Ma successivi sviluppi teorici hanno aggiunto note sul capitale umano, sulle infrastrutture, sui quadri giuridici in cui opera la macchina economica.
Per sapere come Draghi pensava di applicare le sue convinzioni teorico economiche al caso Italia, basta leggersi le Considerazioni finali del Governatore di Banca d’Italia del 2011 quando lasciò l’istituto di palazzo Koch per andare a Francoforte. Da pagina 11 alla 16 è riassunta la diagnosi Draghi, quindi la prognosi. Si tenga conto che dieci anni al Tesoro (governi tanto di centrodestra che di centro sinistra) e cinque a Bankitalia, fanno di Draghi il miglior conoscitore possibile delle strutture dell’economia italiana sotto i profili fiscali, imprenditoriali, legislativi, strutturali, sociali e conoscere è la precondizione per cambiare tramite interventi coordinati. Draghi cioè è tra i pochissimi (forse l’unico) che conosce a fondo l’intero sistema anche perché la sua stessa definizione funzionale più precisa è -a mio avviso- proprio quella di funzionario di sistema. Un funzionario di solito al servizio di poteri vari che affollano il vertice del potere sistemico, oggi incaricato da Mattarella di esprimere per la prima volta in vita sua la sua visione in forma esecutiva, salvo via libera politico.
In breve, la diagnosi di sistema fatta a suo tempo da Draghi, era: 1) ottimizzazione della spesa pubblica esaminando problemi ed opportunità di bilancio “voce per voce” impiegando eventuali risparmi in investimenti strutturali; 2) riduzione tasse se c’è recupero di evasione fiscale; 3) se non c’è recupero di produttività i salari ristagnano e ne risente la crescita; 4) la produttività italiana ristagna perché il nostro sistema non si è ancora adattato all’evoluzione tecnologica ed alla globalizzazione; 5) non funziona la giustizia civile e questa mancanza di quadro normativo porta a perdere anche un punto di Pil oltreché sconsigliare investimenti esteri; 6) fino ad un altro punto percentuale di mancata crescita lo si deve al sistema educativo e formativo, soprattutto universitario e di livelli medi di scolarità tra i più bassi tra i paesi OCSE; 7) c’è poca concorrenza di mercato; 8) abbiamo una prolungata carenza di spesa ed efficienza di spesa nelle infrastrutture; 8) non sappiamo neanche impiegare a fondo e gestire bene i fondi europei; 9) si è scaricata tutta la flessibilità necessaria nel mercato del lavoro in entrata (contratti); 10) le sole contrattazioni nazionali sono tropo rigide ed impediscono patti aziendali locali tra lavoratori ed imprese; 11) scarsi supporti nei servizi sociali e non solo, deprimono la partecipazione femminile al mercato del lavoro creando un ulteriore freno allo sviluppo sistemico; 12) il sistema di protezione sociale deve esser in grado di sostenere chi perde un lavoro e ne cerca un altro aiutando così la vivibilità di un sistema in perenne trasformazione adattiva; 13) le imprese italiane sono piccole, famigliari, sottocapitalizzate, strutturalmente inabili al mercato globale.
Come in parte si vede nella recente composizione del governo, i ministeri – Tesoro, Giustizia, Infrastrutture, Istruzione – sono le chiavi necessarie per la trasformazione strutturale auspicata e quindi avocati a sé o a sue dirette emanazioni, quelli del Digitale e della Transizione ecologica sono più legati alla gestione dei fondi di ripresa europei, ma il primo è anch’esso infrastrutturale. Così per la delega per i rapporti con l’UE ed in fondo anche l’asse strategico degli Affari esteri.
Draghi ha poco tempo forse poco più di un anno. Ma l’obiettivo non è risolvere tutti gli italici problemi in un tempo impossibile, è impostare la struttura. Dopodiché come Presidente della Repubblica ha almeno altri sette anni per supervisionare lo sviluppo di quella struttura. Il PdR controfirma ogni anno la finanziaria e non sarà una passeggiata per i governi dei prossimi anni, far firmare paginette con tutto ed il suo contrario recapitate al Quirinale mezzora prima della scadenza. Draghi diventerà un vincolo interno più che il pareggio di bilancio in Costituzione. Draghi diventerà il garante del rischio o opportunità Italia almeno fino al 2030.

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/italia-2030

Le grandi aspettative alla prova dei fatti

Tuttavia, è importante sottolineare come questa narrazione sia spesso il frutto di una percezione indiretta e astratta di “mancanza di meritocrazia”, senza che le persone abbiamo sperimentato direttamente episodi di nepotismo.

Un aspetto fondamentale sottostante alle rappresentazioni positive dei paesi di destinazione e a quelle negative dei paesi di origine è che esse si configurano come una retorica generalizzata, condivisa egualmente da soggetti con alta e medio-bassa qualificazione, nonostante i vantaggi della migrazione, per questi ultimi, siano tutt’altro che scontati.

Le grandi aspettative che gli emigranti hanno non appena giunti nei paesi di destinazione trovano spesso un riscontro positivo tra quanti avevano già un’offerta di lavoro soddisfacente prima di emigrare. È questo un caso piuttosto comune tra i laureati, che prediligono canali istituzionali di ricerca del lavoro, soprattutto tra quanti avevano già avuto un’esperienza all’estero, ad esempio un Erasmus durante gli studi universitari. Ma in molti altri casi dopo la partenza non sono infrequenti esperienze di lavoro nell’economia informale, in settori poco qualificati e in condizioni di lavoro disagevoli. È questa una situazione molto comune tra i migranti con basso titolo di studio, per i quali svolgono un ruolo decisivo i contatti informali con amici e parenti che sono già emigrati in precedenza, sia nella decisione di emigrare che nella ricerca di lavoro una volta emigrati.

Tuttavia, anche occupazioni non migliori di quelle che i migranti a medio-bassa qualificazione avrebbero potuto trovare in Italia sono riviste alla luce della narrazione positiva che circonda i paesi di destinazione. Esse, infatti, sono interpretate come “utili esperienze” nella speranza di poter successivamente migliorare la propria condizione, in contesti come Londra e Berlino, ricchi di opportunità e in cui i datori di lavoro favoriscono il “talento”.

Per saperne di più

Gemm project – growth, equal opportunities, migration and markets

G. Assirelli, C. Barone e E. Recchi (2019). “You better move on”: Determinants and labor market outcomes of graduate migration from Italy. In International Migration Review 53(1): 4-25.

G. Ballarino, C. Barone e N. Panichella (2016). Origini sociali e occupazione in Italia. In Rassegna Italiana di Sociologia 57(1): 103-134.

C. Barone e R. Guetto (2016). Verso una meritocrazia dell’istruzione? Inerzia e mutamento nei legami tra origini sociali, opportunità di studio e destini lavorativi in Italia. In Polis 30(1): 5-34.

D. Coletto e G. Fullin (2019).Before Landing: How Do New European Emigrants Prepare Their Departure and Imagine Their Destinations? In Social Inclusion 7(4): 39-48.

I. Dimitriadis, G. Fullin e M. Fischer-Souan (2019).Great Expectations? Young Southern Europeans Emigrating in Times of Crisis. In Mondi Migranti 3: 127-151.

G. Fullin, E. Reyneri (2015). Mezzo secolo di primi lavori dei giovani. Per una storia del mercato del lavoro italiano. In Stato e Mercato 105(3): 419-468.

ISTAT (2021). Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente, 2019. Statistiche Report.

U. Trivellato (2019). Per troppi giovani la buona occupazione è diventata un miraggio. Evidenze da uno studio pilota. Neodemos.

Importanza geopolitica del Golan


Quest’area è cruciale sia politicamente che strategicamente, poiché la Siria meridionale e la sua capitale, Damasco, sono visibili dai punti più alti del Golan, attualmente nelle mani di Israele. In effetti, una tale zona offre a Israele un vantaggio significativo per monitorare i movimenti delle truppe siriane e, inoltre, la topografia del Golan è considerata una barriera naturale contro qualsiasi attacco dalla Siria.

Nelle guerre del 1948 e del 1967, quando l’area era sotto il controllo della Siria, questo paese usò l’artiglieria per bombardare da lì il nord dei territori occupati da Israele.

Base aerea russa in Siria

Attacchi ripetuti contro la base aerea russa in Siria

Il 9 di febbraio la base aerea russa ubicata nella zona di Latiaka è stata attaccata da missili di lunga gittata. Non ci sono stati danni materiali nè perdite. La difesa aerea ha neutralizzato l’attacco utilizzando mezzi elettronici. I missili provenivano dalla zona di Idlib, dove sono ubicati gruppi terroristi appoggiati dagli USA e dalla NATO. La base aerea ha continuato a svolgere il suo lavoro di routine.
L’impressione che si ricava da questo attacco è che si sta incrementando l’assedio contro la Russia e il gioco della NATO e dei suoi proxi sta diventando molto pericoloso. Qualsiasi errore di calcolo può portare ad un allargamento del conflitto. Pochi minuti prima dell’attacco era stato avvistato un aereo militare USA di sorveglianza elettronica.
La Russia sta utilizzando armi elettroniche per neutralizzare gli attacchi missilistici contro la sua base aerea. Si tratta di un avanzato sistema elettronico che permette di disorientare e neutralizzare qualsiasi oggetto volante nel raggio di 200 Km. ed è lo stesso sistema che le forze russe hanno adottato a difesa delle proprie installazioni nel Mar Nero ed in Crimea.

Fonti: Hispan TV – Press TV

Traduzione: Luciano Lago

Democrazia senza popolo

“Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi – ha scritto, nel 2003, Crouch (“Postdemocrazia”)  il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici.”

La sostituzione della politica da parte della tecnocrazia è l’ultima, estrema, fase del processo di erosione delle tradizionali forme di rappresentanza democratica. E’ “L’ingranaggio del potere”, titolo di un recente saggio di Lorenzo Castellani, studioso di orientamento liberale,  nel  quale viene stigmatizzata la crisi della  politica, ormai incapace di assumere decisioni coraggiose, coerenti rispetto a specifiche  visioni del mondo, a tutto vantaggio del potere dei tecnici, legittimato – scrive Castellani – dalla  competenza cioè dalla “conoscenza specialistica degli individui, fornita e certificata dalla struttura stessa della società attraverso istituzioni educative, programmi di studio, titoli, esami e concorsi. (…) Di conseguenza i poteri non-elettivi, a carattere tecnico, oggi condizionano la vita dei cittadini e le scelte politiche allo stesso modo, se non forse ancor di più, di quelli elettivi e rappresentativi”. Al fondo c’è  “la riduzione della società a un unico criterio di gestione”, nella pretesa di depoliticizzazione delle decisioni da parte dei fautori della tecnocrazia e nell’ottica di una uniformazione del tutto, al fine di attuare una regolare amministrazione dell’esistente priva di qualsivoglia conflitto politico, ideologico o culturale.

Mario Bozzi Sentieri

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/democrazia-senza-popolo

Un bilancio del governo Conte II

Molti riterranno questo mio sfogo un tipico atto di sciacallaggio, perché approfitto della fine della stagione più incosciente della storia politica della nostra Repubblica, perché approfitto di questa fine del Governo di Giuseppe Conte per denunciare le gravi responsabilità di questo carro di Tespi (i carri di Tespi erano dei teatri mobili realizzati attraverso strutture di legno, di cui si servivano i comici del teatro nomade popolare italiano) un carro che dal mese di marzo del 2018, cioè da quasi tre anni, giorno dopo giorno, mese dopo mese, ha distrutto le potenzialità di questo Paese. Il mio non è uno sciacallaggio, perché con un ritmo sistematico (due volte a settimana con i miei blog nelle “Stanze di Ercole”) ho denunciato i comportamenti di una compagine di Governo che ha, in tre anni, distrutto la immagine di uno delle componenti della stessa compagine: mi riferisco al Partito Democratico. Ora, finita questa triste nottata, qualcuno chiederà agli schieramenti che si sono succeduti nella gestione della cosa pubblica dal marzo del 2018 ad oggi un bilancio di ciò che si è fatto e di ciò che non si è fatto. Ed allora avendo seguito in modo capillare tutte le fasi, tutti i vari passaggi penso sia oggi possibile effettuare una serie di quesiti.

Come mai alla fine del 2020, in particolare alla fine del mese di novembre, si è scoperto che nessuno degli interventi del comparto infrastrutture era stato attivato per mancanza dei relativi Decreti attuativi; per mancanza cioè dei provvedimenti necessari per dare concreto avvio alle opere. Si è data subito la colpa ai “burocrati”, sì a quella famiglia dello Stato difficilmente identificabile. Invece no! La responsabilità è della macchina del dicastero o dei dicasteri competenti, che si chiama “Gabinetto” del ministro. Una parte del dicastero che, volutamente e non per ignavia, ha filtrato e spesso bloccato i vari provvedimenti.

Come mai del lavoro prodotto da una Conferenza degli Stati generali, convocata nel mese di giugno del 2020 dal presidente Conte e coordinata dal manager Vittorio Colao, è rimasto solo un documento completamente ignorato; eppure il manager Colao ha coordinato un comitato di esperti, il cui compito era quello di produrre idee e proposte per riformare il Paese sfruttando i fondi europei in arrivo con il Recovery Fund.

Come mai dal 25 luglio 2020 (data di conferma da parte della Unione europea del volano di risorse assegnato all’Italia dal Recovery Fund) al mese di gennaio, cioè in un arco temporale di sei mesi, non si è stati in grado non di pensare, non di scrivere ma di tentare di definire un itinerario di proposte coerente alle Linee guida che nel mese di settembre prima, e poi nei mesi di novembre e dicembre, gli Uffici competenti della Unione Europea avevano correttamente inoltrato ai nostri dicasteri competenti.

Come mai il 20 febbraio 2020 è stato presentato un Piano del Sud, anzi un “Piano Sud 2030, sviluppo e coesione per l’Italia” elencando i vari interventi, definendo varie finalità strategiche, interessanti strumenti mirati ad un rilancio della economia del Mezzogiorno e dell’intero Paese. Però, dopo quasi un anno, non è partito nessun nuovo intervento ma solo si è data continuità a due opere della Legge obiettivo approvate nel 2014 come l’asse Alta velocità/Alta capacità Napoli-Bari ed un lotto della Strada Statale 106 Jonica.

Come mai l’attuale compagine di Governo ha prodotto, nel 2019, una Legge di Stabilità 2020 ricca di risorse in conto esercizio (cioè ricca di assistenzialismo e di sussidi) e priva di risorse in conto capitale (appena 786 milioni destinati in opere pubbliche). Una scelta che trova solo una vergognosa motivazione: garantire la sistematica erogazione annuale di circa 16 miliardi per assicurare gli “80 euro per i salari minimi” ed il “reddito di cittadinanza”.

Come mai questa compagine di Governo ha prodotto una Legge di Stabilità 2021, utilizzando come copertura per oltre il 60 per cento, risorse non disponibili e che forse lo saranno alla fine dell’anno 2021 o addirittura nel primo semestre del 2022, cioè risorse provenienti dal Recovery Fund.

Come mai il Governo non abbia detto nulla su come utilizzare le risorse non ancora impegnate del Fondo di coesione e sviluppo 2014-2020 pari a circa 30 miliardi di euro (risorse da spendere entro il 31 dicembre 2023, oltre tale data si perderebbero definitivamente) invece si è preferito utilizzare quota parte delle risorse del Fondo di coesione e sviluppo 2021-2027, un Fondo ancora non definito e non disponibile, per implementare il valore globale del Recovery Plan, con un importo aggiuntivo di 20 miliardi di euro. In questa operazione è stato penalizzato ancora una volta il Mezzogiorno, in quanto i 20 miliardi per legge devono essere assegnati per l’80 per cento al Sud e invece, in questo caso, sono assegnati al Mezzogiorno solo 4 miliardi.

Come mai l’ex ministro del Sud, Barbara Lezzi e l’attuale ministro, sempre del Sud, Giuseppe Provenzano hanno praticamente spento in modo irreversibile l’attenzione del Governo sulla emergenza Mezzogiorno. La Lezzi, nel 2018, prese visione che del Programma relativo al Fondo di coesione e sviluppo pari a circa 54 miliardi di euro erano stati impegnati solo 24 miliardi e spesi appena 6 o 7 miliardi. E per un anno c’è stato solo un sistematico e ripetitivo annuncio sui rapporti con le Regioni, per dare attuazione ai programmi Pon (Piani operativi nazionali) e Por (Piano operativi regionali). Ma solo annunci, solo impegni e il Sud è rimasto privo di risorse che se spese avrebbero incrementato di almeno 3 punti il Pil del Mezzogiorno. Il ministro Provenzano ha continuato imperterrito nella politica degli annunci, aggiungendo ultimamente una proposta, inserita nella Legge di Stabilità, di esonero contributivo dal versamento dei contributi dei datori di lavoro privati del Sud. Una proposta però, inserita nella Legge ma vincolata al parere della Unione europea.

Come mai questa irresponsabile gestione della emergenza “Taranto”; una emergenza che ha visto come responsabili tre distinti ministri, in questi quasi tre anni di Governo Conte I e Conte II, in particolare il ministro Luigi Di Maio e il ministro Stefano Patuanelli, entrambi responsabili del ministero dello Sviluppo economico e la ministra del Sud, Lezzi. I primi due non sono riusciti in tre anni a ridare continuità funzionale all’impianto siderurgico e la ex ministra Lezzi, variando una delle garanzie contrattuali iniziali, ha praticamente aperto un contenzioso con il gestore. Un contenzioso ancora non risolto, che rischia di trasformarsi in una vera bomba sociale, con la perdita di oltre 20mila posti di lavoro.

Come mai la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha assunto impegni e annunciato piani e programmi molto distanti dalle soglie della concretezza; mi riferisco, solo a titolo di esempio, all’impegno assunto appena nominata di varare entro il 2019 il Nuovo regolamento appalti, al programma delle infrastrutture denominato “Italia Veloce” di importo globale pari a circa 200 miliardi di euro e con una disponibilità, purtroppo non vera come da me denunciato più volte, di 130 miliardi di euro, di aver nominato una commissione di esperti per decidere entro il 15 ottobre 2020 quale scelta effettuare per il collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente. Tutti atti che oggi possiamo archiviare come semplici “annunci”.

Come mai, e questo ritengo sia uno degli interrogativi più preoccupanti, nei sedici mesi che separano la Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza), la prima del Conte bis, dall’ultimo scostamento di bilancio approvato per finanziare l’ipotetico decreto “Ristori 5”, il Governo uscente e il Parlamento hanno approvato in 7 occasioni un deficit aggiuntivo per 426,8 miliardi (come riportato da “Il Sole 24 Ore”) a valere sugli anni dal 2020 al 2026. Se si vuole considerare invece il periodo “coperto” dal Recovery Plan, cioè il 2021-2026, i miliardi di indebitamento netto aggiuntivo rispetto al programma iniziale sono 302,6. La cifra supera abbondantemente i 209 miliardi che compongono la quota italiana del Recovery Plan molti dei quali, tra l’altro, sostituirebbero il debito nazionale per finanziare interventi già previsti nei programmi di finanza pubblica. Questo è il difficile e incomprensibile dilemma che non so come sarà possibile sanare e superare, sia nel prossimo Documento di Economia e Finanza sia nelle necessarie attività di correzione della finanza pubblica a partire dall’agosto 2019.

Mi fermo qui perché, ripeto, molti penseranno che questi miei interrogativi se non sono banali forme di sciacallaggio sono, quanto meno, pure cattiverie nel raccontare e nel descrivere il vuoto politico e istituzionale che il “club Conte” ci ha regalato in tre anni, indossando vesti e comportamenti che, a mio avviso, effettuando una lettura dei Governi che si sono succeduti in 70 anni della Repubblica, non siamo in grado di trovare. In realtà, in questi tre anni la compagine di Governo era solo una sommatoria di ministri e non un organo capace di difendere davvero gli interessi del Paese, confermando in tal modo quel detto che recita: dieci incapaci messi insieme non danno vita ad uno capace. Tuttavia, dobbiamo ringraziare il professore Giuseppe Conte, perché in questi suoi tre anni di Governo ci ha fatto capire di nuovo la esigenza di riscoprire l’importanza della competenza e, al tempo stesso, ci ha fatto prendere le distanze dalla miriade di improvvisatori nati nell’arco di pochi anni proprio nel mondo delle istituzioni.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

http://www.opinione.it/editoriali/2021/02/08/ercole-incalza_conte-governo-sciacallaggio-def-eu-pd-burocrati-colao-taranto-infrastrutture/

Come la Grecia

Difatti basterà fotocopiare la famosa lettera a firme congiunte Draghi-Trichet che intimava agli italiani le obbligatorie misure improrogabili per ripristinare la fiducia degli investitori: “ revisione strutturale della pubblica amministrazione”, “privatizzazioni su larga scala” , di servizi, Welfare, istruzione,  “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali”;   “riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la contrazione dei salari”; “riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale e  criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità” e “riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali”.

Difatti basta pensare a lui come gran suggeritore  del “fiscal compact“  quella revisione inferocita del  patto di stabilità, cui le politiche di bilancio nazionali devono uniformarsi   per risultare credibili. Difatti basta guardare al suo ruolo nella guerra condotta contro la Grecia, quando la Bce tagliò i flussi di liquidità d’emergenza alle banche greche come vendetta per aver osato indire un referendum contro i diktat europei.

Il trailer dell’horror che ci aspetta è andato in onda, almeno non avremo sorprese.

Alzate gli occhi!

Storicamente è proprio questo ruolo di ponte che ha fatto le fortune dell’Italia e che l’ha resa l’area più ricca dell’occidente per almeno due secoli tra Medioevo e Rinascimento: questo perché non si tratta mai di semplice passaggio, ma della nascita di innumerevoli attività e di connessioni tecnologiche, di intreccio di saperi, di affari che potrebbero risollevare il Paese dallo stato miserevole in cui giace. Ma appunto questo è il ruolo che invece vuole avere la Germania, ancorché la sua geografia non la aiuti in questo e che farà di tutto, attraverso gli strumenti europei, non comparendo mai in prima persona, per evitare che ciò accada. In realtà società portuali tedesche stanno cercando già da ora di accaparrarsi lo scalo triestino tanto che la società che gestisce il porto tedesco di Duisburg, la Duisburger Hafen AG sta diventando azionista al 15 per cento della società che gestisce l’Interporto di Trieste, avendo comprato le quote da Friulia, la finanziaria regionale, la cui partecipazione allo scalo triestino scende così dal 47% al 32%. Basta un altro acquisto e i tedeschi saranno i padroni di fatto e allora sì che saremo tagliati fuori, le merci saranno gestite dai porti del nord Europa e passeranno addirittura attraverso la Slovenia. A Trieste rimarranno solo gli oneri, l’inquinamento e le cartacce. Tuttavia sembra che nessuno si renda conto di tali problemi che investiranno nel prossimo futuro anche altri scali e che gli unici a farlo sono proprio quelli che vogliono mettere i bastoni fra le ruote, dietro compenso , ovviamente. Ed è la stessa gente che organizza la politica.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2021/02/01/quellitalia-che-non-va-in-porto/