Fonte: Italicum
Il prossimo giovedì verrà siglato a Roma il cosiddetto “Trattato del Quirinale”. Macron e Draghi, alla presenza di Mattarella, firmeranno un misterioso documento sui cui contenuti nulla è dato di sapere. Perfino i membri del Parlamento sono stati tenuti all’oscuro. Ufficialmente si tratta di coordinamento in materia di politica europea ed estera, di sicurezza e di difesa, di politica migratoria, di economia, di scuola, ricerca, cultura e cooperazione transfrontaliera. L’assenza di informazioni ha fatto sorgere il sospetto che possa trattarsi della riedizione di quegli accordi bilaterali di Caen, del 2015, con il quale il Governo Renzi aveva tentato di cedere alla Francia acque territoriali dei mari di Sardegna, Toscana e Liguria che il Parlamento fortunatamente non ratificò.
Allo stato attuale, con l’insediamento del governo Draghi, di un governo di unità nazionale eurocrartico che governa con maggioranze bulgare, sarebbe assai difficile che un parlamento, ormai espropriato delle sue funzioni istituzionali, si possa opporre alla ratifica di un trattato con la Francia. Si aggiunga inoltre che sussiste tra Draghi e Macron una evidente affinità sia ideologica che politica.
Ora, sembra che gli amici dei francesi, molto numerosi tra i nostri politici – basti scorrere l’elenco dei decorati con la Legion D’Onore, in maggioranza del PD – siano tornati alla carica ed anche per le forti pressioni di Mattarella, ora si sia giunti alla vigilia della firma. Il deputato della Lega, Claudio Borghi, così come la Meloni, denunciano l’estromissione del Parlamento riguardo il contenuto del documento, mentre, il politologo Carlo Pelanda, sulla base delle indiscrezioni trapelate, paventa come questa firma sancirebbe “un’auto-annessione alla Francia, industriale e strategica.
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Un proverbio francese recita “cousinage fait mauvais voisinage” e c’è da temere che Draghi guardi con ammirata invidia e spirito di emulazione ai cugini d’oltralpe per realizzare l’auspicio del Giorgetti con la felice sintesi delle due autorità in un’unica incarnazione presidenziale. Quanto al reuccio, si sa che non perde occasione per un red carpet che metta qualche pezza a colori sulla sua immagine compromessa dalla resa alle proteste popolari, per rammentare un ruolo assunto da qualche tempo, quello di interpretare e capeggiare le richieste del gruppo latino-mediterraneo compatibilmente comunque con la corretta manutenzione della tradizionale asse franco-germanica.
Ed è evidente che tutti e due condividono la stessa ambizione, la leadership post carolingia del piccolo impero in declino orbato della Merkel, contattata telefonicamente durante il meeting forse su Wa, e segnato dai complessi di due personalità distruttive che guardano al loro tristo trionfo ergendosi sulle rovine comuni della gestione pandemica.
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