L’eccezionalismo americano

Più in generale nella visione politica generale degli Stati Uniti e nel riflesso della comunità strategica, esiste un quadro per pensare e agire che rimane legato alla specificità storica degli Stati Uniti e all’immaginazione nazionale caratterizzata da religiosità e sensazione di eccezionalismo. Questa rappresentazione penetra nelle pratiche sociali e politiche dopo lo sbarco dei primi coloni britannici nel 17 ° secolo che affermano, attraverso l’obiettivo della teologia protestante, il destino manifesto dell’America “citato sulla cima di una collina” e “nuova Gerusalemme”.

La nozione di destino manifesto legittimava i massacri della popolazione indigena tanto quanto l’espansionismo militaristico degli Stati Uniti, che rimane una costante che predomina nella storia americana. Come notato dallo specialista di strategia americano, Jean-Michel Valentin, esiste “una relazione profondamente singolare mantenuta negli Stati Uniti tra un habitus collettivo penetrato da una religiosità e una mitologia molto vivide e una relazione con la realtà che promuove l’uso di forme di violenza armata. La violenza deve quindi essere rigorosamente unilaterale: deve consentire di modificare, cambiare il mondo non americano, impedendo qualsiasi interazione che potrebbe consentire uno scambio di violenza, e quindi gli effetti reciproci della modifica.

Questa complessità è stata installata fin dalle origini della nazione americana ” [5] . Se non c’è differenza di natura tra il colonialismo europeo e l’imperialismo americano, “la costruzione della civiltà nordamericana, ma non canadese, obbedisce a una dinamica radicalmente diversa” a causa della prevalenza di utopia religiosa nelle rappresentazioni della nazione americana.

Cultura strategica
Questa riflessione è anche al centro delle analisi del ricercatore di geopolitica Alain Joxe [6] che evidenzia la differenza tra le culture strategiche europee e americane.

Se gli europei hanno avuto una concezione clausewitziana della guerra come continuazione della politica con altri mezzi, nella cultura strategica americana intrisa di fede nel destino manifesto, l’obiettivo non è più quello di sconfiggere un nemico, ma di distruggerlo con l’uso di una forza decisiva schiacciante. Jean-Michel Valentin vede in esso un “rifiuto fondamentale dell’interazione tra il sistema strategico americano e gli oggetti su cui esercita il suo potere”.

Basi militari USA circondano l’Iran

Questa concezione di guerra americana qualificata da Douxist [7] da Joxe, a causa dell’eccesso di potenza di fuoco, sta fondando contemporaneamente la strategia nucleare e l’apparato di sicurezza nazionale americano. Dall’uso della bomba atomica contro il Giappone che sta per capitolare nel 1945 all’uso su larga scala del napalm durante la guerra del Vietnam, la tecnologia viene sistematicamente mobilitata per distruggere l’avversario, minimizzando gli effetti di interazione strategica.

Certamente, i cambiamenti nel contesto strategico, sia attraverso l’affermazione degli attori transnazionali che la trasformazione della minaccia e la sua diffusione, hanno posto fine alla sistematizzazione della guerra per scopi assoluti, e con l’invasione dell’Iraq nel 2003, di fronte alla tenacia della resistenza locale, gli Stati Uniti sono stati coinvolti in un modo senza precedenti nel processo di distruzione della nazione.

Ma la logica del riconoscimento del nemico procedeva solo dalla sua irriducibilità per via militare e il risultato fu nondimeno la distruzione di uno Stato e quella di intere parti della società irachena. Secondo il sito web britannico Iraq Body Count, tra il 1991 e il 2003, l’embargo sull’Iraq ha provocato la morte di oltre un milione di iracheni, mentre almeno 122.000 sono morti durante l’invasione americana o durante le sue conseguenze. I documenti rivelati da WikiLeaks nel 2010 supportano la tesi secondo cui molte morti civili non sono state rese pubbliche.

Strategia ibrida
Con la fine delle guerre di occupazione e di fronte al “fallimento permanente” [8] degli Stati Uniti – che testimonia i limiti del paradigma strategico della rivoluzione negli affari militari per garantire la sostenibilità della loro egemonia in un contesto geopolitico trasformato dall’ascesa di nuovi poteri internazionali e regionali – Washington ha riconvertito il suo modello: il dominio imperiale mette da parte l’occupazione militare bruta e lascia il posto a una strategia ibrida in cui l’uso di sanzioni economiche prive di legittimità internazionale è diventata un’arma di distruzione di massa.

Quindi, nonostante questi adattamenti imposti dal nuovo contesto, la logica distruttiva che è stata al centro di tutte le pratiche e abitudini tradizionali del pensiero della società americana e dell’apparato di sicurezza USA si rinnova con la strategia delle pressioni attraverso l‘idea di una punizione collettiva contro un nemico demonizzato.

L’eredità strutturale dell’eccezionalismo americano proibisce qualsiasi resistenza all’ordine regolato secondo gli interessi di una “nazione eletta”. Perché ogni opposizione o volontà di cambiare con l’imposizione di nuove regole contribuirebbe a far lasciare alla nazione americana il suo eccezionalismo.

Non solo gli Stati Uniti rifiutano di “essere coinvolti in un processo di cambiamento a causa dell’influenza esterna” per usare la formula di Michel Valentin, ma respingono l’idea di un nuovo ordine mondiale che smetterebbe di essere strutturato in secondo i loro interessi strategici dominanti.

Nonostante l’inasprimento delle sanzioni e il pesante tributo economico, sociale e sanitario sopportato dalla popolazione iraniana, l’Iran continua a offrire l’immagine della resilienza e un ostacolo al destino provvidenziale degli Stati Uniti.


[1] Rapporto Human Right Watch intitolato “Massima pressione: le sanzioni economiche statunitensi violano il diritto alla salute degli iraniani”. URL: https://www.hrw.org/sites/default/files/report_pdf/iran1019sanctions_web.pdf , p 33-34

[2] Colin H. Kahl e Ariana Berengaut, “Afterschoks: The Coronavirus Pandemic and The New World Disorder”, 10 aprile 2020. URL: https://warontherocks.com/2020/04/aftershocks-the-coronavirus-pandemic- e-il-nuovo-disordine-mondo /

[3] “Chiamata transatlantica per facilitare il commercio umanitario con l’Iran a causa della pandemia di COVID-19”, 6 aprile 2020. URL: https://www.europeanleadershipnetwork.org/group-statement/elntip_iran_april2020/

[4] Camille Mansour, Israele e Stati Uniti o le basi di una dottrina strategica, Parigi: Armand Colin, 1995, 285 p.

[5] Jean-Michel Valentin, “Religione e strategia negli Stati Uniti”, revisione internazionale e strategica, vol. 57, n. 1, 2005, pagg. 103-114.

[6] In “America mercenaria”, America mercenaria, Parigi: Stock, 1992, e “L’impero del caos, le Repubbliche che si trovano ad affrontare il dominio americano nel dopoguerra”, Parigi: La Découverte , 2002.

[7] Prende il nome dal generale Giulio Douhet, comandante della prima unità aeronautica dell’esercito italiano, considerato il teorico del bombardamento strategico quantitativo con il tappeto di bombe. Terminologia usata da Alain Joxe nel suo libro L’Amerique mercenaire. Parigi: Stock, 1992.

[8] Formula usata da Alain Joxe nel suo libro The Wars of the Global Empire, Parigi: La Découverte, 2012.

Fonte: france-irak-actualite.com

Traduzione: Gerard Trousson

 

Vittoria in Francia, correità in Italia

httpmedia.radiocittafujiko.bedita.net4c7enuit-_4c7e0dcdb0b4ab48c8f1e9dfe1e85630nuit-debout_600x_e57f9a772331ae99a36651dc7d5ec78aLa notizia non è stata data con grande rilievo dall’informazione, ma in Francia la dura resistenza popolare alla riforma delle pensioni ha sconfitto il macronismo e i suoi valletti, facendo cadere l’aumento dell’età della “retraite” dai 62 ai 64 anni come era stato previsto dal governo. Il paragone con l’Italia, dove tutto, anzi molto di peggio è stato accettato con appena qualche mugugno, è impietoso. Anzi vergognoso perché non è possibile tollerare che tra i soggetti di maggior spicco a criticare la vittoria dei ceti popolari in Francia siano stati proprio i sindacati che hanno fatto loro gli argomenti padronali su una presunta insostenibilità del sistema pensionistico e che accusano i cugini francesi di aver sostenuto la lotta con gli scioperi a tappeto. E’ stato lo stesso Mario Monti a raccontare cosa fecero i sindacati nel “gelido dicembre 2011”, quando il suo governo presentò per decreto legge la riforma Fornero sulle pensioni: “L’abbiamo presentata, più che discussa, con i leader delle federazioni sindacali, che poi non hanno colto quello per fare una specie di rivolta sociale. Ci sono state, qualche settimana dopo, due ore simboliche di sciopero ma non c’è nessun Paese in cui una riforma così forte delle pensioni sia stata adottata così semplicemente dal punto di vista politico”. Naturalmente l’ex premier lo ha detto con compiacimento, come fosse una medaglia, ma ha lascia trasparire il disprezzo per i traditori.

Vittoria in Francia, correità in Italia

Miti e masse

Si chiede Marino Badiale “Perché la gente non si ribella?

A parte le ovvie difficoltà pratiche, abbiamo già avuto occasione di citare in questo blog l’origine del mito delle masse che si ribellano in Sorel; questo significa che, più dell’ignoranza, hanno potere su di noi (ci possiedono dice Fusaro) le fedi.

Qui bisognerebbe aprire un’ampia digressione sul pensiero mitico che non è assolutamente da considerare inferiore a quello c.d. scientifico (che può diventare, a sua volta, scientismo).

Il problema sorge quando, per varie ragioni, accettiamo qualcosa come postulato (ad es. il progresso storico o l’importanza del popolo) senza mai rimetterlo in discussione.

Infatti la maggior parte dei sistemi di controllo esercitati da chi ha o vuole il potere, non fa che rafforzare attraverso la propaganda (istituita originariamente dalla Chiesa Cattolica nel 1622) forme di pensiero pre-confezionate pronte da usare contro gli “avversari” (di solito fittizi, per sviare l’attenzione).

Tornando a noi, ormai abituati a vedere la realtà attraverso uno schermo (TV, computer, smartphone, LIM) non c’è da meravigliarsi della facilità con cui possiamo essere ingannati (e controllati) e della difficoltà di intrecciare normali rapporti umani; figuriamoci poi  fare la rivoluzione!

Si consiglia la lettura di Sherry Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri (anche in e-book a 10 euro) Vedi scheda su IBS

I mulini sul Po

Venerdì 18 maggio ore 16,30 IL PRESENTE REMOTO 2012

CHI VA AL MULINO S’INFARINA – Storia e immaginario dei Mulini natanti che stavano sul Po (e su molti altri fiumi padani)
Il presente remotoA cura di Roberto Roda, Centro di Documentazione Storica Comune di Ferrara
“Il Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, ha contribuito a mantenere viva la memoria degli opifici galleggianti, rimasti per secoli a punteggiare il medio e basso corso del grande fiume padano. Erano più di 250 all’inizio del XX sec., scomparvero tutti fra le due guerre mondiali. Dalle pagine bacchelliane, lette magari sui banchi di scuola, molti nati dopo la seconda guerra mondiale quando già i mulini natanti erano scomparsi, hanno tratto convinzioni non sempre esatte: per esempio che gli opifici galleggianti fossero una peculiarità del Po, che sia effettivamente esistito un mulino chiamato “Dio ti salvi”. Nella realtà storica i mulini galleggianti erano presenti su molti corsi d’acqua sia in Italia (Secchia, Adige, Sile…) che all’estero (Francia, Slovenia, ecc.). “Dio ti salvi”, poi, non era un nome (i mulini portavano di norma l’appellativo designante di un santo) ma solo una scritta, benaugurale, che molti opifi ci sfoggiavano invocando la protezione divina contro il pericolo (le piene del fiume, gli incendi…).
La conversazione di Roda cercherà in maniera divulgativa di chiarire lo sviluppo storico e tecnico dei mulini natanti e di quelli del Po in particolare e più in generale darà conto di quell’immaginario, ricchissimo e variegato, che le società tradizionali dell’Italia settentrionale hanno riversato sul mulino, sulla figura del mugnaio, sull’arte molitoria.