Guerre e terra

L’Ucraina se l’è comprata l’America

Sapete perché gli Usa mandano tante armi all’ucraina? Non per carità cristiana, siatene certi. Semplicemente perché 3 grandi multinazionali statunitensi hanno comprato da Zelensky 17 milioni di ettari di ottima terra.

Si tratta di CArgill, Dupont e Monsanto (la quale è formalmente germano-australiana ma di capitale statunitense). Il 5 per cento del terreno agricolo Ucraino è stato poi acquistato dallo stato cinese.

Per capire quanto siano 17 milioni di ettari, basti pensare che tutta l’Italia ha 16,7 milioni di ettari di terra agricola.

Insomma, tre compagnie americane si sono comprate in ucraina una superficie agraria utile più vasta dell’intera italia.

E chi sono gli azionisti di queste tre compagnie?

Sempre loro: Vanguard, Blackrock, Blackstone. Cioè le stesse tre società finanziarie che controllano anche tutte le banche al mondo e tutte le maggiori industrie belliche dell’universo.

Insomma, se la suonano e se la cantano.

Ecco perché mangimi (cargill e Du pont) e concimi (Monsanto-Bayer) hanno subito aumenti clamorosi sin da prima della guerra: perché sapevano già tutto, erano informati di tutto.

E sapete quando finirà la guerra? Quando le grandi compagnie finanziarie avranno smaltito il loro stock di armi facendole pagare a noi, europei idioti, già spremuti dalla stessa combriccola che nel frattempo specula su grano, riso, mangimi, concimi.

Gli organi di informazione pompano la guerra. Per forza, sono sempre di proprietà di Vanguard, Blackrock e Blackstone. E Biden vuole la guerra. Per forza: è stato eletto dai magnifici tre.

Aveva ragione Battiato: abbocchi sempre all’amo.

Ma poi, mi chiedo io, di tutti questi soldi che se ne faranno i soliti noti – Buffet, Soros, Gates – che delle tre grandi compagnie finanziarie sono i soci palesi e occulti? Mangiano forse bank’s guarantee ed hedge founds? Boh

Cto Conte su Facebook

Petrodollaro o petrorublo?

La terribile ed angosciante guerra sul campo viene affiancata da una guerra finanziaria avviata con le sanzioni ed il ricorso al sistema Swift per congelare la finanza russa che ora risponde con la richiesta di ottenere in rubli i pagamenti della sua energia , gas e petrolio, un miliardo di dollari al giorno . Si presenta il petrorublo accanto al petrodollaro nella guerra monetaria ?
Per capire la valenza di questa operazione funzionale a sostenere il rublo ma anche in modo incisivo ad un processo di dedollarizzazione unitamente alla Cina è utile ricordare la nascita del petrodollaro e del sistema Swift.
Il petrodollaro nasce nel 1973 unitamente allo Swift per sostenere il dollaro la cui stampa nel 1971 viene staccata dal sottostante oro creando un sistema monetario infinito basato sul dollaro ed a rischio di tempeste inflattive.
Il sistema fino ad allora in vigore era il “ gold exchange standard “ che legava la stampa di carta – moneta ad una determinata quantità di oro ( 36 dollari ogni oncia di oro ) definito negli accordi del 1944 a Bretton Wood per evitare tempeste monetarie . Fino al 1971 il sistema ha dato stabilità monetaria negli scambi internazionali , il dollaro valeva 630/4 lire , l’inflazione era bassa , il 4 % , così come il debito sul pil , 33%. Ma la guerra del Vietnam ed i disordini interni hanno obbligato gli Usa a stampare carta-moneta senza avere l’oro necessario per mantenere l’equilibrio così nel 1971 Nixon dichiarò unilateralmente la fine di quel sistema dando l’avvio alla rivoluzione finanziaria sempre meno controllata che ci avrebbe investito come uno tsunami.
L’immediato effetto fu l’innalzamento dell’inflazione per i volumi di carta-moneta stampata senza sottostante così per non fare la fine della Germania di Weimar del 1923 stroncata dall’inflazione era necessario creare fittiziamente la crescente domanda di dollari stampati senza sottostante. Gli arabi vengono convinti a farsi pagare il petrolio solo in dollari in cambio di protezione e si crea il petrodollaro saldato dal sistema Swift che vincola il sistema di scambi internazionali al dollaro . Il dollaro diventa la moneta globale di riferimento e le altre monete sono costrette a deprezzarsi ed ad accettare un ruolo ancillare.
L’evoluzione dei sistemi economici ha cambiato le condizioni che consentivano al dollaro un uso quasi esclusivo nelle transazioni finanziarie unitamente ma in misura ridotta anche per l’euro. L’evoluzione geopolitica ha rafforzato altre economie , la Cina per prima , che hanno progressivamente condiviso un progetto di dedollarizzazione per potere usare in alternativa le loro valute . Gli accordi sul tavolo riguardano lo scambio in valuta locale del petrolio tra Iran , Stati Arabi e la Cina che potrebbe pagare le forniture in yuan così come l’India con la Russia che possono regolare i loro scambi nelle loro valute . Va sottolineata , come già scritto su queste colonne ,la rincorsa all’oro di Cina e Russia per ritornare a dare un sottostante in oro alle loro valute , la Cina ha già emesso dei “ futures “ legati all’oro. La Cina e la Russia hanno già ridotto dal 90 % al 40 % gli scambi in dollari.
L’avvio di un sistema di pagamento legato a valute alternative al dollaro ne abbatte la domanda che serve a sostenere quella valuta e rischia di avviare un processo inflattivo , come si vede ora , unitamente ad una sua possibile svalutazione , l’oncia di oro vale più di 2000 dollari . Gli Usa , in questo modo rischiano di avere una minore domanda di dollari a fronte di un’offerta di dollari senza limiti ed è evidente che , qualora il processo di dedollarizzazione venga ulteriormente avviato il dollaro dovrà fare i conti con una sua crescente debolezza per la logica che determina l’equilibrio tra domanda ed offerta di moneta.
Come sosteneva Carl von Clausevitz la politica diventa guerra drammatica sul campo e monetaria nei mercati finanziari , le due guerre procedono sullo stesso piano creando uno disordine non solo nei principi di tutela della persone con la guerra sul campo ma anche con lo squilibrio nelle economie globali .

Fabrizio Pezzani in https://www.ariannaeditrice.it/articoli/dopo-il-petrodollaro-il-petrorublo

La Cina punta sul nucleare

Traendo ispirazione dalle tecnologie francesi e americane, ha acquisito una maturità industriale che le consente ora di progettare e costruire reattori entro scadenze che nessun Paese può più raggiungere (da 5 a 6 anni). Il loro costo annunciato, circa 5 miliardi di euro, è molto inferiore a quello di altri reattori di terza generazione nel mondo.

I reattori cinesi di terza generazione come Hualong-1 e CAP1400 equipaggeranno principalmente nuove centrali nucleari in Cina e forse altrove nel mondo. Attualmente si propone di equipaggiare la Gran Bretagna in parallelo con le EPR francesi. Il 1 ° febbraio 2022, Argentina e Cina hanno firmato un accordo per la costruzione di un Hualong-1 nel sito nucleare di Atucha vicino a Buenos Aires. Il finanziamento del progetto sarà in gran parte fornito da un prestito di un gruppo di banche cinesi. Dopo il Pakistan, la tecnologia dei reattori cinesi sta quindi mettendo piede in America Latina… L’arrivo di un quarto operatore nucleare in Cina (Huaneng dopo CNNC, CGN e SPIC) conferma il forte desiderio della Cina di accelerare lo sviluppo della propria flotta nucleare promuovendo la costruzione nazionale al fine di aumentare la propria indipendenza in un contesto di crescenti continue tensioni con gli Stati Uniti Stati. La Cina sta anche investendo in reattori autofertilizzanti di quarta generazione e combustibili nucleari al torio. Si occupa inoltre della costruzione di reattori ad alta temperatura (HTR) per la dissalazione dell’acqua di mare e l’eventuale produzione di idrogeno.

Teleriscaldamento nucleare  Inoltre, la Cina continua a promuovere la diversificazione degli usi nucleari attraverso la produzione di calore industriale e urbano da grandi reattori di potenza AP1000 (ad Haiyang), CAP1400, e anche con piccoli reattori SMR (Small Modular Reactor), soprattutto nell’entroterra. Diversi reattori dimostrativi SMR sono previsti per il teleriscaldamento e come centrali elettriche galleggianti. Le 9 novembre 2021, elle a inauguré le « chauffage nucléaire » de la totalité de la zone urbaine de la ville de Haiyang (200 000 habitants et 4,5 millions m2) qui devient ainsi la première ville entièrement à « chauffage zéro carbone » en Cina. Le 12 caldaie a carbone sono state sostituite senza alcuna modifica per i consumatori. Il calore del vapore (non radioattivo) estratto dopo la produzione di energia elettrica viene utilizzato per produrre acqua calda trasportata dalle tubazioni alle stazioni prima di essere distribuita ai privati. Anche un’altra città della Cina meridionale utilizza parzialmente il riscaldamento nucleare (460.000 m2 riscaldati e circa 4.000 abitazioni). Ci sono anche piani per il “riscaldamento nucleare” per altre città (Qingdao, Yantai e Weihai).

Il riscaldamento nucleare non è stato utilizzato in precedenza a causa della maggiore complessità tecnica e della redditività economica incerta. Ma i cinesi scommettono che sarà più redditizio che bruciare combustibili fossili… a lungo termine. Una visione a lungo termine del nucleare cineseOggi il prezzo del riscaldamento nucleare in Cina si avvicina a quello del carbone. Tuttavia, i prezzi dei combustibili fossili continueranno a salire a causa di fattori geopolitici e della mercificazione delle emissioni di carbonio (tassa sul carbonio). Tuttavia, se l’energia nucleare richiede un investimento iniziale elevato nella costruzione, il costo del combustibile nucleare rappresenta solo una parte molto piccola dopo la messa in servizio (dal 3% al 5% del costo di produzione). Il costo di esercizio delle centrali nucleari non è quindi influenzato anche se il prezzo del combustibile nucleare aumenta bruscamente come quello dei combustibili fossili. Pertanto, il costo della produzione di energia nucleare è stabile.

Mentre l’Europa ha scelto di spararsi sui piedi scommettendo sulle energie rinnovabili, non sul nucleare, la Cina sta facendo progressi nei settori dell’arricchimento dell’uranio, degli assemblaggi di combustibili nucleari, del ritrattamento, dello stoccaggio e dello smaltimento geologico del combustibile esaurito. In un contesto politico di riduzione del nucleare, sarà difficile per la Francia mantenere il proprio vantaggio tecnologico. Sarebbe saggio sviluppare la cooperazione con i partner cinesi per sfruttare un effetto a catena ed evitare lo stallo tecnologico perché la Cina sarà il leader mondiale in tutti i giacimenti nucleari tra 15 anni, e probabilmente anche prima. Nel 2021:Sono stati avviati 6 reattori nucleari e 4 sono stati collegati alla rete.14 I reattori Hualong-1 sono in costruzione o in funzione.

Forum economico eurasiatico

Prende il via nella città italiana di Verona il 14° Forum Economico Eurasiatico, che riunisce politici, uomini d’affari e personaggi pubblici di tutta Europa e Asia.

I partecipanti all’evento offline di due giorni dovrebbero discutere un’ampia gamma di temi riguardanti l’economia e la finanza, la sanità, l’ambiente, l’energia e le innovazioni tecnologiche. L’agenda del forum è rappresentata dal tema: “L’Eurasia nel suo cammino verso un nuovo ordine geopolitico, sociale ed economico: transizione verso una nuova economia incentrata sull’uomo”.

Il forum si apre con la sessione “Cambiamenti strutturali nell’economia e futuro dell’energia”. La prima giornata del programma è dedicata alla transizione energetica, all’economia circolare e alla green economy.

La seconda giornata prevede discussioni sull’impatto della pandemia sui settori bancario e finanziario, sull’innovazione tecnologica e sulla transizione digitale, nonché sul ruolo dell’industria farmaceutica nell’economia moderna e dibattiti sul superamento del modello neoliberista.

“Per due giorni a Verona personaggi di grande autorità internazionale discuteranno di come Oriente e Occidente possano collaborare per superare l’attuale situazione geopolitica ed economica”, ha affermato il presidente dell’Associazione Conoscere Eurasia e presidente di Banca Intesa, Antonio Fallico

XIV FORUM ECONOMICO EURASIATICO DI VERONA

Si naviga a vista

In effetti la transizione ecologica voluta sostanzialmente dalla Germania e dai suoi pesci pilota non tiene in minimo conto la differenza tra i vari Paesi dell’Unione e della diversa composizione dell’energia: c’è una grande differenza tra l’Italia che va gas, la Germania che va a carbone e rinnovabili, la Francia che va a nucleare. Oltretutto questi piani europei sembrano essere pensati e messi a punto da dilettanti: l’aver subito puntato sull’auto elettrica perché questo conveniva all’industria tedesca ha creato una richiesta di materiali che servono anche per l’allestimento per le rinnovabili  che cosi andranno incontro ad aumenti straordinari di prezzo, tali da impedirne la diffusione proprio ai livelli in cui sarebbe più utile. E questo senza parlare dell’effetto che l’aumento dei certificati di emissione avrà sull’agricoltura e quindi sui prezzi degli alimentari.

Ad ogni modo di fronte all’aumento strutturale delle bollette il governo cercherà di calmierare i prezzi utilizzando parte dei proventi delle aste dei certificati di emissione, ma qui siamo al classica situazione del serpente che si mangia la coda, perché quei proventi bisognerà in ogni caso recuperarli attraverso le tasse. Ormai si naviga a vista con un ponte di comando affetto da cecità. Che cosa farebbero senza quel toccasana della falsa pandemia e dunque della tirannide a progetto?

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2021/09/29/il-gas-ci-manca-inventiamo-balle/

Piano Italia 2030

Nel suo vasto curriculum, Draghi ha anche un dottorato al MIT (primo italiano) con Modigliani e Solow. Solow (Nobel ’87) è l’economista forse più noto nell’ambito della teoria della crescita che lega soprattutto al progresso tecnologico che incide sulla produttività, ritenuta la chiave della lievitazione. Ma successivi sviluppi teorici hanno aggiunto note sul capitale umano, sulle infrastrutture, sui quadri giuridici in cui opera la macchina economica.
Per sapere come Draghi pensava di applicare le sue convinzioni teorico economiche al caso Italia, basta leggersi le Considerazioni finali del Governatore di Banca d’Italia del 2011 quando lasciò l’istituto di palazzo Koch per andare a Francoforte. Da pagina 11 alla 16 è riassunta la diagnosi Draghi, quindi la prognosi. Si tenga conto che dieci anni al Tesoro (governi tanto di centrodestra che di centro sinistra) e cinque a Bankitalia, fanno di Draghi il miglior conoscitore possibile delle strutture dell’economia italiana sotto i profili fiscali, imprenditoriali, legislativi, strutturali, sociali e conoscere è la precondizione per cambiare tramite interventi coordinati. Draghi cioè è tra i pochissimi (forse l’unico) che conosce a fondo l’intero sistema anche perché la sua stessa definizione funzionale più precisa è -a mio avviso- proprio quella di funzionario di sistema. Un funzionario di solito al servizio di poteri vari che affollano il vertice del potere sistemico, oggi incaricato da Mattarella di esprimere per la prima volta in vita sua la sua visione in forma esecutiva, salvo via libera politico.
In breve, la diagnosi di sistema fatta a suo tempo da Draghi, era: 1) ottimizzazione della spesa pubblica esaminando problemi ed opportunità di bilancio “voce per voce” impiegando eventuali risparmi in investimenti strutturali; 2) riduzione tasse se c’è recupero di evasione fiscale; 3) se non c’è recupero di produttività i salari ristagnano e ne risente la crescita; 4) la produttività italiana ristagna perché il nostro sistema non si è ancora adattato all’evoluzione tecnologica ed alla globalizzazione; 5) non funziona la giustizia civile e questa mancanza di quadro normativo porta a perdere anche un punto di Pil oltreché sconsigliare investimenti esteri; 6) fino ad un altro punto percentuale di mancata crescita lo si deve al sistema educativo e formativo, soprattutto universitario e di livelli medi di scolarità tra i più bassi tra i paesi OCSE; 7) c’è poca concorrenza di mercato; 8) abbiamo una prolungata carenza di spesa ed efficienza di spesa nelle infrastrutture; 8) non sappiamo neanche impiegare a fondo e gestire bene i fondi europei; 9) si è scaricata tutta la flessibilità necessaria nel mercato del lavoro in entrata (contratti); 10) le sole contrattazioni nazionali sono tropo rigide ed impediscono patti aziendali locali tra lavoratori ed imprese; 11) scarsi supporti nei servizi sociali e non solo, deprimono la partecipazione femminile al mercato del lavoro creando un ulteriore freno allo sviluppo sistemico; 12) il sistema di protezione sociale deve esser in grado di sostenere chi perde un lavoro e ne cerca un altro aiutando così la vivibilità di un sistema in perenne trasformazione adattiva; 13) le imprese italiane sono piccole, famigliari, sottocapitalizzate, strutturalmente inabili al mercato globale.
Come in parte si vede nella recente composizione del governo, i ministeri – Tesoro, Giustizia, Infrastrutture, Istruzione – sono le chiavi necessarie per la trasformazione strutturale auspicata e quindi avocati a sé o a sue dirette emanazioni, quelli del Digitale e della Transizione ecologica sono più legati alla gestione dei fondi di ripresa europei, ma il primo è anch’esso infrastrutturale. Così per la delega per i rapporti con l’UE ed in fondo anche l’asse strategico degli Affari esteri.
Draghi ha poco tempo forse poco più di un anno. Ma l’obiettivo non è risolvere tutti gli italici problemi in un tempo impossibile, è impostare la struttura. Dopodiché come Presidente della Repubblica ha almeno altri sette anni per supervisionare lo sviluppo di quella struttura. Il PdR controfirma ogni anno la finanziaria e non sarà una passeggiata per i governi dei prossimi anni, far firmare paginette con tutto ed il suo contrario recapitate al Quirinale mezzora prima della scadenza. Draghi diventerà un vincolo interno più che il pareggio di bilancio in Costituzione. Draghi diventerà il garante del rischio o opportunità Italia almeno fino al 2030.

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/italia-2030

Giappone

Fonte: Thomas Fazi

Da oggi (16 settembre) il Giappone ha un nuovo primo ministro: Yoshihide Suga, presidente del Partito Liberal Democratico ed ex ministro degli affari interni e delle comunicazioni e segretario generale del governo negli esecutivi guidati da Shinzō Abe. Sotto la sua guida, possiamo essere certi che il Giappone continuerà a impartire lezioni di macroeconomia al mondo e a sfatare i molti miti che, ahinoi, continuano ancora a circolare in materia di deficit e di debito pubblico, soprattutto nella nostra disgraziata Europa.
Solo qualche giorno fa, nel corso di un’intervista, Suga ha dichiarato chiaramente che non c’è alcun limite al volume di titoli di Stato che può emettere il governo giapponese e dunque al rapporto debito/PIL del paese, che quest’anno dovrebbe raggiungere il 270 per cento (sì, avete letto bene). «L’unica cosa che conta in questo momento è migliorare le condizioni economiche: creare posti di lavoro e proteggere le imprese», ha aggiunto.
Suga si è limitato a enunciare una banalissima verità, che, però, in un tempo di inganno universale (soprattutto sui temi economici) quale quello che viviamo da anni, acquista una valenza quasi rivoluzionaria.
Detto molto semplicemente, per uno Stato che dispone della sovranità monetaria e che emette debito nella propria valuta, non c’è alcun limite intrinseco alla quantità di debito che esso può emettere, né in termini assoluti né in rapporto al PIL; non c’è alcuna “soglia” oltre la quale si va incontro a chissà quali conseguenze nefaste (giusto qualche anno due economisti di fama mondiale pubblicarono un celebre paper, poi smontato da un studente ventenne, in cui affermavano che il debito pubblico diventava un problema una volta superata la soglia del 90 per cento del PIL: in pratica il Giappone, con il suo rapporto debito/PIL del 270 per cento, dovrebbe essere messo peggio della Libia).
La verità è che uno Stato che rispetta le suddette condizioni – cioè che emette la propria valuta ed emette debito nella suddetta valuta – non potrà mai rimanere a corto di soldi, né potrà mai trovarsi impossibilitato a finanziare (e rifinanziare) il proprio deficit/debito, per il semplice fatto che, nel caso in cui non vi fossero investitori privati disposti a comprare i titoli emessi dallo Stato al tasso di interesse fissato da quest’ultimo – come dimostra il Giappone, lo Stato ha sempre il potere di determinare il tasso di interesse sui propri titoli –, la banca centrale può sempre intervenire per comprare i titoli essa stessa o per rimborsare i titoli in scadenza (quello che in gergo tecnico si chiama rollover) attraverso la creazione di denaro dal nulla.
Come viene riconosciuto persino in uno studio della BCE di qualche anno fa: «In uno Stato che dispone della propria moneta fiat, l’autorità monetaria e quella fiscale sono in grado di garantire che il debito pubblico denominato nella propria valuta nazionale non sia soggetto al rischio di default, nella misura in cui i titoli emessi dal governo sono sempre monetizzabili in modo equivalente».
Questo è esattamente quello che la Banca del Giappone sta facendo da anni (ma che in misura minore stanno facendo un po’ tutte le banche centrali). Oggi essa possiede quasi il 45 per cento di tutti i titoli di Stato emessi dal Giappone; considerando che la variazione nella quota di titoli detenuta dalla Banca del Giappone negli ultimi anni è aumentata molto più della variazione nel volume di titoli totali emessi, questo significa che la Banca del Giappone negli ultimi anni ha effettivamente finanziato per intero – o “monetizzato” – il deficit di bilancio giapponese.
In quest’ottica, risulta evidente come il debito pubblico, in un regime di cooperazione tra banca centrale e Tesoro, non sia altro che un debito che un ramo dello Stato ha nei confronti di un altro ramo dello Stato: un debito, in altre parole, che lo Stato ha nei confronti di se stesso e dunque, a tutti gli effetti, fittizio. Un debito, cioè, che esiste solo dal punto di vista contabile, ma che non comporta conseguenze di alcun tipo, a prescindere dalla sua entità, perché non deve realmente essere ripagato. Come riconosceva un economista tutt’altro che radicale come Luigi Spaventa già negli anni Ottanta a proposito della cooperazione tra Tesoro e Banca d’Italia che era la norma prima del “divorzio” del 1981: «Lo stock di base monetaria creata tramite il canale del Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente. Ciò si vede bene qualora si consolidi il Tesoro con la banca centrale: in questo caso manca un vero e proprio debito corrispondente alla base monetaria creata dalla Banca d’Italia per conto del Tesoro, e in ciò consiste l’essenza del potere del signoraggio».

Leggi tutto su: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-lezione-del-nuovo-premier-giapponese-non-c-e-vincolo-al-debito-emesso-da-uno-stato-che-dispone-di-sovranita-monetaria

Scade mercoledì

Ma sull’euro incombe la sentenza di Karsruhe:  la corte suprema germanica ha ingiunto alla BCE di  dimostrare che la “stampa” di moneta    che ha fatto Draghi  a suo tempo, e  quella forsennata  sta facendo la Lagarde  per salvarci  con il PEPP ( Pandemic Emergency Purchase Program)  è “proporzionata” e congruente ; e  di  dimostrarlo entro il 5 agosto. 

Entro mercoledì. Siccome la   BCE continua a stampare, la Bundesbank sarà obbligata ad obbedire a Karlsruhe ….   Smettendo di  partecipare all’acquisto  forsennato dei titoli pubblici. Senza la Germania, la zona euro sarebbe divisa di fatto in due. Cosa farà Weidmann?  Dopo tanto brontolare e minacciare  la BCE, restarci dentro e cooperare al PEPP, gli  è semplicemente impossibile. Come è impensabile che il banchiere centrale tedesco possa disobbedire alla  Corte Suprema tedesca.

IL 5 AGOSTO, FINE DELL’EUROZONA E’ POSSIBILE. E non se ne parla

Aspettando il 5 agosto

Sono gli stessi paesi detti “virtuosi”, come l’Olanda, quelli che applicano una politica di dumping fiscale per sottrarre agli altri gli investimenti delle grandi società estere. L’Italia è il paese più penalizzato che ha smesso di crescere da quando entrato nel sistema euro e arretra ogni anno nei suoi indici economici.
Risulta ormai evidente l’incapacità dei burocrati europei di trovare un via comune per uscire dalla crisi, prima di arrendersi di fronte all’evidenza, con l’effetto di distruggere una qualsiasi coesione sociale in Europa .
Appare inevitabile il fallimento di questa Unione fondata sulla moneta e sui grandi capitali, priva di una comune volontà politica e incapace di dare una risposta alle grandi sfide di questo tempo: sviluppo compatibile, lavoro, migrazioni di massa, difesa dei valori di civiltà che hanno contraddistinto la Storia Europea, preferendo la sottomissione alle centrali dominanti d’oltre Atlantico.
Da questa Unione Europea non ci aspettiamo niente di buono e ci auguriamo prossima la sua disgregazione prima di procurare ulteriori danni.

https://www.controinformazione.info/la-ue-definitivamente-incartata-nelle-sue-contraddizioni-cerca-di-salvare-la-faccia/

 

La spartizione

La spartizione in due zone monetarie è ineluttabile ed è già scritta. Molto dipende se la spartizione sarà consensuale o conflittuale, se si riconoscerà che l’euro è stato una moneta sbagliata e una rovina economica per molti.

La cosa grave è che in questa lotta finale, il governo di Gualtieri e Conte ci mette – col MES – dalla parte della Germania, invece che dove dovremmo stare, con la Francia i paesi del Sud, per una moneta più svalutata, salari migliori e ripresa economica sicura.

E ciò, mentre la Fed, “in nome della stabilità finanziaria,ha aperto 14 linee di credito swap e repo con banche centrali estere a cui fornire liquidità in dollari Usa; come sarebbe da fare in caso di uscita dall’euro di uno stato UE. Sarebbe un piacere per l’attuale governo USA aiutare membri della UE a evadere dall’egemone tedesco” (/Cochard)

Perché piddini e grillini fanno questa scelta, suicida anche per il loro elettorato?

Per Mauro Zanni, “ L’obiettivo è chiaro: visto che sanno che appena ci faranno votare li faranno sloggiare, preferiscono dare fuoco alla casa”.

Uno degli effetti collaterali del governo più meridionale della storia, sarà la spaccatura della nazione, col Nord che può “stare” nell’area tedesca come satellite, mentre il Sud no. “In Italia le cose vanno selvaggiamente”, chi lo disse?

Nel MES a forza, mentre l’euro implode