L’8 agosto, commandos di Kiev con mezzi corazzati hanno sferrato un attacco “massiccio” in due fasi per penetrare in Crimea, uccidendo due guardie di frontiera russe e ferendone due. Immediatamente, Norman Dzhelalov, un dirigente dei Mejlis Tataro, un organo dei tatari di Crimea di cui l’Occidente eccita il secessionismo, ha lanciato l’allarme su Facebook: “Grandi masse di materiale militare russo è stato concentrato fra Armyansk e Dzzankhoy” vicino al posto di frontiera aggredito – Nella speranza di una reazione armata russa. Speranza per ora frustrata. Quel che ha fatto Putin, a parte chiudere i passi fra Crimea e Ucraina, è stato quello di annullare la presenza russa ad una (ennesima) riunione a quattro per “adempiere Minsk: riunione con Francia e Germania, Russia ed Ucraina. Putin ha comunicato che dato il comportamento di Kiev, non vedeva alcuna utilità nell’incontro.
Come si apprende, l’attacco dell’8 era stato preceduto, la notte tra il 6 e il 7 agosto, da un tentativo di sabotatori che erano infiltrati oltre frontiera con esplosivo, granate, mine anti-uomo e armamento da forze speciali, per condurre operazioni di guastatori di infrastrutture; scoperti da agenti del FSB – nella sparatoria un agente russo è morto – questi hanno sventato il tentativo e arrestato i personaggi. Il loro capo, identificato come Panov Evgeniy Aleksandrovich, membro del GUR (il direttorato dell’intelligence) di Kiev, è stato catturato ed ha confessato.
La provocazione gravissima mirava quasi certamente a creare una reazione di Mosca. La coincidenza con le Olimpiadi di Rio – l’opinione pubblica futilmente distratta – ricorda che anche nel 2008, Olimpiadi di Pechino, la Georgia incitata dagli Usa e armata ed addestrata da Israele tenta l’occupazione del Sud Ossezia. Il presidente russo è a quel tempo Medvedev, e incerto attende Putin – che è a Pechino per i giochi – per reagire. La reazione sarà durissima e la Georgia disfatta. Nel 2014 è approfittando dei Giochi di Sochi che viene innescato il colpo di stato a Kiev, contando sulla obbligata passività di Putin; e anche allora ci sono stati cannoneggiamenti di posti di confine con lo scopo evidente di provocare una risposta russa e farla intervenire direttamente in Ucraina.
Non c’è dubbio che questa ultima irresponsabile provocazione è stata autorizzata da Washington, in perfetta consonanza con la frenesia delirante con cui certi circoli seguono la battaglia di Aleppo, rabbiosi per le perdite subite dai loro terroristi. Il clima è ben rappresentato dall ‘ ex direttore della CIA, Michael Morell, che ha progettato ad alta voce, in una intervista, di assassinare “russi e iraniani cin modo segreto, senza dirlo al mondo ma assicurandosi che Mosca e Teheran lo sappiano”; in qualche modo la dirigenza americana butta la maschera e dichiara alla luce del sole che l’assassinio è la sua pratica corrente, accettata bile. Morell è sceso in campo per appoggiare Hillary Clinton con tweets dove presenta così le sue benemerenze: “Ho guidato la Cia, difeso la tortura, ora sostengo Hillary”. Come il criminale all’ultimo stadio, non si rende nemmeno conto che in altre parti del mondo l’invito all’omicidio e la difesa della tortura da parte di un personaggio pubblico, possano suscitare orrore. Hillary Clinton del resto ha ben vantato l’assassinio di Gheddafi come suo merito: “Veni, vici e lui è morto”, ridendo. Per una deviazione psicologica che proviene dall’abitudine alla violenza e alla crudeltà impunita, sulla scena pubblica ci si può vantare di cose spaventevoli.