1917: il grande gioco americano

La fine del 1916 determina per gli Europei la conclusione di un processo evolutivo che si conclude con la perdita del controllo dei loro destini. Questa “perdita” avviene per tre ragioni principali.
In primo luogo, le promesse fatte dai belligeranti dei due blocchi alle potenze di secondo rango, per convincerle a entrare in guerra al loro fianco, hanno trasformato la conclusione del conflitto in una questione di sopravvivenza per diversi stati multinazionali (imperi austro-ungarico, ottomano e russo). In secondo luogo, la configurazione dei blocchi avversi compromette ormai ogni possibilità di pace separata. Da ultimo, qualsiasi nuova combinazione interna all’Europa sembra esaurita: una rottura dell’equilibrio delle forze non può condurre a un vantaggio decisivo per nessuno dei due schieramenti.
Di conseguenza, è a partire dal 1916 che i fattori esterni all’Europa prendono il sopravvento sui fattori interni; un fatto, questo, che determinerà l’intervento americano.

Le cause dell’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa sono note. Il 1° febbraio 1917 la Germania scatena la guerra sottomarina a oltranza allo scopo di far

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L’affondamento del Lusitania sancì l’ingresso degli USA nel conflitto

cadere l’Inghilterra nella carestia e nella crisi economica e di costringerla a chiedere la pace. Il 24 febbraio gli Inglesi comunicano agli Americani un telegramma cifrato che essi dicono di aver intercettato il 19 gennaio. In questo telegramma diretto all’Ambasciata tedesca in Messico, il Segretario di Stato tedesco agli Affari Esteri, Zimmerman, esprime la sua intenzione di proporre «una alleanza con il Messico. che potrà in tal modo riconquistare i territori perduti del Nuovo Messico, del Texas e dell’Arizona». Il 1° marzo 1917 il Presidente Wilson rende pubblico il telegramma, provocando un moto di indignazione. In tal modo egli riesce a modificare l’atteggiamento dell’opinione pubblica americana, fino ad allora in gran parte contraria all’ipotesi della guerra. Il 2 aprile 1917 il Congresso vota l’entrata in guerra contro la Germania e gli Imperi Centrali. Ma a causa della indisponibilità di un esercito adeguato alle esigenze e di una flotta per trasportarlo e rifornirlo, gli effetti militari di tale decisione non potranno farsi sentire prima di un anno.
Durante questo lasso di tempo, all’est, la Germania può rallegrarsi della destabilizzazione del suo nemico russo. L’8 marzo 1917 (febbraio secondo il calendario russo) scoppia una prima rivoluzione che si conclude con la rapida abdicazione (15 dello stesso mese) dello zar. Fra la primavera 1917 e il 1918 i Tedeschi non sono mai stati così vicini alla vittoria. Nell’aprile 1917, l’ammiraglio britannico Jennicoe informa l’ammiraglio americano W. Sims, inviato in Europa, che egli teme di non poter impedire il trionfo della guerra sottomarina. Ma quello che è peggio, la ritirata russa durante l’inverno del 1917, conseguente alla vittoria bolscevica, dà ai Tedeschi una superiorità numerica del 20% sul fronte ovest.

Nel momento in cui sulla scena della storia immense masse umane si autodistruggono, un piccolo numero di uomini radunati intorno al presidente statunitense Wilson e al governo inglese contribuisce a orientare le decisioni. Insieme alle motivazioni ideali, la potenza dell’alta finanza svolgerà un ruolo importante nel portare gli Stati Uniti in guerra.
Tre banche di New York concentrano la maggior parte degli interessi finanziari statunitensi: la Kuhn Loeb and Company, prima banca mondiale; la J.P. Morgan (estensione americana della Rothschild londinese); la National City Bank (banca della dinastia dei Rockfeller). I loro dirigenti sono Benjamin Strong per la Morgan, Frank A. Vanderlip e Cleveland H. Dodge per la National City Bank, Salomon Loeb e i fratelli Warburg e Schiff per la Khun. Ad alcuni di essi Wilson deve tutto: la carica di Governatore del New Jersey nel 1910 e la “distruzione mediatica” del suo avversario repubblicano William Taft nella corsa alle presidenziali. E’ anche grazie a essi che il principale consigliere di Wilson, il colonnello House, ha potuto organizzare, in quanto braccio americano della Tavola Rotonda (società iniziatica inglese di idee mondialiste, vicina agli interessi dei Rothschild a Londra, fondata, tra gli altri, da Sir Cecil Rhodes e Lord Alfred Milner ), il Council for Foreign Relations (uno dei più antichi Think tank americani), al quale appartiene un altro influente consigliere di Wilson, Justice Louis Brandeis, Presidente del comitato provvisorio sionista.

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Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti dal 1913 al 1921

Attraverso il Federal Reserve Act del 1913, Wilson ha dato a questi uomini ciò che essi attendevano da tanto tempo: una banca centrale per unificare il capitale americano. Ma il progetto degli “uomini del presidente” va ben al di là dell’unità del capitalismo a stelle e strisce. Si tratta in effetti di fare dell’America il motore di una nuova mondializzazione, fatto che implica la necessità di rompere con la regola del vecchio equilibrio di potenze e di favorire una riorganizzazione della geopolitica mondiale intorno alla finanza anglo-americana. Per alcuni si tratta anche di punire gli autocrati russi e di farla finita con l’aristocrazia austro-tedesca che ribadisce in ogni circostanza la supremazia del “guerriero” sul “mercante”.
Il 22 agosto 1914 il colonnello House aveva già lasciato intravedere i possibili sviluppi: «Se gli Alleati trionfano, è l’egemonia russa sul continente europeo. Se al contrario, la Germania esce vittoriosa, saremo per diversi anni sotto l’indicibile giogo del militarismo tedesco». Occorre dunque silurare da un lato la potenza russa e dall’altro la potenza tedesca.

Massimo Iacopi

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La loro agenda

di Claudio Messora – 29/07/2015

Fonte: byoblu

five-presidents

 

Jean-Claude Juncker, Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schulz. E’ “la banda dei Cinque che risolve ogni cosa“, come cantava Elisabetta Viviani. Jean-Claude fa il presidente della Commissione Europea, una setta tipo Scientology che se ci entri poi non ne esci più, perché è ir-re-ver-si-bi-le. Donald invece è a capo di un club esclusivo, paramassonico, che di tanto in tanto finge di riunirsi al Consiglio Europeo per depistare mamma e papà dalle vere riunioni, che vengono organizzate in qualche grotta segreta, dove si tirano delle gran pippe sui cataloghi del Postal Market e pontificano sul futuro del pianeta (tipo “eravamo 4 amici al bar, uno s’è impiegato in una banca”).

Jeroen ospita una cricca di commercialisti falliti, dediti all’usura, dove di tanto in tanto per svagarsi organizzano un torneo di freccette scagliandole contro il malcapitato di turno, tipo “la cena dei cretini“: lo chiamano Eurogruppo e l’ultima volta hanno invitato un certo Varoufakis. Inoltre, per hobby Jeroen presiede anche il MES, una baby gang che ti presta i soldi per le merendine e poi in cambio pretende che gli consegni tutte le biciclette. Mario porta avanti una zecca clandestina chiamata BCE e Martin è a capo di di un’assemblea condominiale fatta da centinaia di inquilini che non conta niente e decide ancor meno, ma litiga su tutto e costa tantissimo: a sfottò lo chiamano Parlamento Europeo.
Questi cinque signori (so’ ragazzi) si sono messi insieme e hanno scritto, di loro spontanea volontà e senza che nessuno glielo abbia chiesto, un’agenda con le tappe forzate che tutti i cittadini europei saranno costretti a seguire. Si chiama “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa“.

Completare Unione Europea

La relazione, c’è scritto, “rispecchia le deliberazioni e le discussioni personali dei cinque presidenti“. Adesso sono più tranquillo: temevo che riflettesse i desideri dei popoli. C’è anche scritto che “l’euro è una moneta stabile e di successo” e che “l’euro è più di una semplice valuta: è un progetto politico ed economico“. Il che avvalora le tesi di quelli che dicono che l’euro “è un metodo di governo“. Ma soprattutto, la relazione detta l’agenda dei futuri Stati Uniti d’Europa, passando per l’Unione economica, l’Unione finanziaria, l’Unione di bilancio e infine l’Unione Politica. E tutte queste unioni comporteranno “inevitabilmente un’ulteriore condivisione della sovranità nel tempo“. I cinque, che hanno calcolato tutto minuziosamente, hanno deciso che avverrà in due fasiconsecutive, di cui “i presidenti delle istituzioni UE seguiranno l’attuazione“, traducendo in “leggi e istituzioni” le idee presentate nella relazione, in “un processo che dovrebbe iniziare immediatamente“.

Fase 1 (entro il 30 giugno 2017):

  1. Unione Economica (Autorità per la competitività, Procedura per gli squilibri macroeconomici, Occupazione e performance sociale, Coordinamento Politiche Economiche);
  2. Unione Finanziaria (Unione Bancaria, Unione Mercati dei Capitali, Comitato Europeo per il Rischio Sistemico);
  3. Unione di Bilancio (Comitato consultivo europeo per le finanze pubbliche);
  4. Rafforzamento istituzionale (Rinnovo semestre europeo, Controllo parlamentare rafforzato, Cooperazione Parlamento Europeo e Parlamenti nazionali, Potenziamento Eurogruppo, Rappresentanza esterna unica della zona euro, Integrazioni nel Diritto dell’UE dei trattati sulla stabilità, coordinamento e governance);

Fase 2 (al più tardi entro il 2025):

  1. Unione Economica (Intensificazione Vincoli);
  2. Unione di Bilancio (Creazione di una funzione di stabilizzazione macroeconomica per la zona euro e convergenze verso strutture economiche analoghe nazionali);
  3. Controllo Democratico (Integrazione del Meccanismo europeo di Stabilità – il MES – nel diritto dell’UE, Istituzione Tesoreria zona euro);

Intanto Mario Monti (quello che “al riparo dal processo elettorale” è meglio) non sta con la mani in mano. Zitto zitto, dal 2014, guida una Commissione tutta sua, la “High level group on own resources“, con l’incarico di trovare nuovi modi di finanziare l’Unione Europea, che produrrà le sue linee guida nel 2016.

L’Unione Europea attualmente si finanzia nei seguenti modi:

  • TOR (Traditional Own Resources): alla UE vanno i dazi doganali sull’import, che sono raccolti dagli Stati Membri i quali trattengono il 20% per i costi di gestione, e i contributi che arrivano dal settore dello zucchero.
  • La UE raccoglie una percentuale (lo 0,3% medio dopo un’opportuna armonizzzione) sulla base IVA degli Stati Membri.
  • Alla UE va una percentuale dello GNI (il Gross National Income, in italiano RNL: Reddito Nazionale Lordo), in una misura che non può superare l’1,23%, di ogni Stato Membro;
  • Attraverso altre fonti di finanziamento, come gli avanzi dei bilanci precedenti, gli interessi bancari, le multe, gli interessi sui pagamenti arretrati, le contribuzioni di paesi extra-UE ai programmi europei e così via.

Questo grafico mostra quanto valgono le singole componenti di finanziamento nelle risorse complessive:

EU Budget Composition
Come si vede, la parte maggiore è rappresentata dalle contribuzioni sui redditi nazionali lordi dei singoli stati membri.

Ma il criterio della proporzionalità assoluta non vale per tutti gli stati membri: ci sono un certo numero di “correzioni” per alcuni paesi le cui contribuzioni sono considerate eccessive. La più famosa è quella del 66% per il Regno Unito, che è permanente. Ma poi, per esempio, c’è anche la Germania, cui tra il 2007 e il 2013 è stata scontata una quota di contribuzione IVA per lo 0.15%, insieme a Olanda (0.1%), Austria (0.225%) e Svezia (0.1%) perché considerate “contribuzioni eccessive“. E siccome questi sconti speciali impattano sulla riduzione del 66% al Regno Unito, quest’ultimo viene rimborsato di una quota pari al loro finanziamento. Non solo, tra il 2014 e il 2020 l’Olanda beneficerà di 695 milioni di euro di sconto sulla quota dovuta in base al Reddito Nazionale Lordo, la Danimarca di 130 milioni, la Svezia di 185 milioni e l’Austria di una quota progressiva che partirà da 30 milioni e scenderà a 10 nel 2016.

In virtù di queste “correzioni”, se consideriamo il reddito pro capite di ogni singolo stato membro nel 2013 e lo paragoniamo alla percentuale effettiva di contribuzione alle entrate dell’Unione Europea, salta fuori questo grafico:

GNI per Capita VS National Contributions 480

Come si può vedere, l’Italia ha un 1% di contribuzione sul suo reddito e la Germania meno dello 0,9%, nonostante il reddito pro capite tedesco sia stato di circa 10mila euro superiore.

Grafici inventati o presi da fonti discutibili, frutto di calcoli errati? No, dati pubblicati dal primo rapporto della Commissione di Mario Monti, il First Assessment Report, che deve valutare come finanziare la UE superando il meccanismo attuale. Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, manco a dirlo vuole un super commissario europeo, un vero e proprio Ministro del Tesoro della UE, ancora una volta non eletto da nessuno, mentre dalla Commissione Europea fanno sapere che “l’idea di una eurotassa è interessante e vale la pena esplorarla“, come riporta questo articolo del Corriere della Sera di oggi.

Padoan Serve Unione Fiscale

Sulla scia di Eugenio Scalfari, che dalle pagine di Repubblica ci fa sapere checessioni di sovranità urgono, politiche ed economiche“, anche il nostro Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan(ex direttore esecutivo FMI) ammonisce che “serve subito l’Unione Fiscale” (per poi tentare di indorare la pillola sostenendo che ci vuole anche un Parlamento europeo meno inutile).

La strada è segnata: la “banda dei cinque” ha deciso come e quando si prenderanno ogni residuo della nostra sovranità. Resta solo da vedere se, dopo la Grecia, i popoli glielo lasceranno davvero fare.

Nota: considerando che i popoli pensano solo a riempirsi la pancia, non vedo chi possa opporsi