di Emanuela SCRIDEL
ECONOMISTA – Esperto U.E. e Prof. Strategie Internazionali
Si è concluso nei giorni scorsi a Ufa, in Russia, l’ultimo vertice BRICS, che oltre a consacrare definitivamente la nascita della nuova Banca di Sviluppo (BRICS New Development Bank ) e a definirne le priorità, ha visto le cinque potenze emergenti firmare una serie di accordi intergovernativi e una Dichiarazione Finale. Le deliberazioni dei BRICS sulla situazione politica ed economica mondiale sono riflesse nel documento. I BRICS sottolineano la fragile ripresa della crescita mondiale e si dichiarano “preoccupati per le potenziali ricadute delle politiche monetarie non convenzionali delle economie avanzate” oltre a dichiararsi profondamente delusi dalla mancata ratifica del pacchetto di riforme approvate dal FMI nel 2010 che prevedeva la revisione delle quote fra paesi. Continuo anche il riferimento alle Nazioni Unite, al suo ruolo nel rinnovato contesto globale e alla necessità di una sua revisione “strutturale”. Nel documento si sottolinea inoltre l’obiettivo di rafforzare la cooperazione intra-BRICS, e l’intento di proporsi compatti verso l’esterno, così come evidente la volontà di investire nei paesi più poveri, Africa in primis.
E così mentre l’economia mondiale langue e l’Europa risulta sempre più marginale nei flussi internazionali a trainare l’economia mondiale paiono restare gli Emergenti. Sono percepiti dagli investitori internazionali come meno rischiosi rispetto agli Emersi, il che permette ai BRICS di essere a loro volta investitori: ma un doppio binario dei flussi non esiste. Gli Emergenti paiono aver deciso di giocare le loro carte fra loro. E il fatto che nella Dichiarazione di UFA vi sia l’obiettivo di un ulteriore rafforzamento della cooperazione economica intra-Brics fa indubbiamente riflettere, considerato che nel corso degli ultimi sei anni il commercio tra i paesi Brics è aumentato di oltre il 70 per cento raggiungendo i 290 miliardi dollari nel 2014.
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