La casa del vicino

La casa del vicino (in fallimento) è sempre più verde

Una stradina di periferia residenziale negli Stati Uniti. Una casa è stata pignorata dalla banca dopo la scadenza dei termini del riscatto ipotecario ed è vuota; la successiva, invece, è abitata da chi è riuscito a pagare i propri debiti fino all’ultimo, ma, grazie alle nostre predilette banche, è nei guai lo stesso.

Chi perde la casa finisce in miseria, si sa: ora deve pensare a mettersi un tetto sulla testa, ma al tetto di prima almeno deve pensare qualcun altro. Il qualcun altro dovrebbe essere la banca che ne ha acquisita la proprietà, se ne avesse voglia e tempo. Ma nell’economia di una grande impresa bancaria, una casa è un valore esiguo e non merita soldi di manutenzione; si provvederà alle riparazioni prima della vendita, con tanto di cartello “For Sale” davanti.

Il vicino di casa, però, ci perde. La casa abbandonata potrebbe essere facilmente presa d’assalto dalla piccola delinquenza e usata come covo notturno o altro, mettendo a repentaglio la reputazione del quartiere e quindi ribassando il valore delle case vicine. La lesione degli interessi è minima per la banca proprietaria è minima, ma massima per il vicino: la casa è molto probabilmente tutto quello che ha.

Il proprietario ha quindi interesse a interessarsi della manutenzione della casa vicina di proprietà della banca. Chiaro, può sempre tampinare le banca stessa, scrivere petizioni e farle firmare dai comitati di quartiere. Ma ne ha proprio il tempo? Ne ha la forza, dopo aver lavorato dieci ore per non perdere la propria reputazione di produttività? E poi, come risponderà la banca? Molto probabilmente, disinteressandosene del tutto: le case pignorate son tante, se ci si dovesse occupare di tutte…

Perciò ogni sabato il proprietario vicino tranquillo e adempiente presta l’estremo servigio alla banca che ha appena terminato di succhiargli tutti gli interessi possibili sul prestito immobiliare: si rimbocca le maniche, entra nella casa vicina, mette le tendine alle finestre, magari ri-tinteggia le pareti e rasa il prato di fronte per paura che la propria casa, a cui potrà usare le stesse attenzioni solo dopo, perda di valore. Un giorno la banca venderà la casa pignorata a un buon prezzo, dopo che il vicino l’avrà tenuta bene; ma al vicino non spetterà nulla: i servi non si ringraziano.

Corrispondenza di Andrea Malaguti

Simbolo e realtà

Angelo Morbelli (1853-1919)Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio1892Olio su telaCm 78 x 122Parigi, museo d'Orsay© RMN (Musée d'Orsay) / DR

Il Pio Albergo Trivulzio era un ricovero per malati e un ospizio per anziani. Morbelli comincia sin dai primi anni ottanta del XIX secolo ad interessarsi all’atmosfera di questo luogo raffigurando, a più riprese,da diverse angolazioni e con varianti negli effetti di luce, questo ampio salone. Ogni volta, tuttavia, l’artista inserisce nella sua composizione alcune figure di anziani che sono descritti con estrema minuzia.

L’originale di quest’opera è custodito presso il Musée d’Orsay, ma attualmente lo potete ammirare nella mostra sul simbolismo a Padova, di cui abbiamo già parlato in un articolo precedente.

Ma, come probabilmente molti di voi ricorderanno, l’ospizio raggiunse la notorietà con l’arresto del suo presidente Mario Chiesa, primo arrestato di Tangentopoli, il 17 febbraio 1992 (circa vent’anni fa).

Il terremoto politico seguente vide l’ascesa al governo di Giuliano Amato, noto per aver inventato,  tra le altre misure anti-crisi, il prelievo del 6 per mille dai conti correnti degli italiani, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992.

Considerando l’analogia con la missione dell’attuale governo, non vi sembra che il quadro del 1892  dia un nuovo significato all’espressione “giorno di festa”?

L'uovo del serpente

L’articolo di Franco Berardi Bifo, pubblicato su Micromega, si sta ormai diffondendo in rete e, come ha notato qualcuno su facebook la prima parte è una lucida analisi del presente e, come tale, la riportiamo:

In piazza del Quirinale la sera del 12 novembre una folla grida a perdifiato: “Galera galera”. E’ il popolo italiano, che vuoi farci. Feroce con i tiranni che paiono scivolare giù dal piedistallo, dopo averli adorati quando erano trionfanti. Ma questa volta il branco non è solo feroce, è anche stupido.

Credono che Berlusconi esca di scena, ma la verità è che stiamo assistendo al capolavoro finale di Berlusconi, che lui lo sappia o no, che lui abbia o meno l’energia e l’intelligenza per portare fino alla conclusione la sua avventura anarco-autoritaria. Se il povero vecchio mammasantissima non reggesse all’emozione e al cardiopalma ci sarà qualcuno che prenderà il suo posto, più giovane e più freddo, per condurre in tragedia quella che finora a ieri è stata una farsa costosa e pericolosa. Ricapitoliamo i fatti, per dissipare la nebbia auto-consolatoria scalfariana.

La Banca Centrale Europea ha mandato una lettera-diktat, anzi più d’una. Con l’arroganza del proprietario che esige obbedienza assoluta dai sudditi, chiede di rinunciare ai diritti sindacali, impone un rinvio dell’età pensionabile, esige la privatizzazione dei beni pubblici. Obbedienza assoluta all’indiscutibile forza dei numeri.

Berlusconi ha ricevuto la lettera della Banca Centrale Europea e ne ha fatto il suo programma. Ma avendo altro cui pensare, si è presto reso conto di non aver la forza per applicarlo. Ha quindi passato la mano allo zelante Napolitano e agli storditi faccendieri del centrosinistra. Hanno convocato un consulente della Goldman Sachs, un ragioniere della classe finanziaria di nome Mario Monti e l’hanno fatto santo. Suo compito è applicare il programma di Berlusconi con ferocia bocconiana.

Può darsi che il vanesio cavaliere non si renda conto ancora a pieno del suo trionfo, ma Bossi l’ha capito subito: Opposizione è bello. Ci rifacciamo la verginità e guidiamo il popolo contro la plutocrazia. E la voce della verità, l’innocente Scilipoti ha già cominciato ad attaccare la congiura giudeo-massonica. Scilipoti non usa queste parole difficili, ma il suo intervento alla Camera del 12 novembre è tutt’altro che stupido: mentre il governo Monti si affannerà a eseguire il programma che noi gli abbiamo lasciato in eredità, noi scateniamo la furia populista del nazionalismo antieuropeo. L’esercito di mafia, l’esercito razzista del nord, l’esercito dell’evasione fiscale e dell’abusivismo edilizio si preparano a dissotterrare l’ascia di guerra, che hanno seppellito negli ultimi quindici anni per la semplice ragione che avevano nelle mani le leve del governo.

Mentre i probi esattori fiscali della Goldman Sachs taglieggiano e privatizzano la società italiana, Berlusconi e Bossi si ripresenteranno alla testa di un’armata populista antieuropea.

E’ l’uovo del serpente, quello che stanno covando i probi consulenti della Goldman Sachs.

Nel 1992 il padronato italiano usò la crisi finanziaria e il crollo della prima Repubblica come occasione per attaccare l’organizzazione operaia e per imporre un modello di rappresentanza politica maggioritaria che favorisse la governabilità, cioè riducesse la democrazia e accelerasse i processi di privatizzazione e razionalizzazione capitalista. Una banda di onesti cretini si impadronì della scena per un po’ (chi si ricorda più di Mario Segni?).

Da quella fase di moralizzazione e razionalizzazione è venuto fuori Berlusconi.

Bravi, ottimo risultato. Negli anni ’80 Veltroni aveva detto di lui che era un uomo di sinistra.

Dopo la crisi del governo Berlusconi del 1994, quando era al governo e avrebbe dovuto colpire il monopolio di mafia della comunicazione, il centro-sinistra si accordò con lui per “non toccare le sue televisioni”, cioè per accettare con un accordo mafioso il regime di illegalità in cui Mediaset era nato e cresciuto (come rivela una successiva dichiarazione di Violante alla Camera).

Adesso si parla di crisi della Seconda Repubblica: è l’occasione per distruggere quel che resta della democrazia e soprattutto per sottomettere compiutamente la società all’azione predatoria della finanza.”

l’intero articolo segue al link http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/11/14/franco-bifo-berardi-la-caduta-di-b-e-luovo-del-serpente-di-goldman-sachs/

annotiamo che “L’uovo del serpente” è un film di Bergman del 1977 e deriva da un’espressione biblica del libro di Isaia

La crisi del 1929

Ben Pollack and his Park Central Orchestra – 1929 di redhotjazz

Oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, la crisi fu presto anche bancaria. Il fatto che le industrie non producessero, e che quel che producevano dovesse essere venduto a prezzi bassi, con minori profitti, e che gli agricoltori, per la caduta dei prezzi agricoli, fossero costretti o ad abbandonare la terra, o ad accontentarsi di un guadagno minimo, ebbe notevoli conseguenze sul sistema bancario. Sia l’industria che l’agricoltura erano seriamente indebitate con le banche. Nel periodo di boom, che aveva preceduto lo scoppio della crisi, queste banche avevano ecceduto nei prestiti, confidando non solo in una restituzione regolare, ma anche nel fatto che i risparmiatori non avrebbero ritirato i loro depositi, ed anzi li avrebbero accresciuti. La crisi mise in difficoltà molte banche. Compromesso dalla caduta delle vendite e dei prezzi, un numero crescente di imprese non fu in condizione di pagare i debiti alle scadenze, e intanto le banche erano premute dai loro depositanti che, spinti a loro volta da crescenti esigenze di liquidità, volevano la restituzione di tutto o parte delle somme depositate. Schiacciate tra l’incudine del mancato rientro dei prestiti e il martello dei depositanti che pretendevano la restituzione dei loro capitali, molte di queste banche furono costrette a chiudere i battenti trascinando nel fallimento altre banche collegate (e risparmiamo i numeri). Un esempio per tutti: nel dicembre 1930 fallì la Bank of the United States in New York city, che contava oltre 400.000 depositanti, ne fu danneggiato un terzo della popolazione di New York.

estratto da: http://web.tiscalinet.it/claufi/1929.htm