Le grandi aspettative alla prova dei fatti

Tuttavia, è importante sottolineare come questa narrazione sia spesso il frutto di una percezione indiretta e astratta di “mancanza di meritocrazia”, senza che le persone abbiamo sperimentato direttamente episodi di nepotismo.

Un aspetto fondamentale sottostante alle rappresentazioni positive dei paesi di destinazione e a quelle negative dei paesi di origine è che esse si configurano come una retorica generalizzata, condivisa egualmente da soggetti con alta e medio-bassa qualificazione, nonostante i vantaggi della migrazione, per questi ultimi, siano tutt’altro che scontati.

Le grandi aspettative che gli emigranti hanno non appena giunti nei paesi di destinazione trovano spesso un riscontro positivo tra quanti avevano già un’offerta di lavoro soddisfacente prima di emigrare. È questo un caso piuttosto comune tra i laureati, che prediligono canali istituzionali di ricerca del lavoro, soprattutto tra quanti avevano già avuto un’esperienza all’estero, ad esempio un Erasmus durante gli studi universitari. Ma in molti altri casi dopo la partenza non sono infrequenti esperienze di lavoro nell’economia informale, in settori poco qualificati e in condizioni di lavoro disagevoli. È questa una situazione molto comune tra i migranti con basso titolo di studio, per i quali svolgono un ruolo decisivo i contatti informali con amici e parenti che sono già emigrati in precedenza, sia nella decisione di emigrare che nella ricerca di lavoro una volta emigrati.

Tuttavia, anche occupazioni non migliori di quelle che i migranti a medio-bassa qualificazione avrebbero potuto trovare in Italia sono riviste alla luce della narrazione positiva che circonda i paesi di destinazione. Esse, infatti, sono interpretate come “utili esperienze” nella speranza di poter successivamente migliorare la propria condizione, in contesti come Londra e Berlino, ricchi di opportunità e in cui i datori di lavoro favoriscono il “talento”.

Per saperne di più

Gemm project – growth, equal opportunities, migration and markets

G. Assirelli, C. Barone e E. Recchi (2019). “You better move on”: Determinants and labor market outcomes of graduate migration from Italy. In International Migration Review 53(1): 4-25.

G. Ballarino, C. Barone e N. Panichella (2016). Origini sociali e occupazione in Italia. In Rassegna Italiana di Sociologia 57(1): 103-134.

C. Barone e R. Guetto (2016). Verso una meritocrazia dell’istruzione? Inerzia e mutamento nei legami tra origini sociali, opportunità di studio e destini lavorativi in Italia. In Polis 30(1): 5-34.

D. Coletto e G. Fullin (2019).Before Landing: How Do New European Emigrants Prepare Their Departure and Imagine Their Destinations? In Social Inclusion 7(4): 39-48.

I. Dimitriadis, G. Fullin e M. Fischer-Souan (2019).Great Expectations? Young Southern Europeans Emigrating in Times of Crisis. In Mondi Migranti 3: 127-151.

G. Fullin, E. Reyneri (2015). Mezzo secolo di primi lavori dei giovani. Per una storia del mercato del lavoro italiano. In Stato e Mercato 105(3): 419-468.

ISTAT (2021). Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente, 2019. Statistiche Report.

U. Trivellato (2019). Per troppi giovani la buona occupazione è diventata un miraggio. Evidenze da uno studio pilota. Neodemos.

Il Re è nudo

Che l’Europa fosse unita non lo abbiamo mai creduto: era solo un ben congegnato sistema di prevaricazione degli stati più forti su quelli più deboli “la diplomazia (e i trattati) costituivano la continuazione della guerra con altri mezzi”.

La cosa è diventata evidente con la Grecia, spolpata e invasa, e adesso con la questione migranti su cui condividiamo il pensiero di Eugenio Orso:

La mancata solidarietà europea, evidente in un’Italia che è stata lasciata sola ad affrontare l’”invasione” dal mare, non porterà all’uscita dall’unione per salvarsi. Chi si oppone è schedato come populista, fascista, razzista. Se Orban, in Ungheria, erige un muro allora è contrario all’accoglienza, è fascista e razzista, un vero bruto. Salvini tuona contro gli immigrati clandestini – per ragioni elettorali, di sondaggio e di consenso – e pur essendo sostanzialmente innocuo per il sistema, si dipinge come un mostro. Se lo fa Grillo, in procinto di tornare ai fasti televisivi allentando la presa su un cinque stelle utile solo al sistema, apriti cielo!

Il neocapitalismo ha “creato le condizioni” per spingere in Europa masse di disperati in fuga dalle ultime guerre, dalla barbarie sunnita (molto utile alle élite del denaro e della finanza), dalla devastazione cui è stata scientemente sottoposta buona parte dell’Africa. Dopo aver preparato il terreno – con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi – si tratta semplicemente di “scagliare la bomba” contro le popolazioni del vecchio continente, per vincerne le resistenze, modificare l’organizzazione sociale e la loro stessa composizione. Una formidabile iniezione di instabilità, miseria, disperazione priva di coscienza politica, che metterà la parola fine al vecchio ordine sociale e farà prevalere una nuova plebe senza pretese, gradita a questo capitalismo finanziario e dimentica di ogni diritto.

Leggi tutto su: http://pauperclass.myblog.it/2015/08/31/immigrazione-disperazione-arma-noi-eugenio-orso/

La cosa più divertente (si fa per dire) è la sortita dell’Inghilterra che accusa noi italiani di migrare là per lucrare sul loro favoloso welfare (ma guai se lo diciamo noi riguardo agli africani)!

Rallentano gli arrivi di stranieri per lavoro e crescono le partenze di italiani

Netti sono gli effetti della congiuntura economica negativa sui processi migratori e, più in generale, di mobilità. Il numero di iscrizioni anagrafiche dall’estero è sceso dalle 558mila unità del 2007 alle 307mila del 2013, mentre gli ingressi regolari di cittadini non comunitari (nuovi permessi di soggiorno), pur restando intorno alle 250mila unità all’anno, sono sempre meno legati ai motivi di lavoro e sempre più a quelli familiari (ricongiungimenti), all’asilo politico e a altre motivazioni. Questi cambiamenti nell’intensità e nelle modalità di ingresso degli immigrati stranieri fanno sì che la popolazione di cittadinanza non italiana residente nel paese sia cresciuta durante la crisi meno velocemente che negli anni precedenti, attestandosi al disotto dei 5 milioni di persone alla fine del 2013. Contemporaneamente alla riduzione dei flussi in entrata di cittadini stranieri si osserva dopo il 2008 un aumento consistente dell’emigrazione di italiani verso paesi europei che garantiscano prospettive economiche e lavorative migliori; si è accresciuta soprattutto la propensione ad emigrare all’estero dei più istruiti e dei residenti nelle regioni settentrionali. I dati relativi alla mobilità interna indicano anche la persistenza degli spostamenti lungo la direttrice Sud-Nord del paese.

http://www.neodemos.info/la-demografia-italiana-ai-tempi-della-crisi-e-sotto-la-lente-dellaisp/

Per chi suona la campana?

Gli esperti stimano che l’esodo dei portoghesi sia al livello di 100-120.000 persone all’anno. Analizzando le qualifiche e la fascia di età degli immigrati, sono giunti alla conclusione che coloro che se ne vanno sono principalmente lavoratori semi-qualificati che dispongono di mezzi sufficienti per affittare abitazioni all’estero, e possiedono un piccolo capitale per sopravvivere per qualche tempo senza lavoro. La popolazione più povera non emigra, ad eccezione dei rari casi dei ricongiungimenti con le loro famiglie.
I lavoratori qualificati sono una minoranza. Ad esempio, in Lussemburgo, dove il 19% della popolazione è portoghese, solo il 2% è costituito da lavoratori qualificati del settore finanziario e scientifico. Per lo più i portoghesi all’estero lavorano nell’edilizia, nelle utilities, nel settore alberghiero, nel commercio e nei servizi.
Nonostante i luoghi comuni, la maggior parte degli emigranti non è formata da disoccupati (la disoccupazione nel paese è al 17,5%), ma da persone insoddisfatte della propria vita. Vogliono avere la propria carriera, stipendi più competitivi, e status e riconoscimenti che non possono ottenere a casa. In alcuni settori, come quello medico, la situazione è catastrofica. Sia i medici che il personale ospedaliero stanno lasciando il paese. Questo è il settore in cui lo Stato spende una grande quantità di denaro nella formazione. Ad esempio, per formare un infermiere vengono spesi all’incirca 16.500 euro.
La maggior parte degli emigrati sono giovani in età riproduttiva, e questo provoca un calo della naturale crescita della popolazione. Secondo il programma nazionale di diagnosi precoce, nel 2011 il Portogallo, per la prima volta nella sua storia, ha toccato il livello più basso di natalità – 100.000 bambini.

Una storia di altri tempi

di Carlo Bertani

Ora che abbiamo chiarito la Geografia dei luoghi, dobbiamo fare anche un salto nel tempo per incontrare Bernardo P. (taceremo il cognome per non irritare qualche vivente) all’inizio del secolo. Il Novecento, ovviamente.
Bernardo si sente stretto in quel luogo gelido: lavorare tutta la vita nei boschi a fare il taglialegna? Oppure a rimestare corteccia di castagno nelle vasche della fabbrica di tannino? No, Bernardo ha coraggio ed inventiva: S. Giustina gli va stretta, l’America è là che aspetta ed un giorno s’imbarca da Genova su un “vapore”.
Una storia banale, come tante, all’apparenza: se non esistessero i cercametalli e le vicende nascoste nei meandri della terra.
Bernardo giunge in una New York in fermento: si costruisce di tutto, dalle case ai grattacieli, dalle gallerie ai ponti e non gli è difficile trovare un posto come manovale.
Così, lavora duramente nei cantieri con tanti altri italiani e mette da parte, come un certosino, le paghe settimanali perché Bernardo vuole tornare: al paese ha lasciato la fidanzata e, si sa, le fidanzate non aspettano troppo, rischiando di divenire zitelle nell’attesa di un evento lontano.
Un giorno come un altro trova un pezzo di giornale e riesce a capire che è in atto la più folle corsa del secolo: tutti vanno nel Klondike, su al nord, in Canada, perché lassù pare che l’Oro spunti come i funghi sotto i castagni e la gente si riempie le tasche.
Ci pensa, ci medita poi – tanto un lavoro da manovale si trova sempre, avrà concluso – parte.
Le giornate in treno sono lunghe e fredde: bisogna fare in fretta prima che l’Estate cali, che il gelo del Polo s’impadronisca delle foreste. E dell’Oro.
Giunge a Dawson una mattina di chissà quale anno e subito parte per le immense foreste dove, i fiumi che le attraversano, nascondono il sogno, l’incubo, la speranza.
Non sappiamo quanto tempo vagò per le foreste, ma Bernardo va “a correggere la fortuna” – come molti anni dopo un altro ligure, De André, avrebbe messo in bocca ad un viados brasiliano in Princesa, storie d’emigranti anche quelle – con determinazione, con coraggio, con convinzione. E trova, finalmente.
Cosa trovò e, soprattutto, quanto trovò è un segreto custodito ancora oggi dai nipoti: ma trovò qualcosa di consistente, al punto da convincerlo a tornare a New York e ad imbarcarsi nuovamente per l’Italia. Majin (Maria o Marina, in ligure) mica aspetta per sempre.
Tornato che fu, una notizia lo colse: l’arciprete di Albisola aveva messo all’incanto una collina, proprio dove sto posando i piedi oggi.
Albisola, all’epoca, era un grande, immenso orto che sfamava le popolazioni ben oltre Savona, fino a Genova con fagioli e zucchette, pomodori e peperoni d’Estate spinaci e cavoli d’Inverno, fave e piselli in Primavera, insalate tutto l’anno: “turismo” era un termine addirittura sconosciuto nella lingua dell’epoca. Al più, “viaggiatore”.
Le donne imbarcavano su delle specie di gondole (per remare da sole) le ceste di verdura e così attraversavano il breve braccio di mare che le divideva da Savona: la galleria l’avrebbe portata il fascismo. Gli uomini seguivano identici percorsi con la carbonella, per alimentare le cucine della città borghese oppure legna, vino e grano.
Ancora in tempi recenti (vale a dire a memoria degli attuali vecchi) veniva “U Biundin” (Il Biondino) dapprima con un cavallo e poi con un rombante e puzzolente autocarro da Genova, riempiva sacchi e ceste di fagiolini, fagioli, zucchette e le profumatissime pesche d’Albisola per il famoso mercato orientale di Genova (quello dove furono registrate le voci dei mercanti, al temine della canzone “Creuza de mä”).
Avere della terra, all’epoca, significava ricchezza: nessuno, allora, pensava alla speculazione edilizia semplicemente perché non esisteva.
Non sappiamo come Bernardo tradusse la pepita in denaro: immaginiamo lunghe trattative con gli orafi dell’epoca, obiezioni sulla purezza del materiale, contro-obiezioni con offerte subito proposte ad un altro orafo (così il primo veniva a saperlo) finché la trattativa ebbe buon fine e Bernardo incassò il denaro.
Quanto?
Non lo sappiamo, perché la famiglia custodisce gelosamente il segreto: quanto pesava la pepita?
L’unica risposta veritiera è che la pepita “pesava” quanto la collina che osservate nell’immagine: anzi, l’assenza del grandangolo la penalizza un po’, perché s’estende ancora verso destra. Non dobbiamo, però, fare valutazioni col metro odierno: all’epoca, era terreno agricolo e basta.
Passarono gli anni e nacquero i figli, tanti: sulla collina si coltivava ogni metro quadrato e, da Novembre in poi, si spremevano le olive e si faceva l’olio con il procedimento antico, vale a dire macina a pietra e torchio. Mica viti senza fine e centrifughe, come oggi.
Man mano che i figli crescevano e si sposavano si costruiva una casa: tutto fatto in famiglia, ovviamente, perché il legname veniva dai boschi di S. Giustina, la sabbia e le pietre dal fiume.
Poi venne la guerra che sfoltì un poco il gruppo dei fratelli: Russia ed Albania vollero il loro tributo di sangue e Bernardo questa volta pagò per la Patria, per il Duce e per il Re ed Imperatore, di un Impero che si dissolveva come neve al sole sotto i colpi delle armate britanniche.
Tutto finì e, sulla collina, si contarono i sopravvissuti e si ridistribuirono le case, prima di farne altre: uno dei figli volle tentare l’avventura paterna – questa volta in Argentina – ma non ebbe egual fortuna: finito nel turbine dell’instabilità politica argentina del dopoguerra, tornò con la coda fra le gambe dal padre senza un soldo, con una moglie dai tratti indios ed una vagonata di figli che parlavano spagnolo.
Majin, negli ultimi anni di vita, quando Bernardo se n’era già andato, osservava la collina coi suoi figli nelle loro case che s’industriavano nell’Italia del “miracolo economico”: chi scelse di lavorare come muratore, andava per sei mesi all’estero poi tornava e raccontava storie incredibili di tigri ed elefanti. Portava alla moglie una scatoletta di legno di sandalo e questa ricambiava: quando il marito ripartiva, il pancione era già bello tondo.
Chi invece s’inventò le attività più strane: uno, addirittura, varò una piccola fabbrica di varechina. Poi il solito: muratori, idraulici, falegnami…quindi i figli crebbero ed i genitori se n’andarono anch’essi…ed oggi chi fa un mestiere sopravvive, chi ha scelto una laurea ha dovuto emigrare. Se è stato fortunatissimo Genova, solo fortunato Milano o Torino…per gli altri…Colonia, Dusseldorf, Parigi…l’Oro della collina torna ad espandersi per il mondo.
Bernardo viene appena ricordato dai nipoti, i pronipoti non sanno più che faccia avesse se non quella della foto sulla lapide, al cimitero, e di Majin si ricorda una frase che è lo stereotipo delle madri italiane. Guardava la collina, Bernardo e poi, pensando ai figli, sospirava: «Mia, Bernardu, se i tegnimmu come i sun» (Sai, Bernardo, ce li teniamo come sono).
La collina, per ora, ha resistito all’attacco dei banchieri: si difende con l’auto-produzione come solo il popolo italiano sa fare, usando i soldi di stipendi e pensioni solo per pagare le mille gabelle che li taglieggiano. Intanto, si contano i chili d’olio ed i quintali di patate, come un tempo: roba vera, che ti fa vivere, non fuffa.
Questa storia è dedicata ai vecchi politici, perché si vergognino d’aver sodomizzato gente del genere ed ai nuovi, quelli di Grillo – che imparino qualcosa – prima di pensare subito alla notorietà ed ai talk-show.