Eurocrati

L’eurocrazia, prossima allo sfratto elettorale, ha attaccato violentemente il premier Conte e l’Italia. Socialisti, liberali e popolari, in un’aula semivuota, hanno messo sotto processo il presidente del Consiglio italiano al suo esordio alla plenaria dell’Europarlamento. Conte, agli occhi dei suoi scomposti accusatori, ha avuto la colpa di aver sferzato l’Europa, esortandola ad essere vicina ai popoli e puntare su occupazione e crescita.

Il più violento nel bastonare l’Italia, è stato il leader dell’Alde ed esponente del gruppo Spinelli, il fiammingo e russofobo Guy Verhofstadt, ex direttore del fondo pensionistico olandese APG e della holding Sofina, fondata nel 1898 a Bruxelles con capitale tedesco e statunitense. Verhofstadt, leader dei VLD (Liberali e Democratici Fiamminghi Aperti), tutt’altro che un partito di massa, si è spinto molto oltre, perdendo il decoro e la misura: “Mi domando per quanto sarà un burattino mosso da Salvini e Di Maio”, ha tuonato contro il premier.

Dura e decisa la replica di Conte che, per la prima volta, ha abbandonato la sua proverbiale calma, bacchettando il fiammingo: “Non sono un burattino, forse lo è chi risponde a lobby e comitati d’affari”. Le logiche dell’europarlamento plasticamente rappresentate dall’inversione ad “U” del presidente del gruppo Ppe Manfred Weber che ha addossato al presidente del Consiglio italiano la mancanza di crescita economica, dopo aver definito poco prima “buono” il bilaterale con lui.

“Che alcuni burocrati europei, complici del disastro di questi anni, si permettano di insultare il presidente del Consiglio, il governo ed il popolo italiano è davvero vergognoso. Le élite europee contro le scelte dei popoli. Preparate gli scatoloni, il 26 maggio i cittadini finalmente manderanno a casa questa gente”, ha affermato il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, replicando al “gemello siamese” di Daniel Cohn-Bendit.

Se le parole di Guy Verhofstadt sono gravi, più gravi ancora sono gli applausi degli europarlamentari di Pd e FI. Il fiammingo ha offeso non solo Conte ma tutta l’Italia. Per i soliti noti di “La Repubblica”, in evidente visibilio, il capogruppo degli ultraliberisti dell’ALDE, è diventato addirittura il Parlamento Europeo nella sua totalità.

Il ragionamento degli oppositori dell’esecutivo gialloverde è facilmente sintetizzabile. Il governo italiano critica la politica francese in Africa e incontra alcuni esponenti dei gilet gialli? E’ un’indecenza e una grave ingerenza negli affari di uno stato estero. E via con gli “io sto con Emmanuel Macron” e lo sventolio di bandiere francesi.

Un burocrate europeo insulta il Primo Ministro italiano e auspica pubblicamente un cambio di governo? Bene, bravo, bis. E bandiera dell’Ue in bella mostra.

Poi arrivano le urne e sono pernacchie, manrovesci e prefissi telefonici.

Dovrebbe essere ormai chiaro come certi partiti e la carta stampata di riferimento tifino spudoratamente per chiunque si scagli contro il governo in carica, a costo di scivolare nell’auto-lesionismo.

Chi nelle ultime settimane sta mettendo a rischio l’integrità del governo gialloverde, immaginando maggioranze parlamentari diverse da quella attuale, farebbe bene a riflettere attentamente sul da farsi. Lega e M5S sono considerati corpi estranei ed ostili da chi conduce le danze a Bruxelles e dalle quinte colonne in servizio permanente effettivo nel nostro Paese.

Il “dopo” sarebbe con molte probabilità una riedizione del nefasto governo Monti, con annessi e connessi.

Fonte: L’opinione pubblica in https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61609

Nuovo ordine mondiale: Bce e Nato senza vergogna

Così il presunto strumento di pace tiene in piedi la propria mutazione oligarchica con la guerra e con il conflitto, con il totale asservimento al Washington: a questo piunto è inutile nasconderlo, è meglio tenere insieme le percorelle smarrite non con la speranza di un pascolo che non c’è più, che è stato devastato dal latifondista, ma con la paura dei lupi.

il Simplicissimus

14_dottor_stranamore_640-480_resizeNon sono sono passate nemmeno tre settimane dal voto sul Brexit e già si va delineando per accenni, ma in maniera inequivocabile la risposta delle oligarchie continentali e statunitensi allo choc subito al referendum: un trauma non tanto dovuto alll’uscita dalla Ue di una Gran Bretagna già ampiamente ai margini dell’unione, ma al fatto che per la prima volta siano stati contestati con successo i meccanismi , le cinghie di trasmissione istituzionali del potere reale, che il dominio dell’informazione sia apparsa potente, ma non onnipotente, che la gestione dell’emotività (vedi assassinio della Cox) abbia mostrato dei limiti.  La linea di azione principale non sembra essere quella di rischiosissima di delegittimare il referendum, di ripeterlo o di imbastire quale trucco per renderlo inefficace: questo può soddisfare la rabbia di oligarchi di secondo piano come Juncker o quella dei cortigiani burocrati di Bruxelles, inviperiti per la ricomparsa del popolo e atterriti da un voto che presenta…

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