Eurocrazia

Non essendo riuscito in Italia il programma di smantellamento della Costituzione, programma tentato da Matteo Renzi, sponsorizzato dalla grande Banca internazionale JP Morgan, bloccato da un referendum popolare, i grandi potentati finanziari oggi hanno una seconda opzione con il portare l’Italia in default tecnico e chiederne il commissariamento ed affidamento alla Troika.

Già pronti sull’uscio gli ispettori del FMI che si preparano ad intervenire con un governo tecnico di emergenza, magari nominato da Mattarella per traghettare l’Italia verso la dittatura finanziaria.

Coloro che ancora pensano in buona fede che l’Unione Europea sia una Istituzione creata per favorire gli interessi delle popolazioni e favorire la democrazia, la pace e la libertà, si devono oggi ricredere, la UE è stata costruita per favorire un’ élite di potere che potesse governare, non solo senza partecipazione popolare, ma soprattutto contro la volontà popolare, ritenuta incapace di comprendere i meccanismi austeri della politica e della finanza.

Per questo obiettivo si sono alleati i potentati finanziari  transnazionali con la sinistra globalista ed il vecchio centro destra, tutti uniti per affondare l’esperimento giallo/verde, approfittando delle sue contraddizioni.
Si provvederà dopo al cambiamento della costituzione, considerata ancora troppo socialista, troppo sovranista con quel suo prevedere che la sovranità appartiene al popolo e la preminenza del diritto al Lavoro rispetto alla stabilità dei mercati e della finanza.

“Oggi i tempi son cambiati, son venuti l’alleati”, si canticchiava nel dopoguerra ed oggi, quella canzonetta ritorna di moda, si poteva prevedere.

https://www.controinformazione.info/luomo-del-colle-si-prepara-a-dire-no/

Botta e risposta

di  Luciano Lago

La bocciatura della manovra presentata qualche giorno fa dal governo italiano a Bruxelles non era stata inaspettata ma anzi era stata già in certo qual modo anticipata dal commissario europeo, Pierre Moscovici, ancor prima di ricevere la lettera da Roma.
Si sapeva che alla Commissione Europea (CE) non andava giù che il Governo italiano avesse disatteso le raccomandazioni della Commissione e avesse operato di testa propria, con l’aumento della spesa di qualche punto di 0,.. causato dai provvedimenti quali, reddito di cittadinanza, abolizione della riforoma Fornero, Flat Tax (per quanto limitata )sanatoria e altri provvedimenti.

Il ministro Salvini ha risposto alla bocciatura: “E’ una decisione che fa irritare ancor di più gli italiani. Bruxelles sta attaccando un popolo, non un governo”, ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Altrettanta grinta e determinazione ha dimostrato anche il vicepremier, Luigi Di Maio : “Non ci arrendiamo, andiamo avanti”. Hanno risposto bene, non si possono avere dubbi.

Tuttavia non bisogna cadere nell’equivoco di pensare che, fra la CE e il governo giallo/verde, si sia aperta soltanto una lite per questioni puramente contabili o di difforme visione dei dati di bilancio. Al contrario la vera questione è quella che la manovra del governo italiano (con tutti i suoi limiti) rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto ai canoni stabiliti della dottrina neoliberista praticata dalla CE e dagli organismi europei sulla base dell’austerità, della riduzione del debito pubblico e del ridimensionamento dell’intervento dello Stato nel sistema economico.

Il fatto che il governo italiano abbia varato una manovra economica espansiva che punta prioritariamente l’incremento della domanda interna privilegiando interventi sulle fasce disagiate della popolazione (reddito di cittadinanza) e riduzione di imposte alle piccole imprese (Partite iVA), questo è considerato lo strappo più pericoloso in quanto rischia di costituire un precedente per altri paesi e mette in pericolo la stabilità delle banche estere (francesi e tedesche) che detengono i titoli del debito italiano.

Jean Claude Junker presidente Commissione Europea

Gli interessi in gioco sono enormi per la grande finanza che lucra enormi profitti sul debito italiano, visto il sistema penalizzante di aste pubbliche delle emissioni sui mercati internazionali che fruttano interessi cospicui alla speculazione finanziaria. L’Italia, non avendo né una moneta né una banca centrale propria, deve rifornirsi di denaro sui mercati finanziari e deve continuare a pagare alti interessi sul debito e sul rifinanziamento del debito. Normale che i grandi potentati finanziari non vogliano mollare l’osso e tanto meno permettere che l’Italia cambi il suo sistema, magari ricorrendo a risparmio nazionale e emettendo titoli garantiti da una organismo pubblico (Cassa Depositi e Prestiti) che farebbe da garante o prestatore di ultima istanza.

Leggi tutto su https://www.controinformazione.info/lattacco-della-commissione-europea-allitalia-include-il-ricatto-e-la-minaccia-di-sanzioni/

Debito pubblico e debiti privati

Di Simon Black, 11 ottobre 2017

Il motivo per cui c’è stata la grande crisi finanziaria è che Wall Street stava concedendo mutui per comprare la casa anche a persone che non potevano permetterseli.

Fino alla esplosione della crisi, gli investitori erano voracemente affamati di debito garantito da ipoteche immobiliari con rating “AAA”. E così le società finanziarie concedevano molti prestiti anche a mutuatari a rischio (“subprime”) per poi rivenderli a Wall Street. Wall Street ne impacchettava tanti insieme e una delle agenzie di rating più importanti (come Moody’s o Standard & Poor’s) certificava questi mucchi di rifiuti fumanti con una AAA.

AAA secondo la definizione di Moody significa che l’investimento “dovrebbe sopravvivere all’equivalente della Grande Depressione degli Stati Uniti”. In altre parole, è solido come la roccia.

Il ragionamento era questo: un singolo mutuo subprime è in effetti rischioso. Ma se si mettono insieme i mutui di migliaia di persone, a questo punto il pacchetto può ottenere un rating AAA. Perché non è possibile che non rimborsino il prestito tutti quanti. E poi, bè, sul mercato immobiliare i soldi non vanno mai perduti…

In realtà però le agenzie di rating non erano così stupide come sembravano … Le indagini effettuate dopo la crisi hanno mostrato una quantità di email incriminanti, come questa, di un dirigente di Standard & Poor’s:

“Signore aiuta la nostra fottuta truffa… questo deve essere il posto più stupido in cui ho mai lavorato “.

Come tutti gli altri, stavano al gioco perché volevano fare soldi.

Per generare ipoteche sufficienti per soddisfare la domanda, i finanziatori avrebbero fatto di tutto…

– Vendere una casa senza chiedere il minimo anticipo in contanti.

– Offrire tassi di ingresso trappola (con rate mensili temporaneamente più basse, che nel giro di qualche tempo però si adeguano alle tariffe di mercato).

– E persino offrirsi di pagare parte del mutuo per un paio di mesi (la maggior parte dei piccoli istituti di credito era in grado di rivendere il prestito a Wall Street nel giro di un mese o due, cancellando così la loro responsabilità: se le commissioni sul prestito erano superiori alle loro spese, ci guadagnavano comunque).

I peggiori prestiti subprime erano soprannominati “NINJAs”, che stava per “No income, No job, No assets” (Nessuna entrata, nessuno stipendio, nessuna garanzia).

Quando non furono più in grado di emettere sufficienti mutui per soddisfare la richiesta, a Wall Street sono diventati creativi. Hanno cominciato a impacchettare pacchetti di ipoteche, che venivano chiamati ”CDO (Collateralized Debt Obligation) al quadrato” (CDO aventi come garanzia altri CDO, ndVdE). Quindi hanno creato “CDO sintetici”, che erano solo derivati ​​di altri mutui subprime e di altri CDO (essenzialmente un
modo per le persone di giocare sul mercato dei mutui senza che ci fossero dietro nuovi mutui reali).

Come tutti sappiamo, è finita a disastro… perché le persone che avevano sottoscritto i mutui benché non potessero permettersi di acquistare case costose hanno smesso di pagare le rate. E i CDO, i CDO al quadrato e i CDO sintetici (che erano stati diffusi in tutto il mondo) hanno fatto bancarotta.

Ma ricordiamolo: tutto è iniziato con la vendita di case a persone che non potevano permettersele.

Il che mi riporta a oggi…

Negli Stati Uniti il debito contratto dagli studenti ha raggiunto un livello record, pari a 1,4 trilioni di dollari. E i millennials stanno facendo fatica a pagarli.

L’Associazione Nazionale degli Agenti immobiliari ha svolto un sondaggio tra 2.000 millennials tra i 22 e i 35 anni sul debito contratto per studiare e la proprietà della casa… Solo il 20% degli intervistati possedeva una casa… Degli 8 su 10 che non la possedevano, l’83% ha affermato che la ragione era il debito contratto per studiare. E l’84% ha risposto che avrebbe dovuto rinviare l’acquisto della casa per diversi anni (la mediana era sette anni).

E questo è un guaio per l’attività di vendita immobiliare. Ma, di nuovo, i finanziatori stanno diventando creativi …

L’impresa edilizia di Miami Lennar Homes ha recentemente annunciato che avrebbe pagato una grande parte del prestito studentesco per qualsiasi mutuatario che comprasse una casa da loro.

Attraverso la sua controllata Eagle Home Mortgage, l’azienda si farà carico di una quota del prestito studentesco dell’acquirente, pari a ben il 3% del prezzo di acquisto della casa, fino a 13.000 dollari.

Il debito è diventato a tal punto la chiave di volta della nostra società, che l’unico modo in cui possiamo permetterci qualcosa è scambiando un tipo di debito che non possiamo permetterci, con un altro tipo di debito.

Un recente studio della Pew Charitable Trust ha mostrato che il 41% delle famiglie americane ha meno di 2.000 dollari di risparmi: un buon terzo ha zero risparmi (tra cui una su dieci delle famiglie con oltre 100.000 dollari di reddito). Un altro studio ha mostrato che il 70% degli americani ha meno di 1.000 dollari di risparmi.

Il punto è che l’America è a pezzi… Una singola spesa imprevista come un pneumatico che esplode o una visita del medico manderebbe a gambe all’aria la maggior parte delle persone.

E sta solo peggiorando.

Nel mese di agosto, ho calcolato l’ammontare del conto medio delle famiglie nella Bank of America (che ha 592 miliardi di dollari in depositi di cittadini privati, 46 milioni di famiglie) … È di solo 12.870 dollari per famiglia… E questo include risparmi, investimenti, piani di pensionamento… TUTTO.

E bisogna anche tenere a mente che questa è la media… resa più alta dai titolari di conti con saldi  enormi.

Non c’è da meravigliarsi che gli americani abbiano 1.021 trilioni di dollari di debiti contratti con la carta di credito – la somma più alta della storia.

Anche i finanziamenti per l’acquisto di auto hanno toccato il record di 1,2 trilioni di dollari.

E non dimentichiamo il governo americano, che è sotto di più di 20 trilioni di dollari. 

Il debito statunitense è ora del 104% del PIL … E il debito totale è cresciuto del 48% dal 2010.

Nel bilancio economico la colonna dei debiti continua ad allungarsi. Nel frattempo, gli attivi e la produttività non stanno tenendo il passo.

Ma la gente continua a comprare case, automobili, televisioni e pagare le tasse dell’Università indebitandosi sempre di più… E ora, scambiando un tipo di debito con un altro.

La ricchezza è basata sul risparmio e sulla produzione. Non sul fabbricare trucchetti con le carte e sprofondare sempre di più nei debiti.

Non posso dirti quando questo castello di carte crollerà. Ma ti assicuro che precipiterà.

http://vocidallestero.it/2017/10/17/il-sistema-di-mutui-piu-folle-che-ho-mai-visto/

I padroni del vapore

“Il 45 per cento degli americani  spendono fino a metà del loro reddito per ripagare i debiti sulle loro carte di credito”, suona un titolo di Zero Hedge. Circa  il 50  per cento di loro hanno un debito superiore a 25 mila dollari (esclusi i mutui), in media il debito per persona è sui 37 mila dollari, mentre il reddito personale mediano è sui 30 mila.

Il titolo è interessante. No, non per fare la morale  ai consumatori Usa; l’intero mondo occidentale è schiavo del debito. Ma l’economia americana ha il vantaggio di mostrare in modo più limpido e lineare, senza infingimenti né dissimulazioni linguistiche,  le  patologie del capitalismo che chiamiamo “terminale”.

Qui vediamo benissimo  quale è il motivo per cui  siamo in recessione-depressione da un  decennio (i media applaudono  miserabili aumenti del Pil dell’1,6- 1,7 per cento;  la BCE e la Fed parlano allora di “solida” crescita), e perché i consumi non aumentano nonostante le iniezioni  alluvionali di denaro  creato dal nulla, e nemmeno aumenta l’inflazione.

E’ chiaro. Il consumatore americano compra a man bassa indebitandosi: compra regolarmente l’auto di un modello superiore a quello che si può permettere; compra    con le carte di credito molte altre merci superflue; ciò fa girare molto bene l’economia, che prospera. Fino al giorno in cui l’americano deve spendere metà del suo reddito per ripagare gli interessi sui debiti che ha contratto.  Il suo potere d’acquisto è dimezzato;   le banche  e le finanziarie  gli prelevano dal salario (se ne ha uno) dal 33% al 50% ogni mese.

L’americano ha tutta la buona volontà di  continuare a spendere e spandere –   anche se è indebitato, ancora  spende il 40% del suo mensile in “spese discrezionali, intrattenimento, hobbies,  viaggi”; il 24% di loro dichiara di essersi indebitato troppo a   causa di “ spese frivole ed eccessive”;  le finanziarie   delle carte di credito  sono ancor più volonterose a prestargli tutti i dollari che vuole (al 25% d’interesse),  e le altre finanziarie  gli offrono persino  prestiti ripagabili in 7 anni per l’acquisto di auto usate;  la Federal Reserve   crea tutta la liquidità  che esigono finanziarie, consumatori, Wall Street (indebitando lo Stato); ma niente.

L’economia non si muove, non “cresce”. Anzi, nelle ultime settimane, cala. Per esempio , le vendite della Apple sono cadute  a meno -8% rispetto a un anno  prima. Ad aprile,  Ford, Fiat Chrysler, Honda  hanno venduto ciascuna il 7% in meno di quel che avevano venduto l’aprile  2016, la General Motors -6, Hyundai -11. I piazzali si riempiono di invenduti.   Tutti i segni di prossimi crack e scoppi di  bolle si moltiplicano.

Vendite di auto, rispetto alle previsioni…

Il  motivo è lì, ben visibile:  il potere d’acquisto dimezzato. Il reddito spendibile divorato dalla necessità di “servire” i debiti pregressi. Come sempre  quando trionfa il capitalismo  puro (cioè  finanziario) arriva inevitabile questo momento: il momento in cui il creditore ha indebitato “troppo”  e il debitore non si può indebitare oltre. Allora comincia la recessione, poi la depressione.

Il fenomeno si chiama “deflazione”. Precisamente, deflazione da debiti. Se l’inflazione è prodotta da un aumento della massa monetaria  e dall’accelerazione della sua circolazione, ciò che fa  rincarare i prezzi delle merci, la deflazione si rivela con il contrario: una contrazione della massa  monetaria, e il suo congelamento.

E’ impressionante vedere come nelle ultime settimane, in Usa,la massa monetaria nel sistema stia diminuendo:  poiché nel  sistema il denaro è “debito” creato cioè dalle finanziarie quando indebitano la gente, vuol dire che la gente non si indebita più, che le imprese chiedono meno fidi e mutui.

La deflazione da debiti. Questa malattia che la Germania (grande creditrice) ha preteso di curare imponendo  austerità crudeli ai vassalli-debitori (si veda  quel che hanno fatto ancor ieri  ai greci), in Usa è curata con la larghezza della Fed e la facilità accentuata del credito. Nell’un  caso e nell’altro, sono cure fallite.

Il motivo è lo stesso: il redito disponibile ai consumatori   si è ridotto drasticamente.  In America  è più chiaro che in Europa, perché lì non vige la dottrina Schauble, “avete vissuto sopra i vostri  mezzi, dunque  siete puniti”, lì al contrario tutti sono incoraggiati a vivere sopra i propri mezzi.

Ma né l’una né l’altra terapia affronta il vero motivo.

Come mai? Vediamolo in un altro modo: la liquidità che il consumatore Usa deve distogliere dal suo potere d’acquisto, non sparisce nel nulla. Essa va ai creditori, alle banche, alle finanziarie, alle imprese che gestiscono carte di credito. Questi giganti – tali sono – si riempiono di “denaro”  che hanno estratto ai cittadini,  si locupletano di interessi e quote capitale – interessi del 25 % sulle carte di credito, mentre i giganti finanziari si riforniscono di denaro dalle banca centrale all’1 % –  ma  non lo rimettono in circolo.

Da qualche parte però lo impiegano, quel “denaro”. Dove lo mettono i creditori?

Leggi tutto su http://www.maurizioblondet.it/rimedio-alla-crisi-noto-non-si-puo-dire/

Sarà Brexit?

Gli argomenti sono gli stessi già impiegati da William Hague: Londra è il garante della natura atlantica dell’Unione Europea, è la cancelleria che tiene Bruxelles nell’orbita di Washington, è la potenza che ha imposto al resto dei 28 membri le sanzioni all’Iran ed alla Russia (spalleggiata da Angela Dorothea Kasner, alias “Merkel”), è il baluardo degli interessi angloamericani nella UE, intesa in termini geopolitici come la “testa di ponte” di Washington sul continente euroasiatico. Non c’è quindi da meravigliarsi che Barack Obama si spenda pubblicamente contro il Brexit9 (intervenendo a gamba tesa negli affari di un Paese terzo), a differenza di Vladimir Putin che, in privato, tiferà quasi sicuramente per il Brexit e la sua conseguente implosione della UE.

Già, perché sono basse le probabilità che la City e Wall Street risparmino l’Unione Europea nel caso di un addio inglese: sarebbe troppo grande il rischio la UE si evolva in nuovo “blocco continentale” napoleonico, egemonizzato dalla Germania, oppure, ancor peggio, in quell’Europa “dall’Atlantico agli Urali” preconizzata da Charles De Gaulle, il vero incubo strategico delle potenze marittime anglosassoni. Sarebbe più concreto invece lo scenario di un Brexit seguito a ruota dall’assalto speculativo che infligga il colpo di grazia alla già debilitata eurozona, sancendo così l’implosione dell’Unione Europea: il pericolo di un blocco continentale a guida tedesca sarebbe così scongiurato e si tornerebbe alla tradizionale politica dell’equilibrio tra potenze con cui Londra ha gestito per secoli gli affari europei, magari nella cornice del TTIP per ostacolare lo scivolamento dell’Europa verso est.

Concludendo, il 23 giugno sarà probabilmente la prima tappa dello smantellamento formale della UE (quello sostanziale risale alle restrizioni sui movimenti dei capitali adottate a Cipro nel 2013): sommando altre emergenze, come l’atteso picco migratorio, il rigurgito della Grexit, la riedizione delle elezioni spagnole ed i probabili sconquassi borsistici di accompagnamento, l’estate 2016 si preannuncia la più bollente degli ultimi decenni.

estratto da http://federicodezzani.altervista.org/brexit-tutto-finira-la-dove-tutto-e-cominciato/

Il giubileo del debito

Nel gennaio del 2016, The Telegraph intervista nuovamente William White ed il titolo dell’articolo “World faces wave of epic debt defaults, fears central bank veteran4 è sufficientemente eloquente: l’indebitamento globale aumenta senza sosta e, alla prossima recessione, diverrà palese che questa mole di debito è impagabile. Il giubileo dei debiti” dice White (citando la saltuaria cancellazione delle obbligazioni prevista nell’Antico Testamento) sarà inevitabile e spetterà alla politica governarne gli impatti sulla società (il debito di qualcuno è pur sempre il credito di qualcun altro). L’accanirsi delle banche centrali sulle politiche monetarie accomodanti è tanto inutile quanto dannoso: spetta alla politica riscoprire il proprio primato, lanciando una serie di manovre fiscali espansive (le classiche opere infrastrutturali) per uscire dalle sabbie mobili della crisi.

Il magma che ribolle sotto i tassi a zero

Nota: senza addentrarci nei tecnicismi economici, è interessante la genesi storica della BRI

Si scrive Brasile, si legge Italia

 

di Lorenzo Carrasco

 

 

 

 

Tra corruzione ed attacco della finanza globalizzata

 

Cosa sta accadendo in Brasile? Quello che era, sino a ieri, uno dei grandi Paesi emergenti, uno dei protagonisti del Gruppo dei BRICS, cioè del nuovo poderoso polo geopolitico mondiale, è attraversato ora da una crisi economica drammatica, di cui le grandi manifestazioni di piazza evidenziano le immediate conseguenze sociali. Un Paese cioè che già credeva di star per toccare condizioni di vita migliori per tutti, ed il riscatto delle miserabili “favelas”, trova risospinte verso la povertà anche le sue classi medie.

Cosa è accaduto per giustificare una simile inversione di tendenza? Eppure il Brasile è ricchissimo di materie prime, cui ora si sta aggiungendo anche il petrolio, scoperto in giacimenti enormi. Ma invece di nuova ricchezza, l’oro nero sembra aver portato  crisi politica e disgregazione sociale, poiché col petrolio è emersa anche  la corruzione che aveva al centro la Compagnia petrolifera di Stato, ed i suoi oscuri, inconfessabili rapporti con la classe politica. Rapporti che risalgono addietro nel tempo, ma che il nuovo governo popolare non solo non ha stroncato, ma ha perpetuato.

Ma basta la corruzione emersa a giustificare una crisi politica ed economica, o invece la ventata giustizialista sorta all’improvviso è  la bomba a comando, fatta esplodere per giungere a cambiare un quadro politico non omogeneo rispetto agli interessi geopolitici degli Stati Uniti e delle oligarchie economiche occidentali?

 Noi italiani a questo riguardo abbiamo una certa esperienza: l’operazione “Mani pulite” infatti travolse  tutti i partiti della prima Repubblica e decapitò per intero la  nostra classe politica di governo, in un momento in cui l’Italia era divenuta la quinta potenza economica mondiale, era avviata a diventare la quarta, superando la Francia dopo aver superato l’Inghilterra, aspirava apertamente ad un ruolo di potenza regionale nel Mediterraneo, ove però le sue scelte ed i suoi indirizzi non erano esattamente conformi a quelli americani ed al loro appoggio quasi incondizionato ad Israele.  Vedi  invece l’atteggiamento amichevole verso i popoli arabi di Fanfani, di Moro e di Craxi, i loro sforzi per disinnescare la mina delle ricorrenti crisi mediorientali, e trasformare il Mediterraneo in un mare di pace e di sviluppo,fino all’episodio clamoroso di Sigonella, quando il leader socialista ebbe l’ardire sfrontato di mostrare a Reagan che l’Italia era un alleato, non un protettorato.

Sappiamo come andò a finire. Moro fu ucciso, Andreotti e Craxi, criminalizzati, furono estromessi dal potere.

Ma torniamo al Brasile. Alla base della sua crisi, si dice, non c’è solo il terremoto politico generato dall’emergere della corruzione; c’è soprattutto il crollo dei prezzi delle materie prime, sulla cui esportazione si regge buona parte dell’economia brasiliana. Ma neppure questo basta a spiegare l’intensità della crisi politica, economica, sociale, che il Brasile sta attraversando.

Evidentemente c’è dell’altro. Il Brasile di oggi, come l’Italia di allora, non è in riga con l’ordine occidentale. La sua adesione ai BRICS sta rischiando di diventare un esempio anche per l’Argentina. I due maggiori Paesi del “cortile di casa” (così gli Stati Uniti considerano l’America latina) che fanno blocco con Russia e Cina. E’ ovvio che una situazione simile non può essere tranquillamente accettata a Washington. La finanza globalizzata, accanto al giustizialismo, è l’arma usata per rimettere le cose in ordine. E’ questa l’interpretazione  che della crisi brasiliana dà il nostro collaboratore da Rio de Janeiro, Lorenzo Carrasco. Ed ecco il suo articolo.

                                                                                                                                                             g.v.

 

L’elezione presidenziale di ottobre del 2014, con la vittoria della presidente Dilma Roussef per un suo secondo mandato ha scatenato una delle maggiori crisi politiche della storia brasiliana e certamente evidenzia la fine di un’era politica del Paese: la cosiddetta “Nuova Repubblica”.

Ad esser franchi, non si tratta infatti di una crisi del governo del Partito dei Lavoratori (PT), ma di tutto l’accordo raggiunto dopo il regime militare (1964-1985), stabilito con la Costituzione del 1988.

Nel giugno 2013 il Paese è stato scosso da massicce manifestazioni popolari, che hanno messo in  luce un sistema politico prostrato davanti ad una UTI (Unità di Terapia Intensiva nei reparti di traumatologia degli Ospedali) e deluso a causa del divorzio tra la classe politica e la Nazione, la  società e la storia.

Gli scandali della corruzione , scoperti con l’operazione “Lava Jato” (pulizia automatica) hanno messo in luce poi le interiora marce del sistema politico, metastasi di un processo che durava da decenni, anteriore cioè al governo del Partito dei Lavoratori.

 

La corruzione politica e l’attacco della finanza globalizzata

Si tratta, in genere, di una forma sofisticata e sistematica di finanziamento delle campagne elettorali e di riciclaggio di denaro per assicurare l’accesso al potere e la ripartizione dei suoi benefici tra i gruppi politici vittoriosi e tra gli interessi privati che li hanno appoggiati.

In questo contesto la Nazione è come una nave senza governo nel mezzo di una forte burrasca, con il comando e l’equipaggio disuniti, disorientati, demoralizzati, minacciati da un ammutinamento, il che li rende facile preda dei centri oligarchici del potere mondiale. Questi ultimi, agendo come corsari, bombardano il Paese con l’artiglieria  delle loro agenzie di rating, per cavarne il bottino rappresentato dal servizio del debito pubblico, dalle risorse naturali, e da quel che resta del patrimonio pubblico; l’ultimo episodio è stato il downgrading dei titoli di Stato brasiliani da parte di Standard&Poor’s.

E’ ovvio che la situazione del Brasile non è un caso isolato. Gran parte delle Nazioni del mondo si trovano soggiogate dalla finanza globalizzata, nella speranza che la buona condotta dettata dai mercati finanziari possa portare, in un futuro imprecisato, alla conquista di un vero progresso.

 

Nella spirale di un debito che è impossibile ripagare

 

La realtà tuttavia va verso il lato opposto. Nel caso del Brasile il modello di indebitamento continuo ha come traguardo una situazione fiscale impossibile da risolvere. Per quest’anno si spera che la caduta del Pil si limiti ad un 3-4%, con una conseguente riduzione delle entrate fiscali. Il problema tende a crescere già nel breve termine, perché i tassi d’interesse del debito pubblico hanno raggiunto l’8%, e conseguentemente il rapporto tra debito pubblico e pil raggiungerà il 70% nel 2016. Fino al primo settembre scorso  il servizio del debito ha  consumato  671 miliardi, pari al 47% della spesa federale.

A fronte di questa realtà, qualunque politica ortodossa di taglio delle spese e degli investimenti tenderà semplicemente ad ingigantire il problema, ed a mandare rapidamente il Brasile in direzione della Grecia, con l’aggravante che non esiste una Unione Europea che cercherà di salvarlo.

Tra una turbolenza e l’altra i governi, già indebitati fino al collo, si indebitano ogni volta di più, e non sono in grado di  realizzare le aspirazioni allo sviluppo  dei loro governati.

La realtà è che i centri oligarchici fanno di tutto per manipolare  le tempeste finanziarie, e perpetuano così il loro potere. La realtà è che la globalizzazione finanziaria, sviluppatasi dopo la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Unione Sovietica, è solo un eufemismo per indicare un sistema mondiale di gestione delle crisi, creatosi all’inizio degli anni novanta per attuare la vecchia ambizione dell’oligarchia angloamericana: la costruzione delle strutture di un governo mondiale sui resti rimasti degli Stati nazionali, sacrificati dalle sua operazioni di manipolazione e destabilizzazione.

L’emergere dell’Eurasia  quale nuovo polo geoeconomico, dotato di nuovi strumenti finanziari, come la nuova Banca di Sviluppo (NBF) del Gruppo dei BRICS costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, costituisce l’unico punto al di fuori di quella china, nel tentativo di riformulare l’architettura dell’ordine finanziario mondiale.

Il superamento della crisi brasiliana passa essenzialmente ed obbligatoriamente attraverso la definizione di  un nuovo progetto nazionale di sviluppo, il cui orizzonte trascenda gli stretti limiti del gioco politico, e sia capace di correggere il pessimismo  che ormai generalmente prevale  nei cittadini, che  è necessario vengano coinvolti direttamente sia nell’elaborazione che nella realizzazione di tale progetto.

http://www.lafinanzasulweb.it/2016/il-brasile-alla-deriva/

I nodi al pettine

Pian piano tutti i nodi stanno venendo al pettine, ma, ovviamente, continueremo a pagare sempre noi; non certo quelli che si sono arricchiti nel frattempo…

Nell’ultimo biennio, è aumentato il benessere e contemporaneamente la Cina ha investito circa 5.000 miliardi di dollari nella speculazione finanziaria internazionale, favorendo statunitensi ed europei, creando una monumentale ricchezza virtuale e un impressionante arricchimento per l’1,8% della popolazione. Pensavano che questo brutale sistema di vita (da noi spacciato come un loro miracolo economico) sarebbe durato in eterno. Nel 2014 le borse valori cinesi sono aumentate del 156%, nei primi 6 mesi del 2015 di un 122%. Una febbre ha contagiato la società cinese. Decine e decine di milioni di cinesi, per lo più contadini di nuova urbanizzazione, in bilico tra disperazione esistenziale, analfabetismo e sopravvivenza, hanno eseguito gli ordini del partito. Da Pechino, l’ordine che è stato eseguito dai segretari provinciali a nome del comitato centrale, indicava “la via” nell’investimento in titoli tossici altamente speculativi.

Non avendo la minima idea di come funziona esattamente il meccanismo del libero mercato finanziario (loro pensano di saperlo perché ritengono di essere un paese più libero e intelligente del resto del mondo) hanno varato un decreto legge che bloccava la vendita dei titoli legati ai grossi fondi, rimandandola alla data dell’8 Gennaio 2016. Nel frattempo, banche statali hanno anticipato prestiti ai risparmiatori che hanno dato parte di quei titoli in garanzia. E così speravano di aver risolto la questione.

 Ciò che sta accadendo in questi giorni dipende da ciò che tutti i computer del mondo, sincronizzati, hanno annunciato per il pomeriggio del prossimo venerdì, quando i titolari delle azioni bloccate a luglio si riverseranno sul mercato, perché l’ordine di vendita è stato inserito il 5 agosto e va in automatico. Ormai sta dentro il sistema e non lo si può fermare. Ed è coinvolto l’intero sistema finanziario globale delle banche di tutto il mondo. Per fermarlo, il governo cinese dovrebbe immettere sul mercato tra domani e venerdì mattina una cifra intorno ai 250 miliardi di dollari acquistando titoli tossici.

E’ importante capire la sceneggiatura perché molto presto l’impatto toccherà le borse europee, la BCE, la Ue e le economie forti (cioè noi). Basti pensare che negli ultimi due giorni Monte dei Paschi di Siena (un titolo a caso) ha perduto circa 400 milioni di euro netti. Come nessuno ha raccontato la dovizia finanziaria piovuta sull’Italia -e l’Europa- nell’ultimo biennio grazie alla pacchia cinese, così oggi nessuno verrà a spiegarci che è arrivato il momento di pagare il conto.

Sergio Di Cori Modigliani  6 gennaio 2016
estratto da http://www.libero-pensiero.net/corea-del-nord-finanza-cinese-elezioni-americane-che-cosa-sta-accadendo/

Conferenza Europea sul debito

Il compito cruciale è la restituzione delle sovranità nazionali agli stati dell’Eurozona, in modo da ripristinare un regime di sistemi nazionali di credito basati sul principio hamiltoniano (vedi) che permetterebbe alle nazioni europee e nordamericane di partecipare all’emergente dinamica di crescita guidata dai BRICS e dalla nazioni loro alleate.[…]
Una tale ristrutturazione del debito (come quella di Londra del 1953 n.d.r) non sarebbe possibile col sistema attuale, in primo luogo perché il debito è parte di un sistema di gioco d’azzardo bancario, in cui i cosiddetti titoli sovrani sono collegati ad un labirinto di derivati e titoli speculativi.
Oggi, la soluzione al debito ed alla crisi economica dei cosiddetti “paesi periferici” dell’Eurozona, inclusa la Grecia, è soggiogata a un imperativo “antagonistico”. Ovvero, Wall Street e la City di Londra esigono che la BCE stampi migliaia di miliardi di Euro per acquistare, da banche private, il debito sovrano di tutti i paesi europei.
Perché? Per salvare numerose banche strapiene di titoli tossici e derivati legati al settore immobiliare, petrolifero e delle commodities, e ad altre speculazioni, invece di salvare l’economia reale delle nazioni indebitate.[…]
Dunque, tutto il sistema bancario e creditizio europeo dovrà essere sottoposto ad una riorganizzazione fallimentare ordinata, come fece Roosevelt con quello americano con la legge Glass-Steagall del 1933 (abolita da noi nel 1993 n.d.r) , a partire dalla separazione bancaria e la creazione di istituti di credito nazionali simili alla Reconstruction Finance Corporation dei tempi. Solo così l’Europa potrà risolvere la crisi del debito in Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro e via dicendo…
I titoli speculativi delle banche d’affari saranno esaminati per stabilire quali siano legittimi e quali debbano essere cancellati. Questo condurrà naturalmente ad un drammatico ridimensionamento di tali banche. Molte non sopravviveranno alla riforma.
La conferenza dovrà ristabilire il potere sovrano delle istituzioni nazionali, come uniche autorità riconosciute col mandato politico e legale per attuare una riorganizzazione fallimentare del sistema bancario.
 estratto da

Non è l’Euro il problema

L’Europa divinata da Spinelli, Rossi e Colorni era una Europa di cittadini liberi dal bisogno, dalla guerra e dalla povertà.
Era una Europa in cui l’Economia reale era prevalente su quella virtuale degli “staccatori di cedole trimestrali”.
Era una Europa in cui la finanza speculativa non trova nessuno spazio. Dal Manifesto emerge chiaramente la necessità di dare ai cittadini la sovranità energetica, alimentare, culturale ed economica.
Una Europa in cui si va alla sostanza privilegiando la qualità della vita, il benessere e la felicità degli europei, e non gli interessi nazionalistici dei singoli stati, o peggio ancora, di alcuni potentati finanziari.
In questa logica, la moneta unica,  è solo un punto di arrivo, lo strumento finale di una unificazione politica e economica, processo del quale si fece massimo interprete Jacques Delors.

Quel progetto si è arenato nel 2004 con il fallimento del referendum francese sulla Costituzione Europea. A quel punto andava arrestato anche il processo di unificazione monetaria, ma esso invece andò avanti per ragioni riconducibili agli interessi dei gruppi finanziari che da allora hanno condizionato pesantemente le decisioni dell’UE.

Secondo alcuni per uscirne bisogna tornare indietro agli Stati nazionali e alle monete nazionali. A me sembra che questa soluzione si limiti a rimuovere gli effetti del problema ma non ne tocca le cause.

Il mondo si sta evolvendo verso una globalizzazione che sta “uccidendo” il lavoro, creando quella che gli esperti chiamano “disoccupazione tecnologica” che è la prima causa di quella “Jobless recovery” (ripresa senza occupazione) che fu prevista da Rifkin nel 1995 nel suo “LA FINE DEL LAVORO” e provocò vesti stracciate fra tutti gli ultra-liberisti al di qua e al di la dell’Atlantico. E che oggi si è verificata in pieno, mettendo in ginocchio il capitalismo tradizionale, incapace di andare oltre i limiti da lui stesso creati.

Non è l’Euro il problema dunque, ma l’ultraliberismo selvaggio ispirato alla logica del profitto estremo che controlla i mercati energetici, alimentari e industriali attraverso pratiche oligopolistiche, per battere le quali sono necessarie strategie europee a bassa intensità di capitali, alta intensità occupazionale e costi marginali bassissimi.

Si tratta di ridare ai cittadini la sovranità energetica, alimentare, economica e politica.
La sovranità monetaria è solo una rappresentazione convenzionale di quelle più profonde realtà.
Insistendo su di essa ci si avvita in un falso dibattito che alla fine ci porterà a dipendere sempre più dal petrolio, dal cibo di filiera lunga e da produzioni industriali insostenibili, indebitandoci in monete locali sempre più svalutate.
Mentre invece dobbiamo da subito, insieme a tutti i popoli d’Europa, diventare indipendenti dai fossili, dal cibo industriale di filiera lunga e dalla schiavitù dell’iper-consumismo andando verso cicli di rifiuti virtuosi, cibo locale di filiera corta e di qualità, e una nuova economia della condivisione, sostenibile e dal basso. Questo renderebbe irrilevante la questione monetaria. Questo è lo spirito moderno del Manifesto di Ventotene e sfido chiunque a dimostrare il contrario.

Angelo Consoli

estratto da http://angeloconsoli.blogspot.it/2014/11/a-proposito-del-mondo-nuovo-di-spinelli.html