Rallentano gli arrivi di stranieri per lavoro e crescono le partenze di italiani

Netti sono gli effetti della congiuntura economica negativa sui processi migratori e, più in generale, di mobilità. Il numero di iscrizioni anagrafiche dall’estero è sceso dalle 558mila unità del 2007 alle 307mila del 2013, mentre gli ingressi regolari di cittadini non comunitari (nuovi permessi di soggiorno), pur restando intorno alle 250mila unità all’anno, sono sempre meno legati ai motivi di lavoro e sempre più a quelli familiari (ricongiungimenti), all’asilo politico e a altre motivazioni. Questi cambiamenti nell’intensità e nelle modalità di ingresso degli immigrati stranieri fanno sì che la popolazione di cittadinanza non italiana residente nel paese sia cresciuta durante la crisi meno velocemente che negli anni precedenti, attestandosi al disotto dei 5 milioni di persone alla fine del 2013. Contemporaneamente alla riduzione dei flussi in entrata di cittadini stranieri si osserva dopo il 2008 un aumento consistente dell’emigrazione di italiani verso paesi europei che garantiscano prospettive economiche e lavorative migliori; si è accresciuta soprattutto la propensione ad emigrare all’estero dei più istruiti e dei residenti nelle regioni settentrionali. I dati relativi alla mobilità interna indicano anche la persistenza degli spostamenti lungo la direttrice Sud-Nord del paese.

http://www.neodemos.info/la-demografia-italiana-ai-tempi-della-crisi-e-sotto-la-lente-dellaisp/

L’Italia e l’immigrazione

di Tommaso Segantini – 18/12/2014

Fonte: L’intellettuale dissidente

L’immigrazione, in Italia, è un tema urgente che va affrontato subito, adottando un approccio radicalmente diverso da quello odierno.

L’immigrazione è un tema al centro del dibattito politico italiano, soprattutto in questi ultimi anni di crisi economica e di avvenimenti politici importanti in Medio Oriente e in Africa. In un momento così delicato, è fondamentale analizzare la situazione con lucidità, senza cadere in facili generalizzazioni o semplificazioni propagandistiche, in modo anche da andare alla radice del problema e, possibilmente, trovare una soluzione duratura.Innanzitutto, occorre chiarire che il problema riguarda la gestione dei cosiddetti “immigrati clandestini”, ovvero persone entrate senza regolare visto di ingresso, e non gli immigrati regolari. Su questo, almeno, sembrano concordare tutti. In seguito, è fondamentale dare una definizione dei vari termini che vengono spesso usati con imprecisione o incorrettamente da politici e giornalisti:

– Un clandestino è uno straniero entrato in Italia senza regolare visto di ingresso.

– Il richiedente asilo è una persona che presenta una domanda di riconoscimento dello “status di rifugiato”. Se la domanda viene accettata, il Paese in cui si trova questo rifugiato ha il dovere di assisterlo. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità o in maniera irregolare.

– Il rifugiato, quindi, è chi ha ottenuto il riconoscimento dello “status di rifugiato” in seguito all’approvazione della sua domanda. A tutelarlo è la Convenzione di Ginevra, resa esecutiva in Italia con la legge del 24 luglio 1954 n. 722. La domanda deve essere approvata se queste persone non possono o non vogliono tornare nel loro Paese d’origine per il timore di essere perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche.

– Il termine “profugo” non ha nessun  contenuto giuridico. Solitamente è utilizzato per definire chi si è allontanato dal Paese di origine per persecuzioni o per una guerra.

Secondo la Convenzione di Ginevra, uno straniero, che esso sia richiedente asilo o semplicemente un clandestino, non può essere espulso se necessita soccorso, se bisogna fare accertamenti sulla loro identità o nazionalità, se occorre preparare i documenti per il viaggio, o se non è disponibile un mezzo di trasporto idoneo. Prima di passare a come al dibattito sulla questione in Italia, è interessante osservare alcuni dati del 2012 sulle richieste asilo in vari Paesi. Nel 2012, il numero di richiedenti asilo nell’Unione Europea è stato 332mila. Soltanto al 14% di questi è stato concesso lo status di rifugiato politico. Delle 21700 domande fatte in Italia, il 64% sono state rifiutate (dato sotto la media europea). Il maggior numero di domande è stato registrato in Germania (77 500 richiedenti, il 23% dei totali), seguita dalla Francia (60 600, 18%), Svezia (43 900, 13%), Regno Unito (28 200, 8%) e Belgio (28 100, 8%). La ragione dell’alto numero di richieste in questi Paesi è semplice: i migranti mirano ai Paesi in cui ci sono le migliori prospettive per il futuro. Interessante è osservare le percentuali di approvazione di richiesta di asilo politico nei singoli Paesi. In Svezia e in Germania sono state accettate rispettivamente il 40% e il 30% delle richieste. In Grecia, invece su 11’195 richieste, 11’095 sono state rifiutate, praticamente il 100%. Questi dati significano che i criteri per l’accettazione dello status di rifugiato non sono uniformi all’interno dell’Unione Europea e che l’accettazione o il rifiuto di una richiesta d’asilo dipendono, soprattutto, dalla situazione economica di un Paese e dal partito politico politico in carica. Il fatto che venga concesso o no l’asilo politico non significa quindi necessariamente che lo straniero lo meriti o no.

Una volta chiarite questi termini e avendogli attibuito la corretta definizione giuridica, e avendo analizzato alcuni dati, si può fare una migliore analisi di come si possa far fronte al problema e di come viene affrontato oggi dalle diverse forze politiche. Il problema degli immigrati che sbarcano in grandi numeri è affrontato fondamentalmente in due modi: c’è l’approccio della Lega Nord e della destra italiana in generale che, con lo slogan “prima gli italiani”, afferma che, a parte i profughi (cioè quelli a cui è stata approvata la richiesta d’asilo), gli immigrati irregolari vanno “rispediti nel loro paese” (Salvini), perché la priorità, in tempi di crisi, va data ai cittadini italiani. La Lega afferma anche che i soldi investiti per l’operazione Mare Nostrum, che ora, dopo qualche modifica, si chiama Triton, andrebbero investiti nei Paesi da dove provengono gli immigrati. Il secondo approccio è quello del PD, che accoglie tutti gli immigrati che arrivano in Italia, che molte volte li soccorre in mare, che rivendica un aiuto, legittimo, da parte dell’Unione Europea nella gestione del fenomeno e una ritrattazione della Convenzione di Dublino, che in sostanza dice che un rifugiato deve rimanere nel primo Paese di arrivo.

Secondo chi scrive, entrambi gli approcci sono sbagliati. Nessuna delle due fazioni si preoccupa di individuare l’origine del problema. Non basta, come fanno, sia a destra che a sinistra, affermare che ci sono delle guerre, è che il flusso di immigrati è causato da quello. Quella è ovvio. Per risolvere la questione alla radice c’è bisogno di coerenza nelle politiche che entrambi i partiti portano avanti. Le guerre, come sembra trasparire dalle dichiarazioni del centro sinistra, sembrano essere qualcosa di inevitabile e irreversibile, mentre non è vero. Il governo che continua a finanziare, per fare un esempio, i famosi F-35, e che entra a far parte della coalizione internazionale contro l’ISIS (di cui ovviamente non si giustifica alcuna azione, ma il modo in cui viene fronteggiato il problema), è in completa contraddizione con le politiche sull’immigrazione. Con questo non vuole dire che l’Italia sia la causa delle numerose guerre internazionali in corso, ma che, per affrontare il problema del flusso di immigrati con serietà e coerenza occorra almeno mettere in discussione alcune azioni, a cui l’Italia aderisce sempre, decise dalla comunità internazionale (leggi: gli Stati Uniti). È inoltre chiaro che i centri di accoglienza temporanei vanno gestiti in maniera completamente diversa, in modo da evitare che parte di questi stranieri approdati sulle coste italiane vengano riciclati nel mondo del lavoro, sfruttati e sottopagati, abbassando i diritti del lavoro e diventando funzionali al sistema. La richiesta di aiuto all’Unione Europea, ma è evidente che senza una unione politica reale tra i membri dell’UE e senza solidarieta è difficile pensare che arrivino risposte dalla Commissione. Insomma, l’approccio del centro sinistra è colmo di contraddizioni, e fare affidamento all’UE non sembra, in questi tempi, un’opzione. L’approccio della Lega Nord è alquanto contraddittorio. Innanzitutto, sono sbagliati, gli slogan del tipo “StopInvasione” o “Prima gli italiani”. Nonostante Salvini lo smentisca, è evidente che sono frasi a effetto che mirano alla componente emotiva dei cittadini, e il cui unico scopo è ottenere consenso elettorale. Inoltre, come si è visto negli ultimi mesi, queste dichiarazioni, combinate con la crisi economica, rischiano di sfociare in tensioni sociali e contrapposizioni tra gli strati più poveri della popolazione. Per quanto riguarda le proposte concrete, l’idea di intervenire in Africa come propone Salvini non è sbagliata. È evidente che logisticamente sarebbe un’operazione complicata da condurre, per vari motivi, ma non una ipotesi da scartare. Il problema emergenziale, però, non viene affrontato. Come devono essere gestiti i migranti che, per il momento, proveranno a venire comunque ed in ogni caso, in Italia? I clandestini sono veramente clandestini? Cosa vuol dire “espellere”? E dove, e come, e chi e secondo quali criteri? A queste domande la Lega Nord, purtroppo risponde con slogan al limite del razzismo, non con proposte concrete. È necessario combinare una messa in discussione di alcune politiche internazionali in corso, agire coerentemente non aderendovi, e una politica di accoglienza basate su solidarietà e integrazione efficace, possibilmente integrandola con interventi umanitari all’estero. Con gli stessi partiti al comando, senza ormai più alcuna credibilità, un cambio di rotta sembra, purtroppo, improbabile. Inoltre, occorre ricordare che in questo momento, nel Kurdistan, secondo i dati delle Nazioni Unite, un abitante su tre è un profugo di guerra. In quei luoghi, martoriati da violenza e distruzione, i criteri di accoglienza sono semplicemente due: solidarietà e compassione umana, che in Europa, spesso, si dimenticano.

http://www.lintellettualedissidente.it/societa/litalia-e-limmigrazione/

 

La grande bruttezza

La condizione abitativa delle periferie italiane ha toccato livelli di disumanità totale. L’abbandono, il degrado, la totale assenza di uffici, strutture o mezzi pubblici che rappresentino l’esistenza di una qualche forma di Stato ha oramai avuto la meglio. Il caso romano – che forse è il più emblematico non solo per i più recenti fatti di cronaca – ci racconta di periferie nate da una forsennata ed irrazionale speculazione edilizia. A Roma si è costruito troppo, troppo velocemente e senza curarsi dell’aspetto umano che ogni struttura dovrebbe conservare. Interi quartieri – oggi residenza per migliaia di cittadini – sono sorti senza alcun negozio, senza parchi né giardini, né aree di gioco per bambini, senza spazi ricreativi o circoli culturali dove potersi intrattenere. Emblema della periferia è diventato il palazzone di cemento grigio concepito per essere un alveare, e non un luogo di residenza umana. E lo stesso, identico discorso vale per ogni città italiana. La disumanità di simili zone è l’humus ideale per far sorgere moti di protesta popolare. Periferie grigie e smorte, prive di collegamenti con il centro delle città, non sono luoghi in cui l’essere umano può vivere a lungo. Non in maniera dignitosa ed accettabile.

Gran parte delle periferie romane è sorta per tutelare gli interessi di avidi costruttori che in pochi anni hanno accumulato ricchezze da capogiro. E quando di mezzo ci sono affari milionari, davvero di poco conto è la tutela dell’individuo e della sua umanità. Provate a fare un giro per Corviale, Ponte di Nona, Ponte Galeria a Roma, o a Corvetto e Barona a Milano, o ancora lungo le periferie di Torino o di qualsiasi altra città italiana: vedrete il degrado sociale causato da decenni di incuria ed assenza delle istituzioni. A questo paesaggio già di per sé tetro si è poi aggiunta la pessima gestione dell’immigrazione. In assenza di una seria politica di integrazione dello straniero che consenta di fare dell’immigrato un tassello fondamentale dell’economia del nostro Paese, si è pensato bene di trasferire ingenti quantità di immigrati in enormi palazzoni periferici. Al disagio delle periferie è stato dunque affiancato il disagio di chi scappa da condizioni ancor più invivibili. La miccia è accesa, e lo scoppio della bomba è solo questione di tempo.

estratto da http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/la-grande-bruttezza-periferie-degrado-e-nuove-speranze/

L’obiettivo di Renzi

Non riesco a rebloggare dall’originale

http://pauperclass.myblog.it/2014/09/23/la-condizione-dei-lavoratori-nel-mondo-reale-eugenio-orso/

quindi copio e incollo:

Sono disoccupato da lungo tempo non per mia scelta, ovviamente. Un paio di settimane fa, tramite annuncio sul giornalino trova lavoro locale, vengo chiamato dal titolare di una azienda agricola operante nel campo della vinificazione. Dieci-undici ore di lavoro duro nel vigneto, a cinque virgola cinque € all’ora, intruppato con una numerosa marmaglia di extra-comunitari, in particolare Moldavi e Rumeni. Ritmi di lavoro pazzeschi, una sola pausa di mezz’ora giornaliera nel campo per bere acqua e mangiare un panino, con il padrone contadino sempre a pungolare e minacciare di lasciarti a casa se non vai svelto, io che ho 58 anni. Ogni giorno ne cacciava alcuni sui due piedi, subito rimpiazzati da altri schiavi che evidentemente il “padrone” non aveva difficoltà a rimpiazzare, stante l’enorme serbatoio di mano d’opera di cui dispongono i padroni e padroncini, fino a ieri oscuri mezzi morti di fame e ora grazie a questo nuovo potere assunti al ruolo di “Kapò”. Orbene, Domenica mattina ho un pesante alterco con un energumeno Moldavo che ambisce a fare il capetto e che mi accusa di essere troppo lento…Dopo essere arrivato sulla linea rossa, quella che poteva portarmi a piantargli le forbici nella pancia, mi calmo e me ne vado sui due piedi, contento tutto sommato di non essere stato colpito dal Moldavo pazzo e pericoloso, immaginate se mi avesse buttato fuori i denti malfermi quale danno anche economico avrei subito. Naturalmente il padrone e me lo ha detto sul muso, teneva al Moldavo anche perché sennò avrebbe perso gli altri schiavetti, solidali con il loro capetto. Morale della favola, io Italiano locale sono stato cacciato da un Moldavo con la complicità di un padrone  ignorante e approfittatore. Siamo arrivati a questo punto. E non mi si parli di guerra tra poveri, qui c’è dell’altro. e molto sbagliato.

[Link:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13945]

Mi pare assolutamente naturale che l’inserimento di questo commento abbia spostato l’attenzione dal mio articolo (centrato sul “piano lavoro” renziano e sulla querelle fra l’imbonitore fiorentino e la cgil) alla storia raccontata da clausneghe e alle sue rilevanti implicazioni antropologico-sociali. Tanto è vero che altri hanno commentato … il commento del mio quasi coetaneo (che dichiara 58 anni contro i miei 56). Al punto che clausneghe ha risposto come segue:

[…] Ma schiacciarmi no, nessuno c’è mai riuscito e mai ci riuscirà, perché io possiedo una coscienza di classe e un orgoglio personale, quello che magari manca alla moderna “carne da cannone” straniera sfruttata da padroncini avidi e senza onore né morale. Io mi sono difeso con successo, ho evitato di farmi colpire dall’energumeno (mi faceva sentire il suo alito fetido sul muso) e soprattutto sono riuscito a non AMMAZZARLO, come la rabbia mi diceva di fare. Avrei finito i miei giorni in galera o al manicomio. Inoltre ho ancora frecce nel mio arco, e le userò. Sopravviverò anche a questo, perché tutto quello che non ti uccide ti fortifica. Ciao.

Siamo andati di un passo oltre la guerra tra poveri, dunque, fino ad arrivare a un punto di non ritorno per il lavoro, in Italia e in molta parte d’Europa (nella Grecia dei trecento euro netti mensili di stipendio, o nella Spagna ad altissimo tasso di disoccupazione). Qui il discorso si intreccia con quello dell’immigrazione incontrollata, l’immigrazione che potremmo definire “indotta”, perché usata come arma sia contro i lavoratori autoctoni e i loro diritti, sia contro la specificità culturale dei nostri paesi. Ciò non significa colpevolizzare gli immigrati moldavi o rumeni (anche loro europei e soggetti alle stesse dinamiche che ci opprimono), ma solo riconoscere che attraverso di loro – o meglio, anche attraverso di loro – si esercita una pressione indescrivibile sui lavoratori italiani, ridotti in molti casi come clausneghe. Una pressione che per le sue implicazioni sociopolitiche, antropologiche e culturali va oltre il mero ricatto economico. A differenza di clausneghe, però, la grande maggioranza dei lavoratori oggi è priva di coscienza di classe … e della stessa classe come mondo culturale, attraversato da legami solidaristici! Così si inducono i “new workers” senza classe ad accettare condizioni di lavoro peggiori di quelle degli anni cinquanta. Se clausneghe resiste, grazie alla coscienza di classe che tiene alto l’orgoglio personale, tantissimi altri, più giovani, non hanno neppure questa difesa e non hanno piena consapevolezza della loro situazione di minorità.

Si dirà che scrivendo queste righe ho scoperto l’acqua calda e, in effetti, sembra che sia proprio così. Il punto è che le grandi verità non necessariamente sono complesse, alla portata della comprensione di pochi dotati, ma spesso sono semplici, esattamente come questa. E’ qui che ci porta il discorso crudo e disincantato del mio quasi-coetaneo clausneghe, cinquantottenne che lavora quando può, quando trova qualcosa, “respinto” dal mondo del lavoro più dei giovani. A differenza di loro, proprio perché vecchio, non è oggetto dei “pianti da coccodrillo” dei politici collaborazionisti o delle pelose attenzioni renziane.

Chiediamoci una cosa, dopo aver letto ciò che ha scritto il mio quasi-coetaneo, molto più “sfortunato” di me: cosa c’è oltre la guerra fra poveri, che rientra fra i classici strumenti di dominazione elitista? Cosa c’è oltre il mero ricatto economico, esercitato dal capitale sui lavoratori? C’è la scomposizione e ricomposizione dell’Europa per controllare una massa amorfa di lavoratori poveri che non hanno più le caratteristiche culturali e, alle loro spalle, la storia dei popoli europei originari. (grassetto nostro) Così sarà più facile azzerare del tutto la sovranità degli stati e delle nazioni, imporre la lex neoliberista senza concessioni al sociale, far digerire la robusta dose di darwinismo sociale – sopravvivano i più adatti, i più flessibili, i più “meticciati”! – che si nasconde dietro le attuali riforme del lavoro, per la supposta modernizzazione dell’omonimo mercato.

Nicola il carpentiere

Nicola il carpentiere

Le regole fondanti della UE, relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone (che sarebbe meglio definire “libera circolazione degli schiavi”) sono servite solo a far scendere i prezzi della manodopera. Una volta tale evenienza veniva definita “curva di Phillips”: aumentando la disoccupazione marginale tramite leggi che favoriscono l’immigrazione da zone notoriamente più povere se non sottosviluppate, si mettono in concorrenza i lavoratori che saranno portati così ad abbassare le proprie pretese salariali, come, appunto, il caso di cui al link.

Roberto Nardella

La radice del problema

La radice del problema

Chi teme i migranti che arrivano di continuo a Lampedusa dovrebbe capire che il problema non sussisterebbe se in Africa la gente non morisse di AIDS perché le lobbies farmaceutiche si ostinano a tenere altissimi i costi dei brevetti impedendo al diffusione di farmaci a prezzi abbordabili; se non morisse di fame perché le corporations multinazionali hanno diffuso le monoculture necessarie ad alimentare i nostri consumi (il caffè, l’ananas, i filetti di persico del lago Vittoria) distruggendo culture che fino ad alcuni anni fa erano in possesso dell’autosufficienza alimentare; se non morisse di sete in quanto si sta cercando, da parte di imprenditori occidentali in combutta con i corrotti governi africani, d’imporre altissimi costi di gestione della stessa acqua potabile che la gente dovrebbe pagare; se non morisse di miseria pur essendo nati in paesi dal sottosuolo ricchissimo perché le imprese multinazionali non la derubasse del suo oro, del suo uranio, del suo coltan, del suo petrolio, dei suoi diamanti con i quali si alimenta un sistema mondializzato – è questa la “globalizzazione” – retto dalle “ferree leggi del mercato” (!?) che punta alla sempre maggior concentrazione della ricchezza e quindi alla crescente proletarizzazione delle masse del pianeta.

Franco Cardini