Gli F-35 bombardano Gaza

Il portavoce delle Forze israeliane Zilberman, annunciando l’inizio del bombardamento di Gaza, ha specificato che «prendono parte all’operazione 80 caccia, inclusi gli avanzati F-35» (The Times of Israel, 11 maggio 2021). È ufficialmente il battesimo di fuoco del caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, alla cui produzione partecipa anche l’Italia quale partner di secondo livello.

Israele, che ha già ricevuto dagli Usa 27 F-35, ha deciso lo scorso febbraio di acquistarne non più 50 ma 75. A tal fine il governo ha decretato un ulteriore stanziamento di 9 miliardi di dollari: 7 provenienti dall’«aiuto» militare gratuito di 28 miliardi concesso dagli Usa a Israele, 2 concessi come prestito dalla Citibank statunitense.

Mentre i piloti israeliani di F-35 vengono addestrati dalla U.S. Air Force in Arizona e in Israele, il Genio dello US Army costruisce in Israele speciali hangar rinforzati per gli F-35, adatti sia per la massima protezione dei caccia a terra, sia per il loro decollo rapido quando vanno all’attacco. Allo stesso tempo le industrie militari israeliane (Israel Aerospace ed Elbit Systems), in stretto coordinamento con la Lockheed Martin, potenziano il caccia, ribattezzato «Adir» (Potente): soprattutto la sua capacità di penetrare le difese nemiche e il suo raggio d’azione, che è stato quasi raddoppiato.

Capacità non certo necessarie per attaccare Gaza. Perché allora vengono impiegati contro i palestinesi i più avanzati caccia di quinta generazione? Perché serve a testare gli F-35 e i piloti in un’azione bellica reale, usando le case di Gaza come bersagli del poligono di tiro. Poco importa se, nelle case-bersaglio, ci sono intere famiglie.

Gli F-35A, che si aggiungono alle centinaia di cacciabombardieri già forniti dagli Usa a Israele, sono progettati per l’attacco nucleare, in particolare con la nuova bomba B61-12 che gli Stati uniti, oltre a schierare tra poco in Italia e altri paesi europei, forniranno anche a Israele, unica potenza nucleare in Medioriente, con un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari. Se Israele raddoppia il raggio d’azione degli F-35 e sta per ricevere dagli Usa 8 aerei cisterna Pegasus della Boeing per il rifornimento in volo degli F-35, è perché si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l’Iran.

Le forze nucleari israeliane sono integrate nel sistema elettronico Nato, nel quadro del «Programma di cooperazione individuale» con Israele, paese che, pur non essendo membro della Alleanza, è integrato con una missione permanente nel quartier generale della Nato a Bruxelles. Nello stesso quadro, la Germania ha fornito a Israele 6 sottomarini Dolphin modificati per il lancio di missili nucleari (come ha documentato Der Spiegel nel 2012).

La cooperazione militare dell’Italia con Israele è divenuta legge della Repubblica (Legge 17 maggio 2005 n° 94). Essa stabilisce una cooperazione a tutto campo, sia tra le forze armate che tra le industrie militari, comprese attività che restano segrete perché soggette all’«Accordo di sicurezza» tra le due parti.

Israele ha fornito all’Italia il satellite Opsat-3000, che trasmette immagini ad altissima risoluzione per operazioni militari in lontani teatri bellici. Il satellite è collegato a tre centri in Italia e, allo stesso tempo, a un quarto centro in Israele, a riprova della sempre più stretta collaborazione strategica tra i due paesi.

L’Italia ha fornito a Israele 30 caccia Aermacchi della Leonardo, per l’addestramento dei piloti. Ora può fornirgli una nuova versione, l’M-346 FA (Fighter Attack), che – specifica la Leonardo – serve allo stesso tempo per l’addestramento e per «missioni di attacco al suolo con munizionamenti di caduta da 500 libbre e munizionamenti di precisione capaci di aumentare il numero di obiettivi da colpire contemporaneamente». La nuova versione del caccia – sottolinea la Leonardo – è particolarmente adatta a «missioni in aree urbane», dove caccia pesanti «vengono spesso utilizzati in missioni poco paganti e con alti costi operativi». L’ideale per i prossimi bombardamenti israeliani su Gaza, che potranno essere effettuati con «un costo per ora di volo che si riduce fino all’80%», e saranno molto «paganti», ossia uccideranno molti più palestinesi.

Manlio Dinucci

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/gli-f-35-bombardano-gaza

Con permesso

L’attacco saudita contro il Libano usando lo spazio aereo del Sinai egiziano probabilmente partirebbe dalla base aerea Re Faysal, nell’aeroporto regionale di Tabuq, quartier generale del 7.mo Stormo della Royal Saudi Air Force e sede della squadra acrobatica Saudi Hawks. La base aerea ospita gli avanzati F-15 e F-16 dell’Arabia Saudita, nonché gli aerei AWACS E-3A che sarebbero utilizzati per comando, controllo e comunicazioni nell’attacco saudita al Libano. Si ritiene che una “unità di addestramento” di guerra informatica dell’US Air Force sia assegnata alla base aerea. Sono inoltre stati avvistati aerei della Forza aerea israeliana nella base che trasportavano equipaggiamento militare nell’ambito di un accordo segreto tra Arabia Saudita e Israele che consente che la base aerea Re Faysal sia utilizzata da Israele come base d’appoggio per un attacco aereo israeliano all’Iran. Durante le operazioni israeliane nell’aeroporto, i voli civili vengono cancellati e i passeggeri ospitati, a spese del governo saudita, negli hotel a quattro stelle di Tabuq. È ironico che la base aerea Re Faysal venga utilizzata come hub per le operazioni militari israeliane. Re Faysal fu ucciso nel 1975 da un nipote appena tornato dagli Stati Uniti. Faysal, tra tutti i re sauditi era il più pro-palestinese e anti-israeliano, ed era noto che regalasse ai visitatori ufficiali del regno, tra cui il segretario di Stato Henry Kissinger, copie splendidamente rilegate e in rilievo d’oro de “I protocolli degli Anziani di Sion“.Traduzione di Alessandro Lattanzio

https://aurorasito.wordpress.com/2017/11/20/i-sauditi-chiedono-allegitto-il-permesso-di-sorvolo-per-colpire-il-libano/

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Accordo stracciato

Nella giornata odierna sono arrivate le prime reazioni negative al discorso del Presidente Donald Trump con cui questi ha rifiutato di “certificare”l’accordo sul nucleare con l’Iran, che aveva visto nel 2015 l’adesione da parte dell’Unione Europea, inclusa la Germania e la Gran Bretagna,  la Russia e la Cina. Di fatto Trump, con il suo discorso, ha stracciato l’accordo sulla base di motivazioni che sono parse pretestuose ed infondate ai più, visto che la stesssa AIEA aveva confermato che l’Iran stava rispettando del tutto le clausole di tale accordo e lo stesso parere era stato dato dagli altri paesi che avevano sottoscritto il trattato ( JCPOA) . A distanza di due anni Teheran ha dimostrato di adempiere ai patti e di rinunciare alla realizzazione di armi nucleari, Washington si ritira senza alcuna seria motivazione se non invocando il pretesto che l’Iran non avrebbe rispettato “lo spirito dell’accordo” sviluppando il suo arsenale di missili a lunga gittata e con “l’aiutare il terrorismo nella regione”. Una accusa che non regge visto che, proprio l’Iran,  assieme alla Russia, è stato il paese che si è dimostrato parte attiva nella sconfitta dell’ISIS e di Al Qaeda che, come noto, hanno ricevuto, per anni, carichi di armi ed aiuti dagli USA e dai loro alleati. In realtà le critiche degli osservatori sono basate  sul fatto che Washington si dimostra in questo caso inaffidabile per qualsiasi accordo internazionale, così come era avvenuto con la Libia ed in altri casi recenti.  Questo rischia di dare ragione a chi, come King Su, delal Corea del Nord,  ha dichiarato che le armi nucleari sono l’unica garanzia per il suo paese di non essere attaccato dagli USA, dato il fatto che Washington dimostra di non rispettare alcun accordo internazionale se non la legge della forza. Le reazioni negative si sono avute già da parte dei vari paesi della comunità internazionale ed in particolare da quelli che erano stati parte attiva nella conclusione dell’accordo con Teheran. La Federica Mogherini, rappresentante per l’Unione Europea, aveva messo in chiaro che l’accordo è multilaterale e non bilaterale e di conseguenza non può essere inficiato da uno solo dei contraenti ed un discorso simile è stato fatto anche dalla Teresa Mey da Londra e dal ministro Gabriel da Berlino. Per quanto riguarda la Russia, da Mosca giunge un chiaro avvertimento verso Washington. “La decisione degli Stati Uniti non aiuta il clima di sicurezza e di non proliferazione delle armi nucleari del mondo – ha detto Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin – e questa azione aggraverà seriamente la situazione del programma nucleare iraniano”. Altrattanta contrarietà è stata espressa dal responsabile agli Esteri della Repubblica Popolare Cinese che ha già avviato da tempo fruttuosi rapporti di cooperazione commerciale con l’Iran e non intende certo rinunciarvi per l’ossessione di Trump di boicottare Teheran per compiacere il governo Netanyahu ed il suo genero Jared Kushner, che sembra essere il “suggeritore occulto delle scelte di Trump nella politica USA in Medio Oriente. Una decisa reazione critica è venuta anche dal Congresso USA ed in particolare dalla esponente democratica Nancy Pelosi, la quale ha sostenuto che il rifiuto di Trump di ratificare l’accordo con l’Iran “è un grave errore che minaccia la sicurezza degli Stati Uniti e la nostra credibilità in un momento molto critico”, ha affermato la Pelosi che è anche la leader della minoranza democratica nella Camera dei Rappresentanti.

Nancy Pelosi

La Pelosi ha ribadito che l’Iran risulta aver adempiuto ai propri impegni derivanti dall’accordo conosciuto come JCPOA e che la decisione di Trump appare “frivola e pericolosa” e che rischia di isolare non l’Iran ma proprio gli stessi USA nello scenario mondiale e per questo risulta una decisione molto pericolosa. Il nuovo corso di Trump rischia di aprire quindi, dopo la Corea del Nord, dopo la Siria, dopo lo Yemen, dopo il Venezuela e Cuba, l’ennesima crisi nello scenario internazionale. Tutto lascia pensare che, tra la fine dell’anno in corso e l’inizio del 2018, il mondo non potrà navigare in acque molto tranquille. Analisi di Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/reazioni-negative-al-rifiuto-di-trump-di-ratificare-il-trattato-sul-nucleare-con-liran/

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Kurdistan

Cinquecento anni di guerra
Le popolazioni di etnia curda, a seguito della deliberata suddivisione anglo-francese dell’impero ottomano crollato dopo la prima guerra mondiale, ebbero negate la sovranità nazionale. La cultura curda precede la nascita dell’Islam e del cristianesimo, risalendo a circa 2500 anni fa. Etnicamente i curdi non sono arabi o turchi. Sono curdi. Oggi sono in prevalenza sunniti, ma i popoli etnicamente curdi contano 35 milioni di persone suddivise tra quattro Stati confinanti. La lotta contro i turchi, che l’invasero dalle steppe dell’Asia centrale durante la dinastia selgiuchide, alla metà del 12° secolo, fu lunga e travagliata. Nel 16° secolo le regioni curde furono il campo di battaglia delle guerre tra turchi ottomani e impero persiano. I curdi persero, proprio come i polacchi nei secoli scorsi. Nel 1514 il sultano turco offrì ai curdi ampia libertà e autonomia, se aderivano all’impero ottomano dopo la sconfitta dell’esercito persiano. Per gli ottomani i curdi fungevano da cuscinetto contro una futura possibile invasione persiana. La pace tra il sultanato turco e il popolo curdo durò fino al 19° secolo. Poi, quando il sultano turco decise di forzare i curdi dell’impero a rinunciare all’autonomia, nei primi anni del 19° secolo, i conflitti tra curdi e turchi ricominciarono. Le forze ottomane, consigliate dai tedeschi, tra cui Helmut von Moltke, intrapresero guerre brutali per soggiogare i curdi indipendenti. Le rivolte curde contro un sempre più fallito e brutale sultanato ottomano continuarono fino alla prima guerra mondiale, combattendo per uno Stato curdo indipendente da Costantinopoli. Nel 1916 l’accordo segreto anglo-francese Sykes-Picot chiese nel dopoguerra la spartizione del Kurdistan. In Anatolia, l’ala religiosa tradizionale del popolo curdo si alleò con il leader turco Mustafa Kemal, in seguito Kemal Ataturk, per evitare il dominio degli europei cristiani. Kemal andò dai capi tribali curdi a chiedere aiuto nella guerra per liberare la Turchia moderna dalle potenze coloniali europee, in particolare inglesi e greci. I curdi combatterono nel 1922 a fianco di Kemal nella guerra d’indipendenza turca per liberare l’Anatolia occupata e creare una Turchia indipendente dall’occupazione inglese e greca. I sovietici sostennero Ataturk e i curdi contro l’alleanza anglo-greca. Nel 1921 la Francia cedette una delle quattro regioni curde in Siria, bottino di guerra francese assieme al Libano. Nel 1923 alla Conferenza di Pace di Losanna, le potenze europee riconobbero formalmente la Turchia di Ataturk, piccola parte dell’impero ottomano pre-bellico, e cedettero la maggior parte della popolazione curda in Anatolia alla nuova Turchia indipendente, senza garanzie di autonomia o diritti. I curdi iraniani vissero in costante conflitto e dissenso con il governo dello Shah. Infine, il quarto gruppo curdo fu solo assegnato dal Sykes-Picot al dominio inglese chiamato Iraq. C’erano note ricchezze petrolifere presso Mosul e Qirquq. La regione era rivendicata da Turchia e Gran Bretagna, mentre i curdi chiesero l’indipendenza. Nel 1925 la Gran Bretagna ottenne dalla Lega delle Nazioni il mandato sull’Iraq ricco di petrolio compresi i territori curdi. Gli inglesi promisero di permettere ai curdi di avere un governo autonomo, un’altra promessa non mantenuta nella sordida storia delle avventure coloniali inglesi nel Medio Oriente. Alla fine del 1925 il Paese dei curdi, conosciuto dal 12° secolo come Kurdistan, fu diviso tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, e per la prima volta in 2500 anni fu privato dell’autonomia culturale.

Mentre la Russia ritira gran parte dei suoi aerei, negli ultimi giorni Mosca ha chiarito che manterrà la base navale di Tartus e la base aerea di Humaymim nei pressi di Lataqia, così come le avanzate batterie antiaeree S-400 per impedire eventuali attacchi aerei da Turchia e Arabia Saudita sulla regione autonoma curda della Siria. Inoltre, la Russia non ha ritirato i caccia Su-30SM e Su-35 da Humaymim, dimostratisi nelle prime settimane dell’intervento russo abbastanza impressionanti, assieme agli aerei d’attacco a lungo raggio Su-34 che possono attaccare obiettivi in Siria decollando dalla Russia meridionale, se necessario. Anche i missili da crociera russi, dalla gittata di 1500 chilometri (Kalibr) e 4500 km (Kh-101) possono decollare dal Caspio. Il curdo PYD e il suo braccio armato in Siria espandono aggressivamente il territorio controllato lungo il confine siriano-turco. Ankara è allarmata, per usare un eufemismo. Il PYD è una filiale del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partiya Karkeren Kurdistane) o PKK, in sanguinosa guerra per la sopravvivenza contro l’esercito turco. La Russia riconosce il PKK, che ha sostenuto contro il membro della NATO Turchia, durante la guerra fredda, e il PYD. Il PKK fu fondato dal curdo turco Abdullah Oçalan nel 1978, e fu sostenuto da Russia e Unione Sovietica fin dall’inizio. Le relazioni russo-curde risalgono alla fine del 18° secolo. Negli anni ’80, nel periodo della Guerra Fredda, la Siria di Hafiz al-Assad, padre di Bashar, era uno Stato cliente sovietico e vitale sostenitore del PKK, fornendo al gruppo basi sicure in Siria. E in Siria, il braccio armato del PYD ha ricevuto armi e supporto aereo russi per espandere aggressivamente il territorio che controlla lungo il confine siriano-turco, negli ultimi mesi, quindi non sorprende che a Mosca, e non a Washington, il PYD ha scelto di aprire il primo ufficio di rappresentanza estera….

Alleanza russo-israelo-curda?
Come con i curdi iracheni, i curdi della Siria partecipano ai colloqui dietro le quinte con il governo Netanyahu per stabilire delle relazioni. Secondo la professoressa Ofra Bengio, a capo del programma di studi curdi dell’Università di Tel Aviv, in un’intervista a The Times of Israel, i curdi siriani sono disposti ad avere relazioni con Israele, così come con la Russia. Bengio ha dichiarato, riferendosi ai capi curdi siriani, “so che alcuni si sono recati di nascosto in Israele, senza pubblicizzarlo“, e lei stessa ha detto di aver avuto contatti personali con i curdi siriani che sarebbero disposti ad avere rapporti. “Come con i curdi dell’Iraq, dietro le quinte. Una volta che si sentiranno più forti, si potrà pensare a relazioni aperte”, aveva detto. Nel 2014, Netanyahu dichiarò: “Dobbiamo… sostenere l’aspirazione curda all’indipendenza“, aggiungendo che i curdi sono “una nazione di combattenti (che) ha dimostrato impegno politico e di essere degna dell’indipendenza”.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/04/15/autonomia-curda-piano-b-di-kerry-o-piano-a-di-putin/