La Pirelli del Celeste Impero

di Giorgio Vitangeli

Agnelli, Pirelli, padroni gemelli! Era questo il grido che ritmavano nei cortei i contestatori  dell’ultrasinistra negli anni settanta.  Allora, una quarantina d’anni or sono, Gianni Agnelli e Leopoldo Pirelli impersonavano il capitalismo privato italiano, ne erano l’immagine più rappresentativa.

Agnelli e Pirelli, destini gemelli, si potrebbe chiosare oggi. La Fiat, sigla e marchio che stava per Fabbrica Italiana Automobili Torino, è divenuta Fiat Chrysler Automobiles,  ha la sede sociale in Olanda e quella fiscale in Inghilterra; la Pirelli  in base ad un accordo  concluso domenica 22 marzo viene comprata dalla  China National Chemical Corporation, società statale cinese.

I termini dell’accordo sono ormai noti.  Sino a ieri il socio di riferimento di Pirelli, col 26,2% del capitale, era la società Camfin, formata da Marco Tronchetti Provera, che aveva sposato  in seconde nozze Cecilia Pirelli figlia di Leopoldo Pirelli, da Banca Intesa, da Unicredit e dalla società russa Rosneft. Ora verrà costituita una newco, cioè una nuova società cui la Camfin venderà la sua partecipazione in Pirelli, reinvestendovi una parte dell’incasso. Già in prima battuta in questa nuova società i cinesi della China National Chemical  avranno la maggioranza assoluta, cioè il 50,1%, restando agli altri soci il 49,9. Subito dopo però la newco lancerà un’Opa totalitaria, cioè un’offerta pubblica di acquisto del capitale restante della Pirelli,  ed al termine di questa operazione la quota dei cinesi dovrebbe salire a due terzi circa del capitale, cioè al 65%, ai soci italiani resterà  il 22,4%, ed ai russi della Rosneft il 12,6%.

Ovviamente cambierà anche l’assetto del Consiglio di amministrazione: Marco Tronchetti Provera resterà amministratore delegato per altri quattro anni, i consiglieri diverranno 16: otto cinesi, tra cui il presidente, ed otto in rappresentanza degli altri azionisti. Ma in caso di disaccordo, il voto del presidente varrà doppio.

In parole  povere: a  comandare saranno i cinesi.

Il resto sono dettagli. Il “quartier generale” – si afferma – resterà in Italiai. La società dovrebbe essere cancellata dal listino della Borsa italiana e tornarvi tra quattro anni. Il settore degli pneumatici industriali sarà integrato nella  Aeolus, società partecipata della China Chemical, mentre la produzione in Italia si concentrerà sugli pneumatici per automobili.

Per Marco Tronchetti Provera l’accordo coi cinesi “rappresenta una grande opportunità per la Pirelli”. Frasi di circostanza che hanno il sapore amaro d’una presa in giro. La verità è che un altro pezzo importante del nostro apparato industriale, un altro nome significativo della storia della nostra industria è comprato da capitale straniero, e non è più sotto controllo italiano.

E’ la globalizzazione, ed è bene che i capitali stranieri vengano in Italia, ha commentato un politico di governo.

Sarà anche vero, ma ci sono due cose difficili da capire. La prima è perché con la globalizzazione a comprare siano sempre gli altri, ed a vendere sempre noi, e quando abbiamo provato a comprare, ci hanno dato bacchettate sulle dita.

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Contro lo Stato (e gli statali)

Per quanto riguarda l’attacco al lavoro dipendente, nel nostro paese, possiamo distinguere tre fasi principali, dell’ampiezza di una decina di anni ciascuna, con la prima che è cominciata quando il neocapitalismo, di là a un paio di decenni dominante, era ancora in embrione:

1)    Anni ottanta, con l’avvio simbolico dato dalla celebre marcia dei quarantamila fiat, orchestrata dall’azienda contro il pci di Berlinguer, la fiom di Galli e la cgil di Lama, e l’esiziale attacco alla scala mobile del 1984.

2)    Anni novanta, per intenderci quelli di Biagi consulente governativo, dal 1995 del ministro del lavoro Tiziano Treu, e del famigerato pacchetto Treu, legge n.196 del 24 giugno 1997, che ha introdotto in Italia il lavoro interinale (o somministrato), garantendo, per gli anni a venire e senza toccare lo Statuto dei Lavoratori (aggiramento) lavoro a termine sottopagato a volontà.

3)    Primi duemila, fino ad oggi, anni in cui la precarietà è entrata in circolo come un veleno nel sistema – senza alcun duraturo beneficio per la produzione e l’occupazione, non evitando le chiusure aziendali, distruggendo il futuro di molti e limitandone la professionalità – e in cui è iniziato l’attacco al lavoro dipendente che gode dei “vecchi contratti” a tempo indeterminato, con un’estesa complicità sindacale, fino alla minaccia dell’assalto finale neoliberista all’ultimo santuario degli stabilizzati, cioè l’impiego pubblico.

estratto da: http://pauperclass.myblog.it/archive/2013/08/21/agosto-statale-mio-non-ti-conosco-di-eugenio-orso-anatolio-a.html