Genova si spegne

Riceviamo questo comunicato che pubblichiamo perché è una situazione che diventerà comune:

**Genova si spegne.**

Dopo anni in cui la politica cittadina ha puntato sulla cultura come
volano per il rilancio della città, si spengono le luci dei teatri,
dei festival, dei concerti.

Si spengono oggi: il Comune non ha approvato il bilancio e la
stragrande maggioranza delle manifestazioni culturali non potrà
essere realizzata fino alla fine del 2012.

Alcune, dopo questa micidiale paralisi, non saranno più in grado di
rialzarsi.

Questo avverrà anche perché ad oggi la Regione Liguria non ha
stanziato neppure 1 euro sul capitolo cultura.

Cosa succederà, quindi?

Prima di tutto i cittadini non avranno più i servizi culturali che,
da Voltri a Nervi, dal centro a Bolzaneto, in questi anni hanno
aumentato la qualità della vita per i residenti e attratto i turisti.
Dove c’è un teatro, un festival, un concerto c’è vita, c’è
commercio, c’è un argine al disagio; la vivacità culturale di una
città rappresenta l’identità dei cittadini che la abitano, è il
suo biglietto da visita per il mondo, è uno dei perché valga la pena
vivere in quella città e non scappare via.

La vivacità culturale di Genova è uno dei motivi per cui la si ama.

Ma a Genova da oggi è il buio. Il bilancio non è approvato: le luci
della città si spengono (e i circa mille lavoratori dello spettacolo
restano a spasso).

Questa mortificazione per Genova è un assurdo controsenso rispetto a
quanto è emerso dalle pioneristiche indagini che l’Assessorato alla
Cultura del Comune ha condotto sui teatri e sui festival genovesi:
cioè che essi non solo rappresentano lavoro e indotto, ma che gli
investimenti pubblici sul settore alla città ritornano moltiplicati.
Da queste indagini, risulta che i genovesi sono assidui e appassionati
frequentatori di teatro: in un anno oltre 600mila presenze in una
città delle nostre dimensioni rappresenta un caso straordinario in
Italia.

Anche per i festival i dati sono significativi: il pubblico coinvolto
nel 2011 è di 183.000 persone.

Tutto ciò significa, ancora, che i genovesi considerano lo
spettacolo dal vivo e la cultura in generale un genere di prima
necessità; che condividono quanto un giornale attento alla crescita
economica come Il Sole 24 Ore sta da settimane ribadendo a gran voce:
ovvero che senza cultura non c’è sviluppo. Cosa succede invece?

Non approvando il bilancio comunale, non possono essere emessi i
Bandi a cui i teatri e i festival cittadini partecipano per ottenere
gli indispensabili (e sobri) contributi per far vivere la città.
Questi Bandi per lo spettacolo, dopo anni di contributi “senza
regole”, sono stati perfezionati dall’Assessorato alla Cultura per
offrire criteri di valutazione e trasparenza nell’erogazione dei
fondi. Vogliamo buttare via tutto questo lavoro?

Questi Bandi sono finanziati dai soldi dei genovesi e si traducono in
un ottimo rapporto costi/benefici: lo spettacolo a Genova si intreccia
indissolubilmente con il mondo della scuola, con il turismo, il
commercio, il sociale, settori che contribuisce a rivitalizzare e
alimentare.

La mancata approvazione del bilancio sarà un gravissimo danno anche
per questi settori.

Ci sono pochissimi giorni per riparare a questo buio.

Ci auguriamo che il senso di responsabilità verso la città
prevalga.

Per quanto ci riguarda non corriamo alcun rischio: la situazione a Bondeno l’abbiamo descritta in un precedente articolo e non sembra destinata a cambiare.

La fuga dei talenti

IL MANIFESTO:

1. Il fenomeno dell’espatrio dei giovani professionisti qualificati dall’Italia è un’emergenza nazionale. Si parte, ma non si torna (se non per assoluta necessità), né si attraggono giovani di talento da altri Paesi. In Italia non esiste “circolazione” dei talenti.

2. L’Italia non è un Paese per Giovani. È per questo che siamo dovuti andar via, o non possiamo a breve farvi ritorno. L’Italia è un Paese col freno a mano tirato, nella migliore delle ipotesi. Un Paese dove la classe dirigente -che si autoriproduce da decenni- ha fallito. All’estero i giovani hanno uguale diritto di cittadinanza delle generazioni che li hanno preceduti.

3. Il processo selettivo all’estero è di gran lunga più trasparente e meritocratico rispetto all’Italia. Anche la quantità di offerte lavorative è maggiore, di migliore qualità e meglio pubblicizzata.

4. Il percorso di carriera all’estero è chiaro, definito e prevede salari mediamente di gran lunga maggiori rispetto all’Italia, soprattutto per giovani neolaureati.

5. All’estero non conta l’anagrafe: puoi ottenere posizioni di responsabilità a qualsiasi età, se vali. Anche a 25 anni.

6. La “raccomandazione” all’estero è trasparente: chi segnala ci mette la faccia e si gioca la reputazione. In Italia è nascosta, premia i mediocri, i “figli-nipoti-cugini di” e i cooptati. Il nepotismo è una piaga nazionale, da debellare anche mediante l’introduzione di uno specifico reato penale.

7. All’estero si scommette sulle idee dei giovani. Le si finanzia e le si sostiene, nel nome dell’innovazione. In Italia -invece- i finanziamenti vanno prevalentemente a chi ha un nome o un’affiliazione.

8. All’estero esiste -in molti casi- un welfare state che sostiene i giovani, per esempio attraverso un reddito minimo di disoccupazione o sovvenzioni per il pagamento dell’affitto. In Italia il Welfare State è quasi interamente “regalato” agli anziani. I giovani sono abbandonati a se stessi, a carico delle famiglie. Il vero “ammortizzatore sociale” nel Belpaese sono le famiglie: lo Stato, la politica, hanno fallito.

9. All’estero esiste il ricambio generazionale: in politica, come in imprenditoria, come nell’accademia o negli altri settori della società civile, le generazioni si cedono il passo, per far progredire la società.

10. Noi giovani professionisti italiani espatriati intendiamo impegnarci, affinché l’Italia torni ad essere un “Paese per Giovani”, meritocratico, moderno, innovatore. Affinché esca dalla sua condizione terzomondista, conservatrice e ipocrita. E torni ad essere a pieno titolo un Paese europeo e occidentale. Ascoltate la nostra voce!

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Ancora sulle centrali a biogas

foto di Lauro Casoni

Su wikipedia, sotto la voce biogas, appare nelle note un nostro articolo e precisamente:

questo; per completezza citiamo anche gli altri sullo stesso argomento (il primo in particolare, contiene due interessanti articoli tecnici, scaricabili):

http://www.bondeno.com/2011/01/12/la-centrale-conviene/

http://www.bondeno.com/2011/11/16/fotovoltaico/

Di seguito l’articolo originario:

Ho assistito all’incontro, svoltosi al centro sociale di Borgo, in merito alla centrale a biogas prevista in Via Frattina. Il Comitato Vigarano Pulito ha gestito la serata con molto equilibrio e buon senso. Mi corre l’obbligo di rilevare come 2 dei 3 candidati a Sindaco presenti, sebbene facciano parte di forze politiche che vogliono le centrali nucleari nel nostro paese, si siano scoperti novelli ambientalisti schierandosi contro le centrali a biogas. Sono i miracoli della campagna elettorale. Sulla situazione di Via Frattina sarà l’Amministrazione Comunale di Vigarano ad approfondire le tematiche in discussione, tenendo conto degli interessi legittimi dei cittadini che abitano nella zona. Sul tema delle centrali a biomasse in generale, voglio sottolineare la contraddittorietà della normativa di riferimento e la necessità urgente di linee guida da parte della Regione per evitare situazioni al limite dell’assurdo. Questo tipo di centrali è gestito da imprese agricole che hanno fior di contributi comunitari per 15 anni. Al tempo stesso, queste centrali sono industrie insalubri che, ai sensi della normativa vigente, non devono nuocere alla salute del vicinato per quanto riguarda lo scarico di acque reflue, le emissioni in atmosfera, gli odori, i rumori, le vibrazioni e i campi elettromagnetici. Se un’abitazione è circondata da centrali a biogas, come succede a Bondeno in Via per Zerbinate, chi vi abita come può non essere danneggiato dalla presenza della centrale? Come si può negare che a volte vi siano miasmi insopportabili? Le linee guida regionali sono importanti per definire le distanze dalle abitazioni, il numero e la localizzazione degli impianti e, magari, a mio avviso, per considerare in maniera diversa le aziende agricole che impiantano una centrale a biogas legata alla propria attività utilizzando gli scarti di produzione o i residui dell’allevamento, rispetto a quelle che sono più che altro società di scopo, nate solo per produrre energia, senza nessun collegamento con l’agricoltura. In questa situazione normativa stiamo assistendo ad una corsa al biogas senza nessuna vera regola. Ad oggi non si sa nemmeno quante siano le domande depositate nell’intero territorio provinciale perché le autorizzazione per le centrali con potenza inferiore ad un 1mw elettrico possono essere richieste esclusivamente ai Comuni. Facendo alcune verifiche, si scopre che società diverse, che hanno richiesto l’autorizzazione in Comuni diversi, hanno lo stesso rappresentante legale, gli stessi soci e la stessa sede legale, che non è presso un’impresa agricola, bensì presso un commercialista! Si scopre che alcune società, che dovrebbero avere ad oggetto l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, presentano richiesta di autorizzazione di impianto a biogas mesi prima di essere iscritte nel registro delle imprese agricole! Oppure che non hanno la conduzione di terreni tale da sostenere un impianto a biomasse e nemmeno hanno in essere contratti con eventuali fornitori. Credo che le contraddizioni siano fin troppo evidenti. Vanno risolte a tutela delle vere imprese agricole che vogliono produrre energia, a tutela dei cittadini e degli interessi collettivi, con una normativa e con regolamenti attuativi più chiari e puntuali, che tengano conto della realtà.

Giovanni Nardini

Consigliere Comunale e Provinciale PD