La Russia, territorio libero di Europa

Nel 2022 ricorreranno sia il centenario della nascita sia il trentennale della morte di Jean Thiriart (1922-1992), un “geopolitico militante”[1] di cui “Eurasia” si è occupata più volte, rendendo accessibili al pubblico italiano numerosi articoli da lui pubblicati su periodici oggi praticamente irreperibili[2]. Strenuo e indefesso propugnatore, nell’Europa divisa tra il blocco atlantico e quello euro-sovietico, della necessità storica di “edificare una grande Patria: l’Europa unitaria, potente, comunitaria”[3], nel 1964 Thiriart ne indicò le dimensioni geografiche e demografiche: “Nel contesto di una geopolitica e di una civiltà comune (…) l’Europa unitaria e comunitaria si estende da Brest a Bucarest. (…) Contro i 414 milioni di Europei vi sono i 180 milioni di abitanti degli USA e i 210 milioni di abitanti dell’URSS”[4]. Concepito come terza forza sovrana ed armata, indipendente da Washington e da Mosca, l’“impero di 400 milioni di uomini” preconizzato da Thiriart avrebbe dovuto instaurare con l’URSS un rapporto di coesistenza basato su condizioni precise: “Con l’URSS una coesistenza pacifica non sarà possibile se non dopo che tutte le nostre province dell’Est avranno riacquistata l’indipendenza. La vicinanza pacifica con l’URSS comincerà il giorno in cui questa retrocederà entro le frontiere del 1938. Ma non prima: ogni forma di convivenza che possa implicare la divisione dell’Europa non è che una frode”[5]. Secondo Thiriart la coesistenza pacifica tra l’Europa e l’URSS avrebbe avuto il suo esito più logico in “un asse Brest-Vladivostok. (…) Se l’URSS vuole conservare la Siberia, deve fare la pace con l’Europa, con l’Europa da Brest a Bucarest, lo ripeto. L’URSS non ha, ed avrà sempre meno, la forza per conservare Varsavia e Budapest da una parte e Chita e Khabarovsk dall’altra. Dovrà scegliere, o rischiare di perdere tutto. (…) L’acciaio che si produce nella Ruhr potrebbe servire benissimo a difendere Vladivostok”[6].

L’asse Brest-Vladivostok teorizzato all’epoca da Thiriart sembrava avere più che altro il significato di un accordo finalizzato a definire le rispettive aree d’influenza dell’Europa unitaria e dell’URSS, poiché “nella prima metà degli anni Sessanta Thiriart ragiona ancora nei termini di una geopolitica ‘verticale’[7], che lo porta a pensare secondo una logica più ‘eurafricana’ che ‘eurasiatica’, ovvero a delineare un’estensione dell’Europa da Nord a Sud e non da Est a Ovest”[8].

Lo scenario abbozzato nel 1964 venne sviluppato da Thiriart negli anni successivi, cosicché nel 1982 egli poteva definirlo nel modo seguente: “Non bisogna più ragionare o speculare in termini di conflitto fra l’URSS e noi, ma in termini di avvicinamento e poi di unificazione. (…) bisogna aiutare l’URSS a completarsi nella grande dimensione continentale. Ciò triplicherà la popolazione sovietica, che per questo fatto stesso non potrà più essere una potenza a dominante ‘carattere russo’. (…) Sarà la fisica della storia a costringere l’URSS a cercare rive sicure: Reykjavik, Dublino, Cadice, Casablanca. Al di qua di questi limiti l’URSS non avrà mai tranquillità e dovrà vivere in una preparazione militare incessante. E costosa”[9].

Ormai la visione geopolitica di Thiriart era diventata dichiaratamente eurasiatista: “L’Impero euro-sovietico – si legge in un suo articolo del 1987 – si inscrive nella dimensione eurasiatica”[10]. Tale concetto venne da lui ribadito nel lungo discorso pronunciato a Mosca tre mesi prima di morire: “L’Impero europeo – disse – è, per postulato, eurasiatico”[11].

L’idea di un “Impero euro-sovietico” venne formulata da Thiriart in un libro scritto nel 1984 e uscito postumo nel 2018[12]. Nel 1984, scriveva l’autore, “la storia conferisce ai Sovietici l’eredità, il ruolo, il destino che per un breve momento era stato assegnato al Reich: l’URSS è la principale potenza continentale in Europa, è l’heartland dei geopolitici. Il mio discorso attuale è rivolto ai capi militari di quel magnifico strumento che è l’Armata sovietica, uno strumento al quale manca una grande causa”[13]. Partendo dalla constatazione che nel mosaico europeo costituito di Stati satelliti degli USA e dell’URSS l’unico Stato realmente indipendente, sovrano e militarmente forte era quello sovietico, Thiriart assegnava all’URSS un ruolo analogo a quelli svolti dal Regno di Sardegna nel processo di unificazione italiana e dal Regno di Prussia nel mondo germanico o, per citare un parallelo storico più antico proposto dallo stesso Thiriart, dal Regno di Macedonia nella Grecia del IV secolo a.C.: “La situazione della Grecia del 350 a.C., frantumata in Stati cittadini rivali e spartita fra le due potenze dell’epoca, Persia e Macedonia, presenta un’evidente analogia con la situazione dell’attuale Europa occidentale, divisa in piccoli e deboli Stati territoriali (Italia, Francia, Inghilterra, Germania federale) sottomessi alle due superpotenze”[14]. Perciò, come vi fu un partito filomacedone ad Atene, così sarebbe stato opportuno creare nell’Europa occidentale un partito rivoluzionario che collaborasse con l’Unione Sovietica; la quale, oltre a liberarsi dalle pastoie ideologiche dell’incapacitante dogmatismo marxista, avrebbe dovuto evitare ogni tentazione di instaurare un’egemonia russa sull’Europa, altrimenti la sua impresa sarebbe inevitabilmente fallita, così come era fallito il tentativo napoleonico di instaurare un’egemonia francese sul continente. “Non si tratta – precisava Thiriart – di preferire un protettorato russo ad un protettorato americano. No. Si tratta di fare scoprire ai Sovietici, i quali probabilmente ne sono inconsapevoli, il ruolo che essi potrebbero svolgere: ingrandirsi identificandosi con tutta l’Europa. Così come la Prussia, ingrandendosi, diventò l’Impero tedesco. L’URSS è l’ultima potenza europea indipendente che dispone di un’importante forza militare. Ad essa manca l’intelligenza storica”[15].

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Da trent’anni l’URSS non esiste più. Tuttavia la Federazione Russa, col suo immenso territorio esteso dalla Crimea fino a Vladivostok, è oggi, come l’URSS nel 1984, l’unico Stato realmente indipendente e sovrano in un’Europa che, invece, è frazionata in una moltitudine di staterelli sottoposti all’egemonia di Washington. Infatti l’unico territorio europeo che non sia occupato dalle basi militari degli USA o della NATO è quello russo. L’unico esercito che non sia integrato in un’organizzazione militare egemonizzata dagli Stati Uniti d’America è quello della Federazione Russa. L’unica capitale europea che non sia tenuta a chiedere permessi agli USA e a render loro conto è Mosca. Ed anche sul piano spirituale ed etico è soltanto la Russia a difendere quei valori che, patrimonio dell’autentica civiltà europea come di ogni civiltà normale, sono bersaglio della massiccia offensiva scatenata dai barbari d’Occidente “contro i fondamenti di tutte le religioni del mondo e contro il codice genetico delle civiltà, con l’obiettivo di abbattere tutti gli ostacoli sulla via del liberalismo”. Sono parole del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che in un’analisi apparsa sulla rivista russa “Russia in Global Affairs” ha denunciato il pericolo mortale della “guerra in atto contro il genoma umano, contro ogni etica e contro la natura”[16].

In un’Europa ormai incapace anche semplicemente di immaginare la possibilità e la legittimità di un regime politico diverso da quello democratico che le è stato imposto nelle due fasi successive del 1945 e del 1989, soltanto la classe di governo russa si dimostra consapevole del fatto che la democrazia non è per nulla l’unico ordinamento possibile, indistintamente valido in ogni luogo della terra, indipendentemente dalle specificità etniche, culturali e religiose. Ad esempio, commentando l’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan, Sergej Lavrov ha detto: “Probabilmente la conclusione più importante è che non bisogna insegnare a nessuno come vivere, tanto meno costringerlo”; ed ha ricordato i casi dell’Iraq, della Libia e della Siria, dove “gli americani volevano far vivere tutti come avrebbero voluto”[17]. Qualche giorno prima, il 20 agosto 2021, Vladimir Putin aveva impartito all’Europa rincretinita la stessa lezione di realismo politico, contro “il Moloch dell’universale” – tanto per usare l’espressione coniata da un filosofo connazionale del Presidente russo, Vissarion G. Belinskij (1811-1848). Ha dichiarato testualmente Putin: “Non si può imporre il proprio stile di vita ad altri popoli, perché hanno le loro tradizioni. Questa è la lezione da trarre da quanto accaduto in Afghanistan. D’ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia, che uno lo voglia o no”[18].

La circostanza nella quale Putin ha pronunciato queste parole, una conferenza stampa con la cancelliera tedesca, avrà forse richiamato alla mente di qualcuno le parole visionarie di Dostoevskij: “La Germania ha bisogno di noi più di quel che pensiamo. E non ha bisogno di noi solo per una temporanea alleanza politica, ma per un’alleanza sempiterna. L’idea di una Germania riunificata è grandiosa e maestosa e affonda le radici nella notte dei tempi. (…) Due grandi popoli, dunque, sono destinati a mutare il volto di questo mondo”[19].

Oggi ad aver bisogno della Russia non è soltanto la Germania, ma tutta l’Europa, precipitata ormai in prossimità del punto critico che Dostoevskij intravide allorché presagì che “tutte le grandi potenze dell’Europa finiranno per essere annientate, per la semplice ragione che saranno logorate e sovvertite dalle tendenze democratiche”[20] e che la Russia avrebbe solo dovuto attendere “il momento in cui la civiltà europea giungerà all’ultimo respiro, per raccoglierne ideali e obbiettivi”[21].

Certo, la situazione attuale non induce la Russia a prendere in considerazione, anche solo come possibilità teorica, l’assunzione del ruolo di potenza aggregatrice dell’Europa. Tuttavia, se a Mosca ancora manca quella che Jean Thiriart chiamava l’“intelligenza storica” necessaria a concepire il disegno grandioso della liberazione dell’Europa dall’occupazione americana e della costruzione di una superpotenza imperiale compresa fra l’Atlantico e il Pacifico, a favorire la nascita di una tale intelligenza saranno probabilmente le condizioni oggettive che la Russia si troverà a dover affrontare nei prossimi anni.

Claudio Mutti in https://www.eurasia-rivista.com/la-russia-territorio-libero-deuropa/

Perché odiano Putin

La grottesca farsa della spia russa che corrompe un ufficiale italiano per farsi dare notizie che compaiono su Wikipedia, messa in piedi artificialmente per assicurare Biden che l’Italia non si sottrarrà al dovere di azzannare Putin – si sa che Draghi ci tiene particolarmente ad essere servo e a mostrarlo – riporta in primo piano l’ossessione antirussa della Casa Bianca, così forte e irrazionale da aver causato lo stretto coordinamento tra Mosca e Pechino che sta diventando un  ostacolo insormontabile per gli Usa. Certo le elite americane sono  ormai di una mediocrità straordinaria e vengono guidate dall’odore del sangue come gli squali  tuttavia l’odio antirusso con tutta la sua virulenza è davvero inspiegabile e precede di molto le vicende della Siria o dell’Ucraina nelle quali Putin ha reagito con determinazione umiliando la tracotanza americana. Le ragioni profonde non appartengono a questo secolo, ma  risalgono al crollo dell’Unione sovietica, quando gli Stati Uniti e con essi il codazzo degli ascari europei che al tempo contavano ancora qualcosa, si illusero di aver spezzato per sempre la potenza russa ed erano certi che quell’ubriacone di Elstin, un burattino incapace, avrebbe trasformato l’Urss in sorta di Polonia un po’ più grande. Erano così convinti di aver vinto la guerra fredda che furono persino coniate medaglie a ricordo dell’avvenimento: da allora in poi – si dicevano – le immense risorse russe sarebbero state a disposizione degli speculatori occidentali creando .un territorio senza leader, senza cultura e  senza storia il cui unico scopo sarebbe quello di fornire risorse per l ‘”Occidente trionfante”.

Poi è arrivato Putin, un personaggio praticamente sconosciuto in occidente  e ha immediatamente invertito la rotta della Russia verso il baratro. In primo luogo, ha affrontato le due minacce più urgenti, gli oligarchi e l’insurrezione wahabita nel Caucaso, con una velocità e una determinazione che ha sbalordito e che per di più prescindeva totalmente dal chiedere il permesso dell’impero che peraltro aveva creato i problemi a cui il leader russo ha fatto fronte. Così l’Occidente è entrato in una sorta di shock che ha via via dato origine a una frenesia russofobica che non si vedeva dai tempi del regime nazista in Germania. La stupidità assoluta di questo atteggiamento non ha affatto logorato il leader russo, anzi ha risvegliato l’orgoglio della nazione che si è sentita circondata e ha fatto di Putin uno degli uomini simbolo della rinascita. Rinascita che ha attraversato la fine degli anni 90 ed è proseguita nel primo decennio di questo secolo senza dare troppo nell’occhio fino a che nel 2013 la Russia è “tornata”: in quell’anno ha fermato l’ attacco Usa – Nato alla Siria (qui il pretesto erano le armi chimiche siriane). Nel 2014 ha dato il suo sostegno alla rivolta del Donbass contro il regime ucronazista a Kiev, nello stesso anno ha usato i suoi militari per consentire alla popolazione della Crimea di votare su un referendum per unirsi alla Russia . Infine, nel 2015, la Russia ha sbalordito l’Occidente con un intervento militare estremamente efficace in Siria . Quasi all’improvviso gli Usa si sono trovati di fronte a una macchina militare molto efficiente, ad armi del tutto nuove e spesso molto più performanti di quelle occidentali rimaste al palo grazie a un senso di onnipotenza mal riposta e a un personaggio che non ha la minima intenzione di piegarsi, anche se fa sfoggio di prudenza,

leggi tutto su https://ilsimplicissimus2.com/2021/04/03/perche-odiano-putin/

Perché preoccuparsi?

Il capo di stato maggiore dell’Esercito e l’Agenzia di ricerca del Pentagono informano dunque che tra non molto gli Stati Uniti schiereranno in Europa (si parla di una probabile prima base in Polonia o Romania) missili ipersonici armati di  «vari carichi bellici», ossia di testate nucleari e convenzionali. I missili ipersonici nucleari a raggio intermedio installati su «piattaforme terrestri mobili», ossia su speciali veicoli, potranno essere rapidamente dispiegati nei paesi NATO più vicini alla Russia (ad esempio le repubbliche baltiche). Avendo già oggi la capacità di volare a circa 10.000 km/h, i missili ipersonici saranno in grado di raggiungere Mosca in circa 5 minuti.

Anche la Russia sta realizzando missili ipersonici a raggio intermedio ma, lanciandoli dal proprio territorio, non può colpire Washington. I missili ipersonici russi potranno però raggiungere in pochi minuti le basi USA, anzitutto quelle nucleari come le basi di Ghedi e Aviano, e altri obiettivi in Europa. La Russia, come gli Stati Uniti e altri, sta schierando nuovi missili intercontinentali: l’Avangard è un veicolo ipersonico con raggio di 11.000 km e armato di più testate nucleari che, dopo una traiettoria balistica, plana per oltre 6.000 km alla velocità di quasi 25.000 km/h. Missili ipersonici li sta realizzando anche la Cina. Poiché i missili ipersonici sono guidati dai sistemi satellitari, il confronto si svolge sempre più nello spazio: a tale scopo è stata creata nel 2019 dall’amministrazione Trump la Forza Spaziale USA.   

Le armi ipersoniche, di cui vengono dotate anche le forze aeree e navali che hanno maggiore mobilità, aprono una nuova fase della corsa agli armamenti nucleari, rendendo in gran parte superato il trattato New Start appena rinnovato da USA e Russia. La corsa passa sempre più dal piano quantitativo (numero e potenza delle testate nucleari) a quello qualitativo (velocità, capacità penetrante e dislocazione geografica dei vettori nucleari).

La risposta, in caso di attacco o presunto tale, viene sempre più affidata all’intelligenza artificiale, che deve decidere il lancio dei missili nucleari in pochi secondi o frazioni di secondo. Aumenta in modo esponenziale la possibilità di una guerra nucleare per errore, rischiata più volte durante la Guerra Fredda. Il «Dottor Stranamore» non sarà un generale pazzo, ma un supercomputer impazzito. Mancando l’intelligenza umana per fermare questa folle corsa alla catastrofe, dovrebbe almeno scattare l’istinto di sopravvivenza, risvegliatosi finora solo per il Covid-19.”

Da Missili ipersonici USA In Europa a 5 minuti da Mosca, di Manlio Dinucci.

Libia, la guerra continua

Il Supremo Consiglio delle tribù e città libiche nella regione occidentale dichiarava che “ciò che accade nella capitale Tripoli negli ultimi 8 anni non è altro che ingerenza delle milizie e del loro controllo sulle articolazioni dello Stato, con l’aiuto dei terroristi e guidati da capi stranieri”. Il Consiglio dichiarava che tali milizie usavano l’immigrazione clandestina come fonte di reddito, assieme a contrabbando di droga e carburante, furto di fondi bancari, e che ricorrevano all’intervento straniero, culminato nella violazione della sovranità nazionale della Libia. La dichiarazione condannava l’attacco aereo straniero sulla città di Tarhuna, uccidendo civili e soldati dell’esercito popolare. Il Consiglio esprimeva stupore per la Missione delle Nazioni Unite in Libia che aveva lasciato i prigionieri politici della Jamahiriya ed ufficiali dell’Esercito popolare nelle mani delle milizie, mentre si preoccupava dei migranti illegali e del loro desiderio di allontanarli dalle aree degli scontri, mostrando così la doppia morale della Missione ONU. Il consiglio dichiarava infine che le tribù marceranno libereranno i loro figli dalle prigioni delle milizie nel caso la missione delle Nazioni Unite non si assumesse le proprie responsabilità nei loro confronti, confermando di sostenere i fratelli di Tarhuna e che qualsiasi aggressione su Tarhuna sarà considerata come diretta contro le tribù e le città dell’ovest libico.

http://aurorasito.altervista.org/?p=2326

Exclave di Kaliningrad

Oblast’ di Kaliningrad

Qualora scoppiasse una crisi tra l’Europa e la Russia, Mosca potrebbe instaurare una no-fly zone che si estenderebbe da Kaliningrad fino a coprire un terzo dello spazio aereo polacco. L’asset A2 / AD, Anti-Accesso/Area di Diniego è strutturato su due principali sistemi integrati: gli S-400 Triumph ed i missili balistici Iskander-M. Il Triumph è stato progettato per intercettare le minacce stealth occidentali ad una distanza massima di 400 km ad un’altitudine di 30 km. La velocità massima utile per l’intercettazione è di 4,8 chilometri al secondo. I sistemi S-300 e S-400 rappresentano la punta più alta dei sistemi di difesa terra-aria russi. Sono progettati per proteggere le aree di importanza strategica. Ogni batteria può attaccare più di una mezza dozzina di obiettivi simultaneamente, tracciandone 80. Le brigate missilistiche del Distretto Occidentale equipaggiate con i missili balistici Iskander-M (CEP o probabilità di errore circolare di 10 metri), effettuano rotazioni permanenti su Kaliningrad. L’Iskander è un sistema balistico ad alta precisione, ottimizzato per l’utilizzo a distanza ravvicinata. Verosimilmente, quelli in rotazione a Kaliningrad hanno una gittata estesa di 500/550 km: sarebbero in grado di colpire la Germania. Capace di una velocità massima di 7mila km/h, l’Iskander nella fase terminale del volo si affida ad una guida optoelettronica, compiendo brusche manovre per eludere le difese aeree e rilasciando esche per ingannare i radar nemici. I missili possono essere lanciati in 16 minuti ed in quattro minuti in caso di prontezza operativa. Il secondo missile (solo per la versione interna) può essere lanciato in meno di 50 secondi. Il Cremlino schiera permanentemente a Kaliningrad tre brigate d’élite completamente equipaggiate. Le forze meccanizzate sono supportate da una brigata di artiglieria, basata come potenza primaria su 54 sistemi di grosso calibro. La 7054 Air Base ospita in turnazione circa cinquanta velivoli tra elicotteri pesanti e caccia. Kaliningrad, è ritenuta la fortezza di Mosca in Europa, progettata per colpire il cuore della Nato e per arrecare il massimo delle perdite ad un attacco preventivo dell’Alleanza.

Difendere le capitali baltiche

La geografia militare, nel caso scoppiasse un conflitto convenzionale, favorisce la Russia. Secondo il ben noto rapporto della RAND Corporation, le forze russe riuscirebbero ad entrare nelle capitali baltiche entro 60 ore. L’unico possibilità per la Nato, che non dispone di un vero esercito permanente in Europa, sarebbe quella di ricorrere al nucleare. C’è un ulteriore punto che favorisce Mosca. Entro il gennaio del 2019, gli Stati Uniti dovranno aver distrutto l’intero inventario delle munizioni a grappolo, secondo le linee guida fornite dal governo americano nel 2008 al Dipartimento della Difesa. La fase finale di questa politica priverà gli Usa di una capacità critica, senza alcuna sostituzione.

Le bombe a grappolo

Tecnicamente, le munizioni a grappolo sono ordigni costituiti da un corpo contenente delle sotto-munizioni convenzionali. Sviluppate durante la guerra fredda per saturare le preponderanti forze sovietiche meccanizzate e corazzate che si sarebbero riversate nell’Europa occidentale, la loro potenza eguaglia quella del fuoco di sbarramento degli obici ad alto esplosivo. Rappresentavano un deterrente chiave nella strategia americana. La politica di eliminare le bombe cluster è sancita dalla Convenzione firmata in Norvegia nel 2008, comunemente indicata come il Trattato di Oslo. Il documento, entrato in vigore il primo agosto del 2010, ha due obiettivi: in primo luogo ridurre i danni ai civili (nel 47% dei casi sono bambini) e gli effetti indiscriminati degli incendi sull’area colpita; il secondo obiettivo è quello di eliminare la grande quantità di sub-munizioni inesplose che si trovano comunemente nelle zone in cui sono state lanciate. Il Trattato di Oslo vieta ai 119 firmatari la produzione, l’acquisizione, la distribuzione o l’utilizzo delle munizioni a grappolo. Gli Stati Uniti non hanno firmato il Trattato, ma le amministrazioni Bush ed Obama hanno sostenuto lo spirito del documento. L’ex presidente Bush ha ordinato al Dipartimento della Difesa di attuare una politica per soddisfare l’intento del Trattato, senza però rinunciare alla capacità offensiva delle bombe a grappolo durante il periodo transitorio. Russia, Cina, Israele, India, Pakistan, Turchia, Siria, Yemen, Ucraina e Corea del Sud sono tra i paesi che non hanno firmato il trattato. Nonostante gli Usa detengano il predominio sulle munizioni a guida di precisione, queste ultime non sono particolarmente indicate per contrastare bersagli pesantemente corazzati.

La risposta russa

L’aspetto chirurgico dell’attacco, ipotizzato in un contesto moderno, verrebbe comunque soffocato da milioni di testate termo-bariche che i russi sarebbero in grado di lanciare in una sola raffica. La capacità di una bomba a vuoto di fornire calore e pressione in un unico punto nel tempo, non può essere riprodotto dalle armi convenzionali senza una massiccia distruzione collaterale. Il principio di funzionamento delle munizioni termo-bariche si basa sull’esaltazione delle capacità dell’esplosivo ad alto potenziale attraverso la combustione aerobica identificata nel terzo evento di detonazione. Il miglioramento delle prestazioni è ottenuto principalmente mediante l’aggiunta di metalli in eccesso alla composizione esplosiva. Alluminio e magnesio sono i metalli primari della scelta. Tutti e tre gli eventi esplosivi possono essere personalizzati per soddisfare le esigenze e le prestazioni del sistema. La testata propulsa contiene al suo interno una carica esplosiva e del combustibile altamente infiammabile. Quando il razzo raggiunge la destinazione, il carburante viene disperso. La detonazione successiva incendia il materiale infiammabile nell’aria. L’esplosione irradia un’onda d’urto letale nel raggio di dieci metri. Di per se, l’esplosione termobarica è particolarmente indicata contro bersagli in campo aperto, ma se la stessa esplosione avvenisse in un bunker, la sua potenza potrebbe anche decuplicarsi.

http://www.ilgiornale.it/autore/franco-iacch-105615.html

Investimento sino-russo “dollar free”

di  F. William Engdahl (*) L’8 novembre il grande gruppo minerario russo Norilsk Nickel ha annunciato di aver iniziato le operazioni in un nuovo impianto di estrazione e lavorazione di Bystrinsky all’avanguardia nella provincia russa di Zabaykalsky Krai. La cosa notevole del progetto è la partecipazione diretta della Cina, così come il fatto che quattro anni fa le enormi riserve di rame, oro e magnetite di Bystrinsky erano inaccessibili a qualsiasi mercato e del tutto non sfruttate. È un esempio della trasformazione dell’intera geografia economica dell’Eurasia che sta crescendo a seguito della stretta cooperazione della Russia con la Cina e in particolare con la “China Belt Road Initiative”, in precedenza nota come New Economic Silk Road. Il complesso minerario e di trasformazione di Bystrinsky è un progetto da $ 1,5 miliardi con riserve di minerali in totale stimate in 343 milioni di tonnellate. L’enorme progetto è di proprietà congiunta di Norilsk Nickel, il più grande produttore mondiale di nickel e palladio e uno dei maggiori produttori di platino e rame, insieme al Fondo risorse naturali CIS, un fondo russo per le risorse naturali istituito da Vladimir Putin  e dalla Cina Highland Fondo. Il nuovo complesso minerario si trova a circa 400 chilometri di ferrovia dal confine con la Cina nell’Estremo Oriente siberiano della Russia . La partecipazione cinese non è sorprendente. La Cina è il maggiore importatore mondiale di rame e gran parte della nuova produzione mineraria sarà diretta in Cina. La Cintura cinese, la Road Initiative (BRI) che sta vedendo la costruzione di migliaia di chilometri di nuove linee ferroviarie ad alta velocità attraverso l’Eurasia sta creando un enorme aumento della domanda di rame, acciaio e minerale di ferro . Il nuovo progetto minerario russo comprende la costruzione di un’infrastruttura completamente nuova di strade, ferrovie e enormi infrastrutture in quelle che in precedenza erano aree incontaminate.

*F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, ha conseguito una laurea in politica presso la Princeton University ed è un autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”. Fonte: New Eastern OutlookTraduzione: Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/la-russia-e-la-cina-realizzano-una-nuova-geografia-economica/

La Russia nel riassetto geostrategico

Da parte sua, la Russia mantiene una politica estera considerata “intelligente” da diversi analisti e ha superato la crisi causata dal rallentamento economico, dalle sanzioni occidentali e dalla caduta dei prezzi del petrolio. La sua strategia è diretta a creare l’Unione economica eurasiatica che riunisce Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Armenia con l’intento di costituire un unico mercato comune per la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone e, inoltre, un’area con una politica di migrazione, istruzione e persino informazione. Dopo l’adesione della Crimea, la guerra nell’Ucraina orientale e l’impegno in Siria, il Cremlino persegue obiettivi molteplici di stabilità interna e presenza internazionale stabilizzando i rapporti con la Turchia, permettendole di consolidare l’influenza con la vittoria sui gruppi terroristici in Siria. La Russia ha riorientato le alleanze geopolitiche dopo che gli Stati Uniti hanno progettato e sostenuto il rovesciamento del governo ucraino di Viktor Janukovich e installato un regime di destra tentando di rafforzarne l’accerchiamento. Washington e le sue agenzie hanno speso 5 miliardi di dollari finanziando i “programmi per la diffusione dei valori e la formazione politica” in Ucraina, fomentando una rivoluzione arancione occupando piazza Maidan con l’intero processo delle ben note tensioni che hanno portato alle sanzioni imposte a Mosca, assieme all’Europa. Uno degli obiettivi della politica estera nel novembre 2016 era rafforzare la posizione della Russia come Paese predominante nel mondo moderno e a recuperarne l’influenza nella stabilità e sicurezza del sistema democratico mondiale. Qui, tra l’altro, vi sono alcune direzioni specifiche:
– Lotta contro la pressione politica ed economica di Stati Uniti ed alleati, che porta alla destabilizzazione globale.
– Continuare il lavoro congiunto con l’Unione europea (UE) che rimane per la Russia un importante partner politico ed economico.
– Mantenere l’obiettivo di stabilizzare la situazione in Medio Oriente e Africa del Nord.
– Opporsi ai tentativi d’interferire negli affari interni della Russia per averne un cambio incostituzionali del potere.
– Utilizzare le nuove tecnologie per rafforzare la posizione dei media russi e aumentare la sicurezza informatica del Paese.
– Considerare il piano per costruire un sistema di difesa aerea statunitense come minaccia per la sicurezza nazionale, dando alla Russia il diritto di adottare le necessarie risposte.
– Considerare come intollerabile ogni tentativo di pressione dagli Stati Uniti e reagire con forza ad ogni azione ostile.
– Costruire rapporti reciprocamente vantaggiosi con gli Stati Uniti.
– Rafforzare i legami della Russia con America Latina e Caraibi.
A causa delle sanzioni occidentali, che hanno ridotto l’accesso delle imprese russe a tecnologia, investimenti e credito occidentali, nonché la diminuzione del prezzo del petrolio, avviava il processo d’integrazione economica ed allineamento politico in contrappeso all’UE, creando lo spazio economico da San Pietroburgo a Shanghai.

estratto da https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/31/russia-e-cina-sventano-lopzione-militare-degli-usa-contro-il-venezuela/

Il potere militare-industriale degli Stati Uniti ha il sopravvento sulla strada per la guerra

Finora la Casa Bianca, cosciente di questa potenziale e probabile reazione a catena, non ha il coraggio di dare il via libera a tali consegna di armi, come al tempo dell’amministrazione Obama, tuttavia responsabile del terremoto Maidan. Ma oggi, paradossalmente, sconfitta Clinton, i neocon hanno una posizione mai così forte che dall’avvio a fine luglio delle nuovo ritorsioni economiche contro la Russia, illustrandone il sequestro del presidente Trump, costretto ad aderire alla loro strategia aggressiva anti-russa la cui reazione legittima dei russi ha compiuto un nuovo passo verso il confronto aperto. Tra le armi fornite dagli statunitensi per rafforzare l’esercito ucraino, vi sono sistemi d’arma antiaerei per proteggere le unità di artiglieria e d’assalto di Kiev dalla risposta russa. Possibilmente anche missile anticarro di ultima generazione “Javelin” capaci di distruggere i blindati delle forze repubblicane. E il falso pretesto dell’interferenza russa nella sua elezione sembra rafforzare ulteriormente l’emarginazione del presidente Trump, già nel mirino dei neoconservatori nelle discussioni sull’invio di armi all’Ucraina. Così un alto funzionario dell’amministrazione statunitense ha ammesso che il presidente non fu informato del piano, mentre il suo segretario della Difesa statunitense James Mattis nel frattempo l’approvava! Durante la precedente proposta di armare l’Ucraina si parlò solo di armi difensive per le forze di sicurezza ucraine nella regione di Kiev. Questa volta il loro uso nelle operazioni del teatro de Donbas è considerato un’”emergenza”… Se Germania e Francia, garanti dell’accordo di pace per l’Ucraina firmato a Minsk, rimangono scettiche sugli effetti di tali consegne di armi, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti invitava i Paesi della NATO (tra cui i russofobi Canada, Regno Unito, Polonia, Lituania) a sostenerle. Il Generale Curtis Scaparrotti, comandante in capo dell’esercito degli Stati Uniti in Europa e della NATO, da sempre esorta vivamente ad armare l’Ucraina contro la Russia, supportato dal nuovo consigliere speciale per l’Ucraina statunitense Kurt Volker, la cui carriera e responsabilità nel giro del guerrafondaio McCain non lascia alcun dubbio sulla sua ideologia apertamente antirussa. Nel frattempo, sotto la copertura delle crescenti manovre alleate, la NATO continua la militarizzazione dei Paesi dell’Europa orientale ai confini della Federazione russa, facendo rivivere l’intermarium, questo spalto militare che collega Baltico al Mar Nero e destinato ad isolare la Russia. Nel Donbas, nonostante una “tregua del pane” che dovrebbe “calmare le cose” fino all’avvio dell’anno scolastico, i combattimenti e i bombardamenti ucraini sono aumentati nello stesso tempo dell’inasprimento dei rapporti USA-Russia degli ultimi giorni, e alla vigilia della riunione di Minsk del 2 agosto.

estratto da https://aurorasito.wordpress.com/2017/08/04/la-mossa-del-pazzo/

Il ponte di Kerch

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Lo Stretto di Kerch è un braccio di mare che divide la Penisola di Crimea dalla terraferma russa, dal Kuban.
Da una parte, quella orientale, c’è il Mar Nero. Dall’altra c’è il Mare d’Azov. Dai tempi di Caterina il Mare d’Azov era un mare interno della Russia. Lo rimase quando la Russia divenne Unione Sovietica. Cessò di esserlo quando crollò l’URSS e la riva occidentale divenne Ucraina.
Fino a che esistette l’Unione Sovietica, per i russi di Crimea il collegamento con la madrepatria non era un problema perché l’Ucraina era URSS, in quanto Repubblica Socialista Sovietica. La città di Kerch, di antichissime origini, era un centro minore, molto periferico. Pochi ci passavano per andare sull’altra riva dello stretto. Bastavano pochi ferry boat per auto e camion, e qualche traghetto per i passeggeri.
Lo Stretto di Kerch, insomma, non aveva grande importanza, né commerciale, né strategica. Ma l’Ucraina, uscendo dall’URSS e diventando indipendente, divenne anche ostile alla Russia. I russi di Crimea, grande maggioranza nella penisola, si trovarono tagliati fuori, appunto, dalla madrepatria. Assai più di quanto accadde quando l’allora Segretario Generale del Pcus, Nikita Krushev, decise di regalare la Crimea all’Ucraina. Sempre Unione Sovietica era, e preoccupazioni eccessive non vi furono.
Fino al febbraio 2014, quando la pentola russofobica venne fatta esplodere dal colpo di stato di Euromaidan. Gli eventi successivi li conosciamo (in pochi, per la verità, perché la narrazione occidentale preferisce continuare a ripetere il mantra dell'”annessione” russa della Crimea). Fatto sta che il legittimo parlamento della Repubblica Autonoma di Crimea si riunì, decise all’unanimità di indire un referendum popolare la cui domanda essenziale era: restiamo in una Ucraina anti-russa, cioè anti-noi, oppure torniamo in patria? L’enorme maggioranza delle risposte fu: torniamo in patria. E, con ciò, la Crimea si trovò i carri armati ucraini e le bande naziste alla frontiera nord, unico collegamento con il continente. L’attacco militare non ci fu perché Putin aveva deciso, saggiamente e per tempo, di dislocare quelli che oggi, in Russia, tutti definiscono come “gli uomini verdi”.
Cioè divenne un’isola. Con tutte le difficoltà del caso (collegamenti elettrici, idrici, rifornimenti, esportazioni e importazioni, ecc: tutto bloccato). Ecco perché parliamo adesso di Kerch. Perché il Cremlino, una volta accolta tra le sue braccia la storica penisola di Crimea, si trovò di fronte al problema di come farla vivere, respirare, prosperare. E lo Stretto di Kerch diventò improvvisamente la soluzione. Ma si sarebbe dovuto trasferire nelle basse acque dello Stretto una intera flotta di navi. Come far arrivare e ripartire flussi di uomini, turisti, merci in modo stabile, permanente, senza interminabili code, attese? La Crimea è infatti, sotto molti profili, un gioiello inestimabile. Cento milioni di russi, anche mentre era sotto il governo di Kiev, guardavano al suo mare, alle sue spiagge, ai suoi cimeli storici, al suo vino, come al migliore dei luoghi per uno splendido riposo. Una Crimea russa avrebbe moltiplicato la domanda e l’afflusso.

 

Мост через Керченский пролив построить невозможно
L’idea di un grande ponte nacque subito. Ma lo Stretto di Kerch non è così “stretto”. Quasi venti chilometri sull’acqua. Un’impresa imponente, da realizzare in condizioni di crisi economica, di sanzioni, di isolamento e di polemiche internazionali, mentre nelle regioni a nord, sulle rive dello stesso Mare d’Azov, si formavano le due repubbliche di Donetsk e Lugansk, impegnate in sanguinosi combattimenti per difendersi dalle offensive dei battaglioni inviati da Kiev.

 

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La storia di questi tre anni non si può fare qui, sul pontile di Kerch. Qui si vede l’immenso sforzo economico e politico che sta collegando, con una rapidità che sarebbe incredibile se non la si potesse vedere a occhio nudo, la Crimea alla terraferma russa. Subito era apparso chiaro che si sarebbero dovute affrontare rilevanti difficoltà legate al carattere sismico dell’area: due falde tettoniche si fronteggiano proprio sotto il mare. Il calcolo di partenza non poteva evitare la previsione di nove punti della Scala Richter: il massimo.
La struttura dovrà essere al massimo grado flessibile. Permettere il passaggio di grandi navi richiede un passaggio centrale di altezza superiore a 35 metri, sia per le quattro corsie automobilistiche, sia per le due rotaie ferroviarie.
In pratica due immensi ponti paralleli lunghi quasi venti chilometri. Mentre la Crimea attende impaziente, con il fiato sospeso.
A un anno e mezzo dall’inizio operativo, il ponte è “a metà strada”. La previsione, che ci viene confermata senza esitazione, è che il traffico automobilistico sarà aperto “entro il 2018”. Meno di tre anni in tutto. Un record. Oltre 200 imprese, tutte rigorosamente russe, hanno studiato e inventato le soluzioni. Oltre settemila operai sono impiegati 24 ore su 24. Kerch è già irriconoscibile nella sua nuova veste di principale punto di accesso alla penisola (almeno fino a quando Kiev e l’Occidente non smetteranno di sognare che la Crimea torni in Ucraina. E non sarà presto).
E, all’ingresso della città, dalla parte crimeana, è già in costruzione la prima parte di una gigantesca nuova arteria autostradale che sostituirà la vecchia strada già intasata che porta a Simferopoli e a Sebastopoli. Putin ha fatto una scelta, del resto l’unica possibile: fare della Crimea il suo capolavoro. Impossibile calcolare quanti miliardi Mosca immetterà in questo progetto, che somiglia molto, per dimensione, per sforzo tecnologico, per effetto sociale a politico, alle colossali opere del tempo socialista.
Ma la scommessa è già vinta. Il Ponte di Kerch cambierà il destino della Crimea. Il mainstream occidentale sembra non accorgersene. O finge di ignorare ciò che sta accadendo. Ma questa è una prova che lascerà il segno nella storia della Russia intera.

Giulietto Chiesa

Fonte: Sputnik

Lo scacchiere mediorientale

La Russia ha intensi contatti con molti Stati del Medio Oriente. Dopo la visita a Cairo, i funzionari partecipavano all’incontro tra il Presidente Putin e il principe saudita Muhamad bin Salman a Mosca. Il 2 giugno, Sergej Lavrov incontrava il primo ministro del Kurdistan iracheno Nechirvan Barzani, al margine del Forum economico internazionale di San Pietroburgo. San Pietroburgo ha ospitato anche il 2° incontro del Comitato Energetico Iran-Russia, il 3 giugno. Vi sono molti interessi comuni tra Mosca e gli Stati della regione, ma l’Egitto è un partner di particolare importanza. È il Paese più popoloso del Nord Africa e del mondo arabo, il terzo più popoloso dell’Africa e il quindicesimo del mondo. L’anno scorso la popolazione del Paese ha raggiunto i 92 milioni. Implementando una politica indipendente da potenza regionale senza essere troppo filo-USA o filo-saudita avendo i propri interessi nazionali da proteggere. La cooperazione con la Russia consente di controbilanciare l’influenza statunitense e saudita e diversificare i partner in politica estera. Mosca e Cairo hanno molte cose ad unirli, e negli sforzi per gestire la crisi in Siria e in Libia darebbe un grande contributo alla lotta internazionale al terrorismo portando il rapporto a vertici inediti.Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

https://aurorasito.wordpress.com/2017/06/05/russia-ed-egitto-promuovono-una-cooperazione-multiforme/